Bello e imprevedibile. Víctor Pecci, il playboy del tennis

Orecchino di diamante, sguardo intenso e penetrante. Nasceva ad Asunción (Paraguay) l’Apollo della racchetta, l’uomo che mise paura a Björn Borg.

«Borg era lo que hoy es Rafael Nadal en tierra batida» (Borg era quello che oggi è Rafa Nadal sulla terra battuta) dice oggi Victor Pecci tornando a quella domenica del 10 giugno di quarant’anni fa, quando nella finale del Garros fece soffrire Ice-Borg.  Un metro e novantatré di altezza, criniera nera e mossa, sguardo intenso e penetrante, un Apollo con la racchetta.

Il tocco al phyisique du role, e da tombeur de femmes, glielo dava un diamante al lobo dell’orecchio destro. Alle doti di playboy, Víctor Pecci aggiunse però un dettaglio: sapeva giocare bene a tennis. Gran servizio, tocco morbido e una volèe d’incanto, erano gli ingredienti del suo gioco fantasioso e divertente.

Il limite era l’incostanza, tipico tallone d’Achille dei geni estrosi. Victor nasce ad Asuncion il 15 ottobre del 1955; negli anni del regime di Alfredo Stroessner, dove i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri stentano a sfamare i niños, il tennis non è certo uno sport per tutti.

Figlio di un medico, il ragazzo cresce negli agi dell’alta società, e prende lezioni nel circolo più esclusivo della capitale paraguaiana. Divenuto campione nazionale ad appena 15 anni, si lancia nel circuito Atp, vincendo il suo primo titolo a Madrid nel 1976. In quel giugno del 1979, si presenta all’Open di Francia, dopo aver conquistato il torneo di Nizza, dove ha battuto in finale John Alexander. Un bel biglietto da visita, ma non abbastanza da accreditarlo tra i favoriti al Bois de Boulogne. È 35 al mondo e quindi nemmeno testa di serie.

Il tennis ha il suo re; a soli ventitrè anni Bjorn Borg può infatti già vantare sei titoli dello Slam: tre al Roland Garros e tre a Wimbledon. Se a Londra ne ha infilati tre di fila, a Parigi non ha fatto quaterna, perché sconfitto da Adriano Panatta nei quarti del 1976, l’anno magico del tennista romano.

Oltre al numero uno del mondo, signore assoluto della terra rossa, i maggiori pretendenti allo scettro di Francia sono Guillermo Vilas, Vitas Gerulaitis e Jimmy Connors. Borg raggiunge la finale, dopo aver spazzato via tutti gli avversari e aver letteralmente asfaltato Gerulaitis in semifinale.

Pecci supera Jaufftet e Slozil, e non lascia quindi nemmeno un set a Corrado Barazzuti e Harold Solomon (sconfitto da Panatta nella finale del 1976). Nei quarti, lo attende il derby con Guillermo Vilas, ma anche l’argentino si piega in tre set al talentuoso serve&volley del ragazzo di Asuncion.

Adesso bisogna fare i conti con lui, il suo tennis d’attacco gli attira le simpatie del pubblico parigino, le ragazze della Ville Lumiere ne vanno pazze, ma in semifinale incrocia quel cagnaccio di Connors e il pronostico è tutto dalla parte di Jimbo. Succede l’impensabile, a Pecci riesce tutto, la sua Fischer è una bacchetta magica, Connors soffre le sue continue discese a rete, s’innervosisce e va in confusione. Victor non gli dà scampo e vince in quattro set: 7-5/6-4/5-7/6-3.

È ora in finale con Borg. Pare una favola, ma è tutto vero. Dall’altra parte dell’Atlantico, in Paraguay si scatena un pandemonio. A nemmeno 24 anni, Pecci è l’idolo di un’intera nazione. Per la finale con Borg, Canal 9 garantisce ore di diretta televisiva e irradia le immagini del Roland Garros in ogni Barrio di Asuncion, cosa impensabile in un paese che si alimenta di solo calcio.

Il 10 giugno del 1979 il cielo di Parigi è bigio, cade qualche gocciolina di pioggia, che tuttavia non inficia il match. Pecci è contratto, fatica a sciogliere il braccio. Si fa sotto, ma Borg è un muro, ribatte tutto e lo passa con impressionante regolarità. I primi due set sono senza storia, ma nel terzo qualcosa s’inceppa nel tennis robotico dello svedese, ora Pecci riesce finalmente a far breccia.

Ne esce una partita meravigliosa e avvincente, una battaglia ingaggiata punto su punto; il paraguaiano infiamma il catino del Roland Garros tra volèe e acrobazie, trascina Borg al tie-break, e se lo aggiudica 8-6. Nel quarto lotta e gioca alla pari, ma subisce un break che risulta decisivo. Il suo sogno finisce lì: Parigi incorona per la quarta volta Bjorn Borg (arriverà a sei), ma al momento della premiazione riserva una standing ovation a Pecci, il bel ragazzo con l’orecchino che ha eletto suo beniamino e ama come un figlio adottivo.

Quando fa ritorno in patria, Victor ha il Paraguay ai suoi piedi; è giovane, bello, famoso e con un bel conto in banca: allora se la spassa e le partite della vita notturna sono tutte sue. Meno quelle sui campi da tennis, dove non saprà più ripetersi ai livelli del ‘79.

Nel 1981 batte ancora Vilas a Roma, ma si arrende in finale all’altro gaucho Joé Luis Clerc. L’ultima sua impresa la firma nel 1987, quando nella polveriera di Asuncion davanti al generale Stroessner guida la squadra nazionale di Coppa Davis a un clamoroso successo per 3-2 sugli Stati Uniti.

Passano due anni e, mentre in Paraguay dopo 35 anni il dittatore è deposto, Agassi e soci si prendono la rivincita in Florida rifilando ai sudamericani un cappotto.

È la fine della parabola di Pecci, che si ritira nel 1990. Tre matrimoni e due figli, Victor Pecci è tuttora un monumento nel suo paese. Nel 2003 gli hanno affidato la guida della squadra nazionale di Coppa Davis. Ma c’è di più: dopo essere stato eletto sportivo paraguaiano del bicentenario, dal 2013 al 2018 ha ricoperto la carica di ministro dello sport. E pensare che quel 10 giugno del 1979 a Parigi perse. Non osiamo nemmeno immaginare a cosa, se avesse battuto Borg, sarebbe successo. Ma forse, a pensarci bene, questa storia è più bella così. 

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