Cosa farebbe oggi Churchill in un mondo che sembra impazzito?

Il mondo sembra impazzito, tensioni sociali e conflitti si moltiplicano all’infinito e nessuna leadership politica appare in grado di gestirli. In questa delicata curva della Storia è interessante riflettere su come si sarebbe comportato oggi uno statista come Winston Churchill, che ha saputo difendere la Gran Bretagna dalla furia nazista e che ha trasformato in vantaggio qualsiasi ostacolo trovato sulla strada. E,’ ovviamente, un esercizio di immaginazione che può però aiutarci a inquadrare le dinamiche in corso da un’altra prospettiva.


Non è facile cavalcare l’onda della Storia, per questo esistono gli statisti. È questione di intuito, di saper leggere i segni, di concepire la politica come una disciplina a metà strada tra buon senso e arte divinatoria. Prendiamo il proliferare di conflitti, autocrazie, rigurgiti nazionalisti, xenofobi e antisemiti cui assistiamo un po’ ovunque in quella che forse potremmo considerare la darkest hour del nostro tempo… Churchill non avrebbe avuto dubbi sul loro significato nefasto, che poi non serve neanche essere Churchill per capirlo. Invece tra i governanti del mondo contemporaneo c’è chi minimizza o fa finta che sia tutto normale, dimostrando di non sapere cosa sia la memoria e di aver perso il senso della storia e dei suoi eterni ritorni.

Churchill era consapevole di operare in un continuum iniziato con la civiltà greco-romana, altrimenti non avrebbe visto arrivare prima degli altri le minacce del Novecento. Quella nazista anzitutto, ignorata dal suo predecessore, e poi quella sovietica, ben prima di Yalta, quando Stalin era ancora una specie di mito. Ma soprattutto capì prima degli altri che il Regno Unito da solo non avrebbe potuto reggere a lungo l’urto della Storia, e che l’Europa, per salvarsi, avrebbe dovuto unirsi. Lo scrisse nel 1930, poi nel 1940 tentò l’unione con la Francia, e infine a Zurigo, all’indomani del conflitto, invocò l’unificazione del continente da questa parte della “cortina di ferro” per contenere le mire di Mosca.

I suoi capisaldi di politica europea avevano iniziato a formarsi all’età di otto anni, durante un viaggio a Parigi assieme al padre. Quando a Place de la Concorde, davanti ai monumenti coperti di crespo nero, si era reso conto di provare una forte simpatia per i francesi e un sentimento opposto nei riguardi dei tedeschi, che nel 1870 a Sedan avevano decretato i destini di Francia come già i prussiani a Waterloo nel 1815. Dopodiché, negli anni seguenti, alla passione per la politica si era aggiunta quella per i classici, latini e inglesi, dai quali era capace di citare a memoria centinaia e centinaia di versi.

Comunque fu in India, tra il 1895 e il 1898, che cominciò a studiare sistematicamente la storia, perché aveva notato che Harrow e Sandhurst gli avevano lasciato delle lacune e che gli altri ufficiali provenienti da Oxford e Cambridge sapevano più cose di lui. E così in quegli anni lesse e rilesse Declino e caduta dell’impero romano di Edward Gibbon e anche la Storia d’Inghilterra di Macaulay. E poi Schopenhauer, Darwin, Malthus, e soprattutto Keats e William Blake, che insieme a Cicerone, Virgilio e Shakespeare avrebbero fatto per sempre parte della sua sterminata biblioteca mentale, dalla quale attingeva la line to take ogni volta che gli serviva.

«Politico, sportivo, artista, storico, parlamentare, giornalista, saggista, giocatore, soldato, corrispondente di guerra, avventuriero, patriota, internazionalista, sognatore, pragmatico, stratega, sionista, imperialista, monarchico, democratico, egocentrico, edonista e romantico” scrisse di lui un suo biografo. E oggi dovremmo aggiungere colonialista ed espansionista, come voleva lo spirito del suo tempo. Anche se forse più di tutto Churchill fu uno statista-scrittore, capace di vedere il mondo anzitutto per come poteva essere scritto, da cui il Nobel nel 1953: un mondo dove la storia e la letteratura erano tutt’uno con la politica e l’arte di governare.

Abbiamo detto che immaginare cosa farebbe oggi al cospetto del XXI secolo è solo un esercizio della fantasia, epperò è difficile resistere alla tentazione e non chiedersi come declinerebbe il suo conservatorismo, il suo euro-atlantismo o l’interesse nazionale britannico in un mondo dove l’Occidente è chiamato a fare i conti con l’ascesa del Global South… Di sicuro continuerebbe a credere nei suoi valori – libertà, difesa del parlamento, primazia della legge – nella convinzione che l’adozione della Magna Charta, la dichiarazione dei diritti e la costituzione americana continuino a rappresentare il culmine della civiltà. E forse, visto che per lui le esigenze del presente non dovevano mai pregiudicare il futuro, appoggerebbe pure le transizioni verde ed energetica, almeno a giudicare dalla passione con cui nella dimora familiare di Chartwell aveva sempre cercato di coniugare natura e tecnologia.

Anche sui conflitti ucraino e mediorientale potremmo giocare ad attualizzare il suo pensiero. In Medio Oriente, in quanto sionista e sostenitore della dichiarazione Balfour, lo troveremmo di certo al fianco di Israele, nonostante di israeliani come il suo amico Weizmann oggi in giro se ne vedano pochi. E forse sarebbe anche orgoglioso dei “suoi” monarchi del Golfo, su cui aveva scommesso per primo e che di strada ne hanno davvero fatta parecchia. Per il resto Iraq Giordania, di cui aveva tracciato i confini, stanno ancora lì, ne sarebbe felice; mentre forse le devastazioni in Siria Libano, paesi che aveva “aiutato” ad affrancarsi dalla Francia, lo preoccuperebbero più di quelle a Gaza e in Cisgiordania.

Infine si può scommettere che si sarebbe opposto con ogni mezzo all’aggressione all’Ucraina da parte di Putin. Perché con la Russia aveva un conto in sospeso fin dai tempi del Grande Gioco afghano, anche se poi, fedele all’interesse nazionale, ci si era alleato in due guerre mondiali. A confermare questi suoi sentimenti, che non riguardavano il popolo russo ma i suoi leader, c’è pure un componimento scritto ad Harrow a quattordici anni, dove immaginava un’invasione della Russia zarista da parte dell’esercito britannico. Un trionfo di proclami di guerra, manovre militari e piani di battaglia di cui mai come oggi sarebbe andato fiero.

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