Artico: lo scioglimento dei ghiacci è la sfida del secolo. Implicazioni ambientali, politiche e militari

Non sappiamo ancora se Mike Pompeo, il segretario di Stato Usa, andrà o meno al prossimo Consiglio dell’ Artico in programma il 6 e il 7 maggio prossimi. Ma il semplice fatto che un funzionario dell’amministrazione Trump non lo abbia escluso riflette un realismo che va oltre le affermazioni di sapore ideologico; vuol dire non solo che gli Usa guardano a ciò che accade in quei luoghi, solo geograficamente remoti, ma anche che la Casa Bianca prende sul serio le argomentazioni sul cambiamento climatico.

Il Consiglio Artico, infatti, che dal 1996 raggruppa gli 8 paesi vicini al Polo Nord (Canada, Danimarca, Finlandia, Iceland, Norvegia, Russia, Svezia e Usa) ha raggiunto una maturità di ruolo impensabile solo qualche anno fa, divenendo uno dei punti di snodo delle politiche del clima, dell’energia ed anche del dominio militare degli scacchieri internazionali. Le implicazioni del clima sono difatti solo una piccola parte dei temi che impegnano oggi le cancellerie diplomatiche di tutto il mondo.

Spariscono i ghiacci eterni

Secondo l’Arctic Monitoring and Assessment Programme (Amac),  la calotta polare si è assottigliata di quasi due metri dal 1975 e sempre più spesso i ghiacci ‘eterni’ si sciolgono, creando le condizioni per una navigabilità impossibile nel tempo che ci ha preceduto.

Se lo scioglimento dei ghiacci proseguirà ai ritmi degli ultimi 5 anni, il passaggio di navi cargo da 3000 container dal Pacifico all’ Europa, che consentirebbe di risparmiare quasi 4000 chilometri rispetto alla rotta che passa per il Canale di Suez, potrebbe diventare una rotta possibile e consigliata, soprattutto dall’ Asia Orientale.

Non a caso la Cina, che gira il mondo per ripristinare la Via della Seta, sta creando le condizioni per garantirsi anche una Via della Seta polare, collaborando con la Russia, soprattutto nei giacimenti di gas naturale liquefatto, e rafforzando la sua presenza nella zona; lo fa corteggiando diplomaticamente i paesi minori del Consiglio Artico come la Danimarca, dopo aver guadagnato lo status di Paese Osservatore.

Tra scienza e sospetti

Fino a oggi il Consiglio dell’Artico ha avuto una grande apertura e ha associato diversi paesi che svolgono lavori scientifici o antropologici nei ghiacci perenni. Si stima che le lande ghiacciate del Circolo Polare Artico possiedano tra 15 e il 30 per cento dei depositi naturali di materiali per idrocarburi.

Ma da qualche tempo, il lavoro scientifico sul cambiamento di clima ha destato qualche sospetto di natura diplomatica e geopolitica. Se da un lato la ricerca ha portato alla luce animali preistorici come i Mammuth e ridestato l’attenzione mondiale dal punto di vista turistico per via del successo dei libri di noir scandinavo e di fortunate serie televisive come “Fortitude”, dall’altro ha però riversato una piccola massa critica di impegni economici dei paesi leader nell’ innovazione tecnologica per la presenza di materie prime particolari:  le cosiddette terre rare (Lantanio, Cerio, Terbio, Disprosio e Neodimio), molto richieste per  lo sviluppo digitale e tecnologico di prodotti ad alta innovazione tecnologica come macchine elettriche o schermi piatti, laser (di natura anche militare), illuminazione a LED o a risparmio energetico, convertitori catalitici, magneti per auto, lampade fluorescenti.

L’Artico, diversamente dall’Africa, presenta condizioni climatiche e sociali spesso estreme ma non irraggiungibili per paesi ad alta capacità tecnologica o militare. Pompeo, dunque, non è in contraddizione con la dottrina trumpiana sul cambiamento di clima, giacché fa i conti con uno scenario che impegna gli Usa, la Russia e la Cina su uno scacchiere, certo inedito, ma non inusuale nella geopolitica. Peraltro in una zona del mondo dove i rapporti di forza dipendono molto dalle condizioni ambientali e geografiche, che pongono la Russia in una situazione di partenza migliore di quella con cui abitualmente il paese di Putin deve fare i conti nel resto del mondo, l’ Unione Europea o i piccoli Stati del Nord Europa, ma anche il Canada , hanno una responsabilità diversa e possono muoversi solo con un uso della “moral suasion” molto accorta.

Nicolo Sartori
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Nicolò Sartori è senior fellow e responsabile del Programma Energia dello IAI (Istituto Affari Internazionali), dove coordina progetti sui temi della sicurezza energetica, con particolare attenzione sulla dimensione esterna della politica energetica italiana ed europea.. La sua attività si concentra in particolare sull’evoluzione delle tecnologie nel settore energetico. Ha lavorato inoltre come Consulente di Facoltà al NATO Defense College di Roma, dove ha svolto ricerche sul ruolo dell’Alleanza Atlantica nelle questioni di sicurezza energetica.

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