Come cambiano le abitudini dei consumatori nel post Coronavirus

La clausura imposta dalla pandemia da Covid-19 ha inevitabilmente cambiato le abitudini dei consumatori. Basti pensare che, con il lockdown, anche la spesa di generi alimentari è diventata, per tanti, una prassi da fare online per evitare di uscire rischiando di contagiarsi.

L’imponderabile che è piombato nelle nostre vite ha determinato un altrettanto inimmaginabile velocità nei cambiamenti delle abitudini di consumo della popolazione mondiale.

E’ quello che evidenzia il Future Consumer Index che la società di consulenza manageriale Ernst&Young ha creato per aiutare leader e decisori a capire questi cambiamenti e comprendere le esigenze emergenti su cui dovranno tarare le loro prossime azioni. Un indice in fieri, che nei prossimi mesi produrrà altre considerazioni importanti.

Per il momento, l’emergenza Coronavirus ha determinato il delinearsi di quattro tipologie di consumatori:

I pessimisti rispetto agli effetti di lungo-termine della pandemia, preoccupati per la propria famiglia, che, di conseguenza, tendono a risparmiare e a fare scorte, sebbene non siano particolarmente preoccupati per la pandemia in sé. Questa tipologia, rappresenterebbe il 35% dei consumatori.

Un 27% annovera invece quelli che hanno tagliato le spese in ogni settore del consumo perché molto colpiti dall’evento pandemico e molto preoccupati per il futuro.

Ci sono poi quelli (26%) che restano abbastanza imperturbabili, che non hanno cambiato le proprie abitudini di spesa perché non sono stati impattati direttamente dalla pandemia e sono preoccupati soprattutto dal fatto che gli altri facciano scorte di merce.

Infine l’11% è rappresentato dagli “ibernati”, che continuano a spendere come e più di prima perché, sebbene preoccupati per la situazione attuale, hanno gli strumenti per affrontarla e sono più ottimisti.

La diversità di reazione all’evento epocale che stiamo vivendo si giustifica anche guardando ai dati relativi all’età dei consumatori.

Gli appartenenti alla categoria di quelli che hanno tagliato le spese, ad esempio, hanno un’ età media superiore ai 45 anni e sono quelli per i quali il brand dei prodotti che acquistano non è importante. Il 64% di loro acquista solo l’essenziale e sono coloro i quali stanno maggiormente soffrendo le conseguenza della crisi in termini di lavoro: un quarto di loro non sta lavorando più in maniera permanente o temporanea. Di contro, quelli che, in questa fase, continuano nelle loro spese appartengono alla fascia d’età compresa tra i 18 e i 44 anni e, di questi, solo il 40% afferma di effettuare acquisti con minor frequenza di prima mentre il 42% afferma che è cambiata significativamente la tipologia di prodotti acquistati e per il 46% adesso la marca di quello che comprano è persino più importante di prima.

Quello che è certo è solo il cambiamento in atto, in quanto quello che è comune alle diverse risposte dei consumatori è l’atteggiamento di attesa e di riflessione: sono pochi, infatti, i consumatori convinti che nel post-Covid19 torneranno alle vecchie abitudini. Qualcosa, inevitabilmente, cambierà.

Riguardo  quello che sarà il futuro, infatti, il report ipotizza che si possano distinguere cinque segmenti di consumatori:

Quelli che torneranno alla normalità (31%), per i quali la pandemia non sarà stato un evento così stravolgente in quanto le loro vite saranno rimaste praticamente immutate e così anche la loro capacità di spesa. Solo il 29% di essi crede che modificherà le modalità di fare shopping e solo il 21% pensa che cambierà il proprio paniere di spesa.

Il 25% sarà occupato da quelli che il report definisce con l’ossimoro “cautamente esagerati”, preoccupati e consapevoli che si andrà incontro ad una recessione ma al contempo cautamente ottimisti, con una capacità di spesa dal medio all’alto, che gli consentirà di continuare a spendere nelle proprie aree di interesse, come la salute. Il 45% di loro è convinto che cambierà in maniera definitiva il modo in cui faranno shopping ed il 62% è propenso a preferire aziende o marchi che fanno qualcosa di buono per la società. Addirittura il 29% sarebbe disposto a pagare di più per brand che contribuiscono al bene della comunità e il 42% per beni prodotti in casa.

Ci sono poi i parsimoniosi (22%), che, tra i più pessimisti riguardo al futuro, tentano di restare in piedi tagliando alcune spese drasticamente e spendendo un po’ in meno sul resto.

Solo il 13% annovera quelli che continueranno a tagliare le spese.Sono, in genere, persone dalla bassa scolarizzazione e più esposte al rischio di non ricollocarsi, per le quali, dunque, la pandemia ha rappresentato una grande preoccupazione che ha modificato la natura e la modalità dei loro acquisti.

I più ottimisti, che credono che in una ripresa col botto sono solo il 9%. L’atteggiamento controcorrente si spiega con la giovane età e la presenza di un lavoro, dunque di una fonte di reddito, per cui, sebbene la pandemia gli abbia cambiato la vita, sono più propensi a spendere di più in tutte le categorie, anche per il superfluo.

Lo scenario prevedibile

In generale, lo scenario che si prefigura indica che i consumatori saranno più attenti a quello che acquistano, sia per una questione di risparmio che di consapevolezza e responsabilità rispetto agli impatti che il consumo può avere su vari aspetti della vita del singolo e della comunità.

Si può prevedere un rafforzamento dell’abitudine a scegliere marchi e aziende responsabili ed attente all’ambiente, ai diritti dei lavoratori, alle esigenze della comunità, alla ricerca, alla qualità, al rispetto e alla valorizzazione delle produzioni locali. Questo si tradurrà anche in una maggiore attenzione al rapporto costo-qualità piuttosto che al prezzo in sé, ma questo avrà come conseguenza la richiesta di maggiore trasparenza e tracciabilità della supply chain da parte delle aziende.

Condivisione dei dati privati. Anche la disponibilità dei consumatori (53%) a mettere a disposizione i propri dati personali se questo può essere di aiuto a monitorare, ad esempio, l’andamento di un’infezione, cioè se questo può essere utile alla società, sarà un comportamento di cui le aziende dovranno tener conto nel riprogettare il proprio business model.

Valentina Tafuri
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Giornalista free-lance. Ha all'attivo collaborazioni giornalistiche con varie riviste/giornali, sia della carta stampata (Focus, Donna Moderna, Focus Jr., Il Denaro, La Città, Riflessi) sia con siti web (direttore di www.ecodisalerno.com, ha collaborato con www.infocity.it). Si occupa anche di consulenza aziendale in qualità di addetto stampa e in ambito di comunicazione: piano di comunicazione, giornalista e addetto stampa, organizzazione fiere e meeting aziendali, content manager. Si occupa anche di traduzioni e attività commerciali con l'estero.