Il contratto di agenzia regolato dagli artt. 1742 e ss. del codice civile è di ricorrente applicazione tuttavia può dar origine nel corso del rapporto, ad esempio contestazione delle provvigioni, o alla sua conclusione, indennità dovuta all’agente, a controversie giudiziarie a seguito del deterioramento dei rapporti tra il preponente e l’agente.
Come noto l’agente assume stabilmente l’incarico di promuovere per conto del preponente la conclusione di contratti in una zona determinata a fronte di una retribuzione.
Attenzione: il diritto a percepire le provvigioni si prescrive in cinque anni ex art.2948 n.4 c.c. che indica il termine prescrizionale per “…gli interessi e, in generale, tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi”.
Il termine decorre dalla scadenza dell’obbligo da parte del preponente di pagare le provvigioni e si applica anche in caso di parziale pagamento delle provvigioni dovute, prescrivendosi in tal caso nel medesimo periodo e a far data dalle singole scadenze di pagamento il diritto alla percezione delle differenze maturate.
La prescrizione decorre anche durante il rapporto, per le indennità di fine rapporto e sostitutiva del preavviso la prescrizione è decennale.
La Cassazione lavoro con la sentenza n. 19300 del 29 settembre 2015 si è nuovamente pronunciata in materia.
Gli assunti della Corte permettono di riflettere e per chi scrive dare suggerimenti a coloro che sono parti del contratto in questione e che talvolta si trovano a dover contrastare le avverse pretese in corso di rapporto e dopo la cessazione del contratto che prevede la forma scritta ad probationem.
La vicenda trae origine dalla sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Salerno che aveva respinto la domanda di accertamento del recesso del proprio agente in via anticipata rispetto ai sessanta mesi pattuiti avanzata da un istituto bancario.
La banca contestava la violazione dell’impegno assunto chiedendo la condanna al pagamento di una somma ingente derivante dal ricalcolo provvigionale a norma del mandato di agenzia e dall’indennità di mancato preavviso.
Il giudice di primo grado aveva compensato interamente tra le parti le indennità sostitutive di mancato preavviso, dovute alla banca preponente in virtù della clausola pattizia di divieto di anticipato recesso e all’agente per la ravvisata giusta causa del suo recesso fondata sul rifiuto immotivato della prima di conclusione di due affari con due banche di credito cooperativo, andati a buon fine per il loro rispettivo acquisto di 10 milioni e di 4,1 milioni di euro di valori mobiliari e servizi finanziari offerti dalla banca preponente con evidente ricaduta pregiudizievole dell’immagine professionale dell’agente.
L’agente aveva proposto una domanda riconvenzionale e la banca era stata condannata al pagamento di una somma rilevante per indennità di cessazione del rapporto ai sensi dell’art. 1751 c.c. e bonus maturato a norma del mandato.
Il giudice campano aveva escluso l’indennità suppletiva, assorbita dal calcolo più favorevole della prima indennità e ritenuto non provata la domanda risarcitoria per danno all’immagine.
La Corte di Appello confermava la sentenza di primo grado.
La Corte territoriale ribadiva la correttezza dell’impostazione argomentativa del Tribunale sia per la ricorrenza di una giusta causa su cui si era basato il recesso dell’agente dal rapporto per la violazione dalla banca preponente dei doveri di correttezza e buona fede, con la conseguente maturazione del diritto per costui all’indennità di mancato preavviso.
Detta indennità era tuttavia compensabile con quella spettante alla banca in virtù del “patto di stabilità” ravvisabile nella previsione del recesso anticipato a titolo oneroso tra le parti, non integrante clausola vessatoria.
Veniva escluso il carattere indebito delle somme versate dalla banca a titolo di bonus trimestrale, siccome dovute per l’attività svolta e correttamente calcolate.
Si riteneva corretta la valutazione del primo giudice di spettanza all’agente dell’indennità di risoluzione ai sensi dell’art. 1751 c.c. (siccome in concreto più favorevole dell’indennità suppletiva di clientela prevista dall’A.E.C. in corretta applicazione dei principi del diritto dell’U.E. come interpretati dalla Corte di Giustizia) e del bonus da corrispondere in unica soluzione alla scadenza del diciottesimo mese, confermando il rigetto delle domande risarcitorie dell’agente per danno patrimoniale e non patrimoniale in quanto non dimostrati.
La banca ricorreva in Cassazione e l’agente resisteva con un controricorso, contenente ricorso incidentale cui replicava la banca con controricorso.
La sezione lavoro della Corte ha accolto il ricorso della banca.
I giudici di legittimità hanno rilevato che l’istituto del recesso per giusta causa, previsto dall’art. 2119, primo comma c.c. in relazione al contratto di lavoro subordinato, è applicabile anche al contralto dì agenzia, dovendosi tuttavia tener conto, per la valutazione della gravità della condotta, che in quest’ultimo ambito il rapporto di fiducia (in corrispondenza della maggiore autonomia di gestione dell’attività per luoghi, tempi, modalità e mezzi, in funzione del conseguimento delle finalità aziendali) assuma una maggiore intensità rispetto al rapporto di lavoro subordinato.
Pertanto ai fini della legittimità del recesso, è sufficiente un fatto di minore consistenza, secondo una valutazione rimessa al giudice di merito insindacabile in sede di legittimità, se adeguatamente e correttamente motivata (Cass. 26 maggio 2014, n. 11728).
Ricorre l’obbligo della banca preponente nel rapporto di agenzia ex art. 1749 c.c. di agire con correttezza e buona fede nei confronti dell’agente, potendo la violazione di detti obblighi contrattuali configurare, in base alla gravità delle circostanze, una giusta causa di scioglimento del rapporto di agenzia, in applicazione analogica dell’art. 2119 c.c., con il consequenziale diritto dell’agente che recede all’indennità prevista dall’art. 1751 c.c. in caso di cessazione del rapporto.
Nel caso in esame risultava soltanto l’esercizio dalla banca della facoltà di recesso ad nutum nei contratti di gestione con gli investitori, ritenuta legittima dalla Corte territoriale, in base all’art. 14 del contratto e delle norme regolanti il servizio di gestione del portafoglio.
Nessun elemento concreto di specifica violazione dei suddetto obbligo di correttezza e buona fede era stato dedotto dall’agente al di là dell’affermazione della lesione della sua immagine professionale pure contraddetta dall’accertata consapevolezza degli stessi investitori, nei cui confronti si sarebbe verificata detta lesione, della mancanza di un coinvolgimento dei promotori nel recesso ingiustificato della banca, come dichiarato da una testimonianza assunta.
A differenza del rapporto di lavoro subordinato assistito da un obbligo datoriale di protezione della professionalità del lavoratore dipendente (Cass. 30 novembre 2010, n. 24231) e la cui tutela è prevalente rispetto alle esigenze organizzative del datore di lavoro, sul preponente non grava un obbligo analogo di ‘‘tutela” degli interessi del procacciatore-agente attraverso la imposizione di regole di conservazione dei contratti procurati a garanzia dell’interesse (e dell’immagine) di colui che abbia concorso a procurarli.
I motivi del controricorso dell’agente sono stati ritenuti infondati.
Va esclusa, secondo la Corte, la natura vessatoria della clausola di stabilità quinquennale, non rientrando in alcuna delle ipotesi previste dall’art. 1341, secondo comma c.c.: non può riferirsi alle restrizioni alla libertà contrattuale nei confronti dei terzi, per la previsione di un periodo di dodici mesi di preavviso ai soli fini della possibilità per la preponente di riliquidazione delle provvigioni in ragione del recesso anticipato dell’agente rispetto al patto di stabilità, così da computarle su quanto effettivamente spettante sulla base del trattamento economico scelto dall’agente ovvero l’erogazione provvigionale anticipata condizionata al raggiungimento degli obiettivi prefissati e concordati tra le parti.
Neppure ricorre un’ipotesi di nullità per difetto di causa, pienamente integrata dalla corrispettività delle prestazioni rese dall’agente in correlata ragione del trattamento economico liberamente convenuto.
La sentenza impugnata è stata cassata con rinvio alla Corte d’appello di Salerno in diversa composizione.
Focus per i lettori
“Nel rapporto dì agenzia il preponente ha l’obbligo, ai sensi dell’art. 1749 c.c., di agire con correttezza e buona fede nei confronti dell’agente, potendo la violazione di detti obblighi contrattuali configurare, in base alla gravità delle circostanze, giusta causa di scioglimento dello stesso rapporto di agenzia, in applicazione analogica dell‘art. 2119 c.c, con il consequenziale diritto dell’agente recedente all’indennità prevista dall’art. 1751 c.c. in caso di cessazione del rapporto, alla condizione della specifica allegazione e deduzione di una concreta violazione di tale obbligo, senza tuttavia che sul preponente gravi un obbligo di tutela degli interessi dell’agente attraverso l’imposizione di regole di conservazione dei contratti procurati a garanzia dell’interesse (e dell’immagine) di colui che abbia concorso a procurarli; non sussistendo, a differenza che nel rapporto di lavoro subordinato, un suo obbligo, analogo a quello del datore di lavoro, di protezione della professionalità dei lavoratore dipendente”.
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