300 miliardi di danni, si chiude l’anno nero per l’ambiente

Il 2017 si è rivelato un anno nero per l’ambiente. Secondo le stime di Sigma, la società di ricerche e studi controllata dal gigante delle assicurazioni Swiss Re, quest’anno i disastri ambientali hanno causato danni economici per ben 306 miliardi di dollari, il 63 per cento in più rispetto ai 188 miliardi del 2016. Invariato, ma comunque elevato, il numero delle vittime: 11.000 persone.

Anche quest’anno è toccato agli Stati Uniti sopportare il peso maggiore. Colpa degli uragani Harvey, Irma e Maria che si sono abbattuti sulle coste americane nel secondo semestre dell’anno. Oltre a morti e distruzione, hanno lasciato dietro di sé danni economici stimati in 93 miliardi di dollari, quasi un terzo dei danni calcolati a livello globale. Da questo punto di vista, il 2017 è stato l’anno peggiore dopo il 2005 per gli Usa.

Per l’industria assicurativa, il bilancio è stato elevato in termini di perdite economiche, quantificate in 136 miliardi di dollari, oltre il doppio rispetto ai 65 miliardi dell’anno precedente. Su questo fronte, il 2017 si profila quindi come il terzo anno peggiore di sempre per il settore assicurativo. L’anno con la perdita più alta resta infatti resta il 2011 come conseguenza del terremoto in Giappone, seguito dal 2005, segnato dai disastri causati dagli uragani Katrina, Rita e Wilma che hanno colpito gli Stati Uniti.

Il comparto assicurativo ha imparato a fronteggiare le emergenze ambientali e ha dimostrato di riuscire a far fronte alle ingenti perdite. Privati, aziende e governi dovrebbero però equipaggiarsi meglio per evitare e contrastare queste catastrofi naturali.

Il dito è puntato soprattutto contro Washington. Gli Stati Uniti sono l’unico grande paese rimasto fuori dagli accordi sul clima di Parigi, sottoscritti da Obama e stracciati da Trump. Una decisione a cui il resto del mondo non riesce a rassegnarsi.

«Make Our Planet Great Again»: qualche settimana fa il presidente francese Emmanuel Macron ha cercato con questo slogan di inviare un messaggio forte a Trump in occasione del One Planet Summit, la riunione organizzata nella capitale francese per celebrare il secondo anniversario dell’accordo di Parigi sul clima. Macron ha infatti molto insistito sul fatto che, mentre l’industria globale sta cercando di muoversi compatta verso una produzione più sostenibile, gli Stati Uniti hanno deciso di andare per la loro strada.

Una decisione sostanzialmente politica, presa dall’alto, perché c’è comunque una larga fetta di americani che sull’ambiente e sul clima la pensa in maniera diversa dal proprio presidente, come testimoniato dalla presenza di Bill Gates, John Kerry, Michael Bloomberg, Arnold Schwarzenegger al summit di Parigi.

Tra gli annunci più importanti, quello della Banca Mondiale, che dal 2019 cesserà di finanziare le società che propongono l’esplorazione di nuovi territori per lo sfruttamento di petrolio e gas. Anche il gruppo bancario ING ha annunciato che entro il 2025 smetterà di finanziare progetti basati sull’uso del carbone, mentre il gruppo assicurativo Axa ha dichiarato che rinuncerà a stipulare polizze con le aziende coinvolte nella costruzione di centrali a carbone e investirà nove miliardi di euro in iniziative green entro il 2020.

Ma si tratta perlopiù di promesse, che inoltre avranno effetti sono nel lungo termine. Mentre, come ha ribadito Macron, sul clima «stiamo perdendo la battaglia, non procediamo abbastanza velocemente e questo è drammatico».

Giuseppe Turani
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Giornalista economico e Direttore di "Uomini & Business". E' stato vice direttore de L'Espresso e di Affari e Finanza, supplemento economico de La Repubblica. Dal 1990 al 1992 è editorialista del Corriere della Sera, del mensile Capital e dei settimanali L'Europeo e Il Mondo. Ha scritto 32 libri.

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