In un mondo globalizzato la paralisi della Cina dovuta al Coronavirus avrà ricadute pesanti per tutti. Soprattutto per i Paesi esportatori, in particolare se a crescita zero come l’Italia.
Nessuno ha dubbi sul fatto che la Cina, già indebolita dalla guerra commerciale con Trump, sia la vittima numero uno dell’epidemia. Fare stime sull’impatto del coronavirus sul Dragone non è facile, ma con oltre 50 milioni di persone in quarantena e migliaia di fabbriche chiuse le previsioni dei think thank diventano sempre più cupe.
Secondo Oxford Economics, nel primo trimestre dell’anno il virus costerà alla seconda economia mondiale due punti percentuali di Pil, facendo deragliare la crescita complessiva 2020 al 5,4% (anziché il 6% previsto prima dell’epidemia). Ma il vero problema è che il coronavirus, costringendo alla chiusura di migliaia di fabbriche cinesi, sta distruggendo intere catene del valore ormai ampiamente globalizzate: e non parliamo solo di chimica o automotive, con le forniture di componentistica per esempio a Toyota e General Motors che iniziano a scarseggiare, ma anche di elettronica e tessile.
Sindrome cinese sull’economia globale
Visto che la Cina non produce solo magliette e giocattoli di plastica come ai tempi della Sars, il micidiale virus polmonare del 2002-2003, l’impatto del coronavirus sarà duro anche per il resto del mondo.
«Il Dragone rappresenta circa un terzo della crescita globale, con una quota percentuale superiore a quelle di Stati Uniti, Giappone ed Europa messe assieme» ha sottolineato Andy Rothman, economista di Matthews Asia. E le dimensioni dell’economia cinese sono quadruplicate rispetto a 18 anni fa. Come calcolare l’impatto dell’epidemia sul Pil mondiale? Pantheon Macroeconomics è partita proprio dalla Sars: allora quella forma di coronavirus aveva buttato giù la crescita trimestrale cinese di un punto percentuale (all’1,8% nel periodo aprile-giugno, contro il 2,8% stimato). A livello globale, secondo le stime di Cebr, il virus del 2003 bruciò da 30 a 100 miliardi di dollari, pari a un range compreso tra lo 0,08% e lo 0,25% del Pil mondiale.
Oggi, con l’economia cinese quadruplicata, il coronavirus potrebbe avere un impatto negativo sul Pil mondiale anche superiore all’1,8%, tarpando le ali a una crescita globale stimata per il 2020 al 2,9%. Sempre che non si riesca a trovare una cura in fretta.
La fragile Italia in prognosi riservata
Quando l’economia mondiale ha un raffreddore, l’Italia – con la sua crescita zero – rischia la polmonite. La sindrome cinese ci colpirà in molto più profondo di quanto si pensi: non per il virus di per sé, ma per le sue ricadute economiche. Anche perché, come la Germania, abbiamo un sistema economico che poggia sulle esportazioni e i cinesi sono i maggiori consumatori mondiali (o almeno, lo erano prima di finire in quarantena).
I due settori del made in Italy che probabilmente soffriranno di più sono turismo e lusso. Entrambi molto importanti. Iniziamo dal turismo, che doveva proprio quest’anno celebrare l’apoteosi dei viaggiatori dell’ex Celeste Impero dopo un 2019 record con 5,3 milioni di presenze: quarantene e blocco dei voli stanno facendo cadere in vite il mercato cinese, il più importante per valore in Italia.
Solo a Firenze e provincia si stima una crollo di presenze che può arrivare a 400mila unità fino a maggio. Bernabò Bocca, presidente di Federalberghi, parla di una perdita netta di mezzo milione di turisti cinesi. Il conto sarà molto salato anche per il lusso: gli acquisti del settore esentasse nel 2019 hanno come protagonisti proprio i cinesi (28%), per una spesa totale di 462 milioni di euro, oltre 300 euro al giorno, circa 1.500 euro a viaggio.
Considerando che al momento non arrivano cinesi in Italia, anche perché i voli sono stati cancellati, non c’è da essere allegri. Il turismo vale il 10% del Pil italiano, il lusso oltre il 50% della nostra bilancia commerciale. E poi c’è la catena internazionale del valore: per esempio l’impatto sui produttori italiani di freni montati sulle supercar tedesche che fino a ieri venivano vendute in Cina. Speriamo davvero che il picco del coronavirus passi in fretta. Prima che a finire in prognosi riservata sia la fragile Italia.
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