Sono passati esattamente quarant’anni . Il 20 gennaio 1981, dopo 444 giorni di prigionia, vengono liberati i funzionari dell’ambasciata americana a Teheran. Il sequestro è una ferita ancora aperta ed è indicato da molti osservatori come l’inizio di una tensione (mai sopita) tra Stati Uniti e Iran.
L’assalto all’ambasciata
Il 4 novembre del 1979 circa 500 studenti islamici e attivisti attaccano l’ambasciata degli Stati Uniti a Teheran. I soldati addetti al servizio di sorveglianza cercano di contenere i dimostranti ma dopo tre ore devono cedere. Gli studenti prendono possesso dell’edificio con all’interno i cittadini statunitensi che ci lavorano.
Alcuni di loro, non presenti al momento dell’assalto, saranno rintracciati, catturati e portati in un secondo momento all’interno dell’ambasciata. Sei di loro riescono a fuggire prima del sequestro e a nascondersi nella casa dell’ambasciatore canadese (è la storia che nel 2012 Ben Affleck traspone nel film Argo).
La crisi termina con la liberazione degli ostaggi grazie a un accordo favorito dall’Algeria e firmato il 19 gennaio 1981 ad Algeri. Per gli Stati Uniti l’Accordo di Algeri è negoziato dal Vicesegretario di Stato Warren Christopher. L’intesa prevede la liberazione degli ostaggi, lo scongelamento dei fondi iraniani depositati presso banche americane e bloccati all’indomani dello scoppio della crisi, la riaffermazione del principio di non ingerenza.
Gli ostaggi sono materialmente liberati il 20 gennaio 1981, immediatamente dopo l’insediamento di Ronald Reagan alla Casa Bianca, formalmente consegnati in custodia all’ambasciata algerina a Teheran che li fa espatriare e li riconsegna alle autorità americane.
La fine del sequestro è stata anche la fine dello shock? Quanta parte dell’immaginario “occidentale” è ancora sotto sequestro all’interno di quell’ambasciata? Quanto dell’orgoglio iraniano, di proporsi come «anti-occidente», è legato a quella scena?
Se c’è un momento simbolico in cui l’Iran khomeinista fa valere la sua idea di riscatto, forse è proprio in quella scena del 4 novembre 1979 che consegna l’icona della rappresentazione di sé comepaladino di un Terzo Mondo in cerca di nuove voci, dopo un lungo ventennio segnato dalla resistenza castrista alla baia dei Porci (17-19 aprile 1961) o di Saigon in mano ai vietcong la mattina del 30 aprile 1975.
Ancora: quanto è segnata da quella scena madre la crisi del nostro tempo? Può essere che l’inizio del nostro presente vada fatto risalire a quel momento, anziché al crollo del Muro e alla fine del comunismo (in fondo due atti che sono “cronaca di una morte annunciata”), dieci anni dopo? Il XXI secolo, più che nell’«indimenticabile 1989», non ha avuto inizio nel «dimenticato 1979»?