In cella singola sì, ma senza un materasso su cui dormire, il neon accesso 24 ore al giorno e una sola coperta per ripararsi dal freddo pungente. Sarebbero peggiori del previsto le condizioni di detenzione di Cecilia Sala, la giornalista italiana arrestata a Teheran lo scorso 19 dicembre. Ieri Sala ha potuto telefonare al compagno, il giornalista Daniele Raineri, e ai genitori, rinnovando l’appello a “fare presto”.
Le condizioni di detenzione di Cecilia Sala
L’Iran non sta facendo sconti: secondo quanto riportano il Post e il Corriere della Sera, citando fonti vicine alla famiglia, le condizioni di detenzione sarebbero severe. A Sala non sarebbe stato recapitato neppure il pacco dell’ambasciata con qualche articolo per l’igiene, libri, dolci e una mascherina per coprirsi gli occhi. Le autorità le avrebbero confiscato anche gli occhiali da vista. Dorme sul pavimento con una coperta a terra. Non vede nessuno dal 27 dicembre. Le celle sono gelide. Ci sono regole molto rigide sugli oggetti che possono essere portati all’interno del penitenziario. Eppure le autorità iraniane avrebbero riferito all’Italia che quel pacco era stato consegnato. “Fate presto” avrebbe ripetuto la giornalista ai genitori.
Il ministro Tajani convoca l’ambasciatore
La reazione del governo non si è fatta attendere. “Ho dato mandato al segretario generale della Farnesina di convocare l’ambasciatore iraniano a Roma” annuncia su X il ministro degli Esteri Antonio Tajani, aggiungendo che l’incontro “avverrà alle ore 12”. “Come dal primo giorno dell’arresto di Cecilia Sala”, l’esecutivo “lavora incessantemente per riportarla a casa e pretendiamo che vengano rispettati tutti i suoi diritti. Fino alla sua liberazione, Cecilia e i suoi genitori non saranno mai lasciati soli”.
E il caso Sala oggi sarà al centro di un vertice che si terrà nel pomeriggio a Palazzo Chigi. Oltre alla premier Giorgia Meloni parteciperanno lo stesso Tajani, il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, il Sottosegretario alla Presidenza, Alfredo Mantovano e i Servizi di intelligence.
La richiesta formale del governo all’Iran
Solo ieri, attraverso una nota verbale consegnata dall’ambasciatrice a Teheran Paola Amadei, il governo italiano aveva chiesto “garanzie totali sulle condizioni di detenzione di Cecila Sala” e la sua “liberazione immediata”. La nota al governo iraniano contiene anche una richiesta “ferma e ripetuta” di chiarezza sulle condizioni di detenzione della giovane, sulla possibilità di fornire generi di conforto e sulla garanzia che questi vengano consegnati effettivamente. “I tempi e le modalità di detenzione della cittadina italiana Cecilia Sala saranno una indicazione univoca delle reali intenzioni e dell’atteggiamento del sistema iraniano nei confronti della Repubblica italiana“, osservano fonti della Farnesina.
Evin, il carcere dove è rinchiusa Sala, simbolo della repressione in Iran
L’istituto penitenziario di Evin in cui è detenuta la giornalista è diventato famoso in Italia quando nell’autunno 2022 è stata rinchiusa per 45 giorni la travel blogger Alessia Piperno, prima di essere liberata e poter rientrare in Italia dopo una lunga trattativa che ha impegnato la diplomazia e i servizi segreti. È la stessa prigione dove il regime iraniano tiene i dissidenti, giornalisti, attivisti e membri di minoranze etniche e religiose.
Detenzioni arbitrarie, torture fisiche e psicologiche e abusi che si ripetono da decenni accompagnano la storia del famigerato carcere di Evin. Il penitenziario, che si estende su 43 ettari ai piedi delle montagne a nord di Teheran, è stato aperto nel 1972 e già da allora, quando era gestito dalla Savak, la polizia segreta che rispondeva al regime dell’ultimo Shah, Mohammad Reza Pahlavi, era il luogo dove venivano incarcerati oppositori e detenuti politici. Evin ha acquisito notorietà internazionale anche per la detenzione di cittadini con doppia cittadinanza, spesso accusati di spionaggio, e per il trattamento riservato a figure di rilievo come avvocati, attivisti per i diritti delle donne e intellettuali. La struttura è stata soprannominata ‘Evin University’ per l’alto numero di studenti e accademici incarcerati.
Secondo le organizzazioni per la difesa dei diritti umani la prigione, che si stima ospiti circa 15mila detenuti, è caratterizzata da condizioni di sovraffollamento e carenze igienico-sanitarie. Molte ong, tra cui Amnesty International, hanno denunciato l’uso sistematico della tortura, esecuzioni sommarie e il mancato accesso a cure mediche per i prigionieri. Le testimonianze parlano di celle sovraffollate, aree di isolamento e un controllo ferreo da parte delle autorità.
La sezione 209, sospettata di essere gestita dal ministero dell’Interno, è l’ala del carcere dove è più dura la mano del regime. I detenuti che hanno vissuto quest’esperienza hanno raccontato di essere stati bendati e portati in un seminterrato dove si trovano una novantina di celle su più file. La luce rimane accesa 24 su 24 e in ogni cella c’è solo una piccola finestra. Qui, come spesso denunciato dalle organizzazioni per la tutela dei diritti umani, tra cui Amnesty International, gli abusi e le violenze sono all’ordine del giorno
Tra gli eventi più tragici legati a Evin vi è il massacro del 1988, quando migliaia di prigionieri politici furono giustiziati sommariamente. Più recentemente, nel 2022, un incendio all’interno della prigione, scoppiato durante le proteste antigovernative, ha causato diverse vittime (almeno 8 ma il numero resta incerto) e decine di feriti, portando nuovamente Evin sotto i riflettori internazionali.
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