“2022: fuga dal lavoro” potrebbe essere il titolo perfetto per un nuovo film di Stanley Kubrick, ma le dimissioni volontarie non sono l’intuizione di un regista visionario, quanto un fenomeno in crescita esponenziale che sta mettendo in crisi molte aziende. Un vera e propria fuga di massa che ha costretto alcune multinazionali ad assumere dei manager per convincere i dipendenti a non dimettersi.
Le cause e i rimedi secondo gli esperti
Da un punto di vista prettamente economico, questa tendenza potrebbe indicare un mercato in salute, in cui il Covid-19 ha svolto il ruolo del detonatore, aprendo le danze a un proficuo rimescolamento dei ruoli e delle risorse.
«Queste grandi dimissioni sono un fenomeno sistemico che è esploso oggi, ma era in preparazione già da diversi anni: il mondo del lavoro per come è stato tradizionalmente inteso e organizzato non risponde più alle necessità e ai desideri dei lavoratori attuali, soprattutto i più giovani. Fino a qualche anno fa si decideva di cedere sulla soddisfazione personale a favore della sicurezza: ora che anche quest’ultima non è più garantita, vale davvero la pena non provare a realizzarsi?», spiega Claudia Barberis, consulente di personal branding.
In un contesto di generale rivalutazione delle priorità, come il tempo libero, la salute e gli affetti, che ha portato Millennials e Gen Z a scegliere di lasciare persino il tanto ambito posto fisso, non vanno trascurate le strategie e le competenze che ciascuno deve mettere in atto quando decide di rimettersi sul mercato, cambiando azienda o ruolo o passando dal lavoro dipendente a quello da libero professionista.
Il 60% delle aziende è coinvolta dal fenomeno delle dimissioni volontarie e nella maggior parte dei casi (il 75%) sono state colte di sorpresa rispetto a una tendenza inattesa. Le fasce d’età maggiormente coinvolte riguardano i 26-35enni che rappresentano il 70% del campione seguita dalla fascia 36-45 anni. Si tratta quindi di un fenomeno giovanile collocato soprattutto nelle mansioni impiegatizie (l’82%) e residenti nelle regioni del Nord Italia, (il 79%).
Questi alcuni dei dati più rilevanti emersi dall’indagine Aidp (Associazione per la direzione del personale) su un campione di circa 600 aziende elaborate dal Centro Ricerche Aidp guidato dal professor Umberto Frigelli. La ripresa del mercato del lavoro (48%), la ricerca di condizioni economiche più favorevoli in altra azienda (47%) e l’aspirazione a un maggior equilibrio tra vita privata e lavorativa (41%) sono le tre ragioni principali che sono alla base della crescita esponenziale delle dimissioni seguite, subito dopo, dalla ricerca di maggiori opportunità di carriera (38%).
Da segnalare che il 25% ha indicato la ricerca di un nuovo senso di vita e che il 20% ha imputato a un clima di lavoro negativo interno all’azienda la ragione delle dimissioni. Per il 57% dei direttori del personale il fenomeno è la dimostrazione di quanto sta cambiando la percezione che le persone hanno del senso del lavoro e per il 30% di quanto, invece, stia cambiando il mercato del lavoro. Circa l’88% delle aziende coinvolte ha dichiarato che non hanno in atto un piano di incentivo all’esodo, mentre il restante 12% ha in essere piani di incentivazione all’uscita anche con prepensionamenti.
«Siamo stati colti di sorpresa nella maggior parte dei casi anche se dei segnali deboli dello sviluppo di questo fenomeno erano già ravvisabili – commenta Matilde Marandola, presidente nazionale di Aidp -. Il rispetto dei valori individuali, la qualità delle relazioni, il benessere sul posto di lavoro e una serie di aspetti aderenti alla propria motivazione e alle proprie aspirazioni sono diventati non solo importanti ma addirittura indispensabili. Il fattore scatenante, a mio avviso, è che le persone si sono interrogate rispetto al senso del proprio lavoro e in qualche caso della propria vita e, nella maggior parte dei casi, le risposte hanno indirizzato le persone al cambiamento. Come emerso dalla survey c’è una ripresa del mercato del lavoro e una riorganizzazione delle aziende e i giovani rappresentano gli attori più interessati».
Per il 59% delle aziende l’impatto delle dimissioni è stato superiore di almeno il 15% rispetto agli anni precedenti e per il 32% l’aumento è stato del 30%. Numeri che evidenziano chiaramente una novità improvvisa e inconfutabile. Le aziende, com’è evidente, si stanno attrezzando per far fronte alla crescita repentina e inattesa di dimissioni soprattutto sostituendo i fuoriusciti con altri dipendenti con contratti a tempo indeterminato e determinato (55%), mentre per altri si tratta di un’occasione di riorganizzazione dei processi produttivi (25%). Una parte significativa di aziende, invece, ha adottato una pratica attendista per valutare con maggior tempo gli impatti che avrà il fenomeno (15%).
Le funzioni aziendali maggiormente coinvolte sono soprattutto Informatica e Digitale (32%), Produzione (28%) e Marketing e Commerciale (27%). Dal punto di vista dell’anzianità in aziende dei lavoratori coinvolti nel fenomeno la maggior parte riguarda la fascia da 1-5 anni, ossia circa il 75% e in misure minore i dipendenti presenti da più anni in azienda.
Al di la dei numeri, tutti gli esperti concordano che il boom di dimissioni volontarie non sia una questione di soldi o bonus, ma di percezione del lavoro e del proprio tempo libero che stanno mutando strutturalmente nella società. Le dimissioni volontarie non saranno, quindi, un fenomeno passeggero.
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