Da Bogotà a Trieste, la nuova rotta del traffico di cocaina

Il porto di Gioia Tauro è un diventato sorvegliato speciale, i sequestri di droga sempre più frequenti hanno messo in difficoltà i narcos che sono stati costretti a trovare rotte alternative per far arrivare la cocaina in Europa. I cartelli colombiani hanno puntato su Trieste, storica terra di confine tra est e ovest e dotata di un porto situato in posizione strategica per gestire gli scambi commerciali col nord europa.


Trieste, provincia di Bogotà

E’ un pomeriggio di fine inverno come tanti a Covo, paese della bergamasca, quattromila abitanti, cinque strade che si incrociano nella pianura circondata da campi di grano. Da queste parti il silenzio è la regola. A un tratto, in una stradina secondaria che porta a una villetta, piomba prima un furgone Renault a tutta velocità e poco dopo si vede sfrecciare una colonna di auto della Guardia di finanza di Trieste. La quiete e la calma sono interrotte dal rumore delle sgommate, delle frenate e dalle sirene. Un signore che passeggiava si ferma, osserva la scena, pensa a un film che stanno girando nel suo paesino. Si sentono urla, «fermati, fermati».

Il furgone riparte verso Soncino, sulla statale viene quasi speronato dalla volante della Finanza: gli agenti vedono l’autista scappare. Un finanziere scavalca una staccionata e in un campo, tra il grano alto, inizia l’inseguimento a Fathi, un francese di origini magrebine: con un balzo lo blocca, nel furgone verranno trovati otto chili di cocaina purissima, centomila dosi potenziali sul mercato al dettaglio. A Covo viene fermato un suo sodale che stava nella villetta, Ammari.

Ma che ci fanno i militari della Finanza triestina nel cuore della pianura Padana e a 370 chilometri dai loro uffici, tra stradine e campi di grano a loro sconosciuti? Perché inseguivano quel furgone e come facevano a sapere che dentro c’era un carico di cocaina?

Inizia da queste domande il racconto di una nuova grande rotta mondiale della droga europea che ha il suo cuore nel Nordest, tra Trieste, Capodistria e Venezia: da ovest in arrivo dalla Colombia, da est dall’Afghanistan. Cocaina dal Sud America, eroina dal Medio Oriente. Punto di approdo il porto di Trieste e l’area di confine.

Ma di questa rotta non si trovano molti numeri nelle statistiche ufficiali. I sequestri di droga, fatti grazie al lavoro della procura di Trieste guidata da Federico Frezza che è riuscita a truffare i più grandi narcos colombiani, in gran parte tecnicamente non sono avvenuti dentro al porto di Trieste: anche se al porto erano diretti i carichi grazie a una stratagemma inventato dagli investigatori.

Quindi i numeri non compaiono nelle statistiche per il commercio via nave della droga: come vedremo questo è accaduto per la complessa “truffa” messa in campo dai finanzieri ai danni dei due tra i più grandi cartelli dei narcotrafficanti colombiani, il clan del Golfo e il clan di Cana.

In due anni sono stati sequestrati a Trieste e nei porti dell’alto Adriatico oltre 6 tonnellate di droga proprio quando diminuiscono i sequestri nel porto storicamente riferimento per le spedizioni colombiane gestite dalla ‘ndrangheta, il grande buyer europeo della coca rigorosamente made in Italy: Gioia Tauro. Qui le forze dell’ordine hanno fermato 14 tonnellate di droga nel 2021, 16 tonnellate nel 2022 e appena 4 tonnellate lo scorso anno e poco più di 3 quest’anno.

Ma i controlli sono stati sempre costanti: quindi cosa sta accadendo in Calabria? E, soprattutto, cosa sta accadendo nella giungla colombiana nelle mappe del grande traffico di cocaina in mano ai narcos più spietati al mondo?

La risposta sembra essere nella rotta verso il Nord Est che nelle statistiche ufficiali dell’antidroga quasi non appare.

Di certo c’è invece che nella città della piazza più grande sul mar Mediterraneo ultimamente fanno capolino diversi boss colombiani, emissari dei grandi capi: come Abel Ramon Castano Castano, inviato da Jobani Avila detto “Chiquito Malo”, oggi capo del più grande clan della droga in Sud America, quello del Golfo; oppure Alvarez Villada detto “Chamo”, emissario del clan di Cana guidato da Antonio Rincones detto “Marcos”. Vengono per sovrintendere all’ultimo miglio del viaggio, la consegna ai corrieri europei: per testimoniare che la droga è buona, la migliore al mondo, e quindi la più costosa. Per dare una idea, solo i sequestri avvenuti a Trieste sul mercato delle dosi valgono quasi 250 milioni di euro.

A Trieste e dintorni fanno non a caso capolino anche i distributori di coca di mezza Europa: svizzeri, albanesi, francesi, tedeschi. E proprio per scoprire anche questa fitta rete il magistrato Frezza, che da venti anni segue i traffici di droga dal Sud America e ha creato una squadra di altissimo valore, va in prima persona alle operazioni e si spinge insieme ai finanzieri di Trieste fino a Bergamo, Milano, Pavia, Roma, Siena. Il tutto collaborando con la polizia colombiana (la famosa Direccion especializada contra el narcotraffico) e ricevendo segnalazioni da infiltrati in Sud America e in Iran che segnalano l’arrivo di un carico che spesso, purtroppo, è difficile da intercettare. Per questo il sospetto degli inquirenti, quasi la certezza ormai, è che i colombiani, conosciuta la tratta verso Trieste e il Nord Est, stiano ancora facendo passare da questa area carichi di droga verso l’Europa con cifre che potrebbero essere spaventose.

Il colpo al clan di Cana

La rotta Triestina “nasce” dopo un mega sequestro rocambolesco da 4 tonnellate fatto nel 2022 e si conferma con un secondo sequestro da 800 chili. «Quest’ultima operazione inizia quando la Direzione distrettuale antimafia di Trieste riceve una segnalazione da due infiltrati della polizia di Bogotà riferiti a un carico di cocaina uscito dalla foresta e che è previsto in partenza dal porto di Carrejon a La Guajira direzione il nostro porto», racconta il comandante del Gico di Trieste, il tenente colonnello Marco Iannicelli. A questo punto viene organizzata la messa in scena. I cartelli colombiani non si occupano direttamente di seguire il carico fino a quando si imbarca: loro vendono la cocaina alle grandi mafie europee, tramite spesso uomini di ‘ndrangheta. Fanno uscire quindi dalla foresta l’oro bianco e poi attraverso dei mediatori caricano tutto sui container camuffati alla meglio. La polizia colombiana intercetta proprio questo ultimo passaggio, prende il carico in segreto, lo mette su un aereo di linea della Air Iberia direzione Madrid. Qui la cocaina viene presa in carico dalla polizia spagnola che con un secondo aereo, questa volta militare, la fa arrivare a Trieste dove viene messa dalla Finanza in un magazzino.

Per i colombiani il carico è partito, ha fatto scalo in Marocco e Turchia e poi è arrivato in Italia. Al porto di Trieste un agente sotto copertura, camuffato da addetto alla logistica, in base alle indicazioni che gli danno i colleghi colombiani infiltrati nel clan, prende i contatti con i narcotrafficanti per fare le consegne ai vari corrieri. «Il nostro obiettivo non è solo quello di fermare la droga dalla Colombia, ma di ricostruire anche la rete dei corrieri e vedere dove sono dirette le varie consegne» dicono dal Nucleo di polizia economica e finanziaria di Trieste, con agenti che per mesi dormono poche ore a notte e sempre con il telefono in mano in attesa della chiamata per le consegne e di avventurosi inseguimenti in giro per l’Italia.

Il primo che chiama l’agente sotto copertura è Alvarez Villadas, colombiano. Il 12 marzo si presenta al centro commerciale di Portogruaro per ricevere 12 chili di cocaina e dà una informazione interessante all’agente italiano camuffato da addetto alla logistica: «Questo è solo l’inizio, sta arrivando a Trieste un secondo carico da 2 tonnellate destinato a mediatori svizzeri in gran parte, solo 500 chili saranno distribuiti in Italia». È una informazione importantissima: due tonnellate valgono quasi 100 milioni di euro sul mercato delle dosi.

Pochi giorni dopo l’agente sotto copertura viene contattato da Mesa Correa, delegato colombiano del clan di Cana che sovrintenderà da qui in poi a tutte le operazioni di consegna: «Verranno due calabresi», dice. Si presentano quindi a Trieste due calabresi, uno di loro sospettato dagli inquirenti di essere il riferimento della cosca Ursini-Macrì che opera a Gioiosa Jonica. Il carico, pari a 85 chili, sembra destinato alle piazza di spaccio dell’Emilia Romagna: il furgone con la droga guidato da due calabresi parte alla volta di Bologna.

Il telefono dell’agente sotto copertura suona continuamente: una volta è un tale Rossi che deve sovrintendere alla consegna di un carico verso il Belgio. Poi a chiamare una seconda volta sono dei franco marocchini che partono alla volta di Bergamo e Milano (e verranno fermati a Covo), o ancora altri francesi che devono consegnare la droga agli spacciatori di Pavia e poi di Siena. «I corrieri vengono mandati a Trieste da chi ha già acquistato la cocaina trattando con i colombiani e pagandoli in anticipo: non a caso non c’è mai uno scambio di denaro qui in Italia, soltanto il pagamento per il trasporto e lo stoccaggio, diciamo, che viene saldato con cifre fino a 100 mila euro», continua Iannicelli.

La grande messa in scena

Qualcosa di importante sta accadendo dalle parti di Trieste. Ne sono convinti gli inquirenti da quando nel 2021 in città si è presenta Abel Ramon Castano Castano, 54 anni, un colombiano dall’aspetto gentile e dai lineamenti garbati, vestito elegante con giacca blu e camicia bianca. A inviarlo in Italia era stato Jobani Avila detto Chiquito Malo, oggi capo del più grande clan della droga in Sud America, il cartello del Golfo. Chiquito ha preso le redini dell’organizzazione paramilitare che detta legge nel Nord del Paese, in quei giorni del 2021 era il numero due di Dairo Antonio Úsuga David, detto Otoniel, il sanguinario storico boss che sulle spalle ha decine di omicidi e 120 processi, arrestato lo scorso ottobre. Castano Castano si presenta davanti a un agente sotto copertura che si finge responsabile di una società che si occupa della movimentazione merci nel grande porto italiano. Dalla Colombia gli hanno detto che è lui il gancio per costruire la nuova rotta della cocaina dal Sud America verso l’Europa. Deve capire in questo colloquio se può fidarsi. Se non ci sono trappole, se non è tutta una trappola. Come in realtà è grazie a un lavoro durato mesi tra la polizia colombiana e la Guardia di finanza triestina, ma non solo.

Questa storia che porterà a uno dei più grandi sequestri di cocaina in Italia (4 tonnellate) e accenderà i riflettori sulla rotta triestina inizia quando in gran segreto le autorità colombiane, insieme ad agenti dell’Hsi americana, la Homeland Security Investigations, arrivano a Roma. E segnalano che dal Puerto Bolivar sta per partire un carico incredibile di droga. Gli inquirenti costruiscono quindi la messa in scena (molto simile a quella utilizzata recentemente per il secondo grande sequestro da 800 chili): “Capiamo subito che dobbiamo infiltrarci in un anello preciso della catena, quello della logistica, perché ai colombiani interessa vendere e trattare, ai broker comprare, ma la logistica la lasciano sempre a terzi”, dice un inquirente. La truffa non è imbastita solo in Italia, ma anche in Colombia. Il cartello del Golfo invia ai primi di maggio del 2021 un primo carico di trecento chili in un porto al Nord del Paese. Lì una nave container caricherà la droga dentro macchinari industriali: è la prima consegna che serve solo come prova per testare l’affidabilità di tutta la filiera. Ma a Puerto Bolivar il gancio della polizia colombiana nel cartello avvisa i colleghi e scatta in segreto il sequestro della cocaina, che verrà inviata a Trieste attraverso un volo di linea “Ibera”, e poi presa in consegna dalle autorità Italiane e conservata in un deposito segreto. I narcos sono convinti invece che la cocaina è sulla nave, che salpa alla volta della Spagna, poi fa uno scalo in Turchia e arriva il 16 maggio a Trieste. Il 17 si presenta negli uffici della finta società di logistica Castano Castano. Il colombiano, si scoprirà poco dopo, è in contatto diretto con Martinez Quiroza, il “Chiquito Malo”.

Pochi giorni dopo l’operazione si conclude: sulla chat criptata è arrivato un messaggio in dialetto calabrese con minacce di morte. Non si può mettere più a repentaglio la vita di un collega che per un anno ha recitato una parte di fronte ai rappresentanti del clan colombiani più feroci.

Ma la scia di sequestri non finisce: alle due grandi operazioni che abbiamo raccontato ne vanno aggiunte altre a Trieste e dintorni, come i 300 chili di cocaina sequestrati a Capodistria e i 5 chili trovati a un corriere al confine con la Slovenia, e il sequestro fatto a Venezia: la Guardia di finanza ha scovato 570 panetti di coca purissima nei condotti di areazione di una nave cargo diretta al porto veneto. «A Trieste da sempre, per la sua collocazione geografica, ci sono traffici vari e la droga è tra questi storicamente – dice un investigatore di lungo corso – però quello che sta emergendo in questi ultimi anni è che la città, il suo porto e gli approdi del mar Adriatico del Nord sono diventati un riferimento mondiale importante. Gioia Tauro è sempre di più sotto la lente di ingrandimento e i narcos cercano altre vie».

I numeri confermano questa tesi. Secondo l’ultima relazione della Direzione centrale dei servizi antidroga del ministero dell’Interno nel 2023 sono stati sequestrati al porto di Gioia Tauro 4,8 tonnellate di cocaina, contro le 16 tonnellate dell’anno precedente e le 14 tonnellate del 2021. Quest’anno il trend è confermato: ieri la Gdf ha sequestrato 800 chili nel porto calabrese segnalando che per il 2024 si è arrivati a 3,6 tonnellate.

Un calo strano, non dovuto «a una minore intensità dei controlli» assicurano gli investigatori. Si legge nell’ultima relazione: «La strada maestra utilizzata dai narcotrafficanti per invadere di cocaina colombiana il mercato europeo è costituita dalla “rotta europea” ovvero dalle linee marittime commerciali che dai porti ecuadoriani conducono verso i porti più importanti d’Europa: Anversa, Rotterdam, Amburgo, Le Havre, Algeciras, Valencia e Salonicco. Tra quelli italiani, Gioia Tauro è sicuramente il porto preferito per il transhipment finalizzato a convogliare lo stupefacente verso i mercati dell’Europa balcanica e orientale, al pari di Malta. Ma anche Livorno e Genova sono possibili destinazioni finali italiane». Di Trieste e dintorni nelle relazioni ufficiali non c’è molto.

L’eroina dall’Afghanistan, le sigarette dalla Turchia

Ma che Trieste sia uno snodo nel narcotraffico mondiale lo dimostra in controluce anche un sequestro che non ha fatto molto scalpore, ma che per gli inquirenti è la spia di qualcosa di importante. Qualche mese fa la Guardia di finanza, insieme alla polizia di Frontiera marittima di Trieste e Adm sequestra 22,6 chili di pasta da oppio nascosti in un doppio fondo del vano marmitta della motrice di un autoarticolato iraniano diretto in Germania e con porto intermedio in Turchia. Sullo stesso camion arriva nei giorni successivi una soffiata da un informatore presumibilmente tedesco circa la presenza di un carico di oppio partito dall’Iran.

Un’indicazione importante. A quel punto le Fiamme gialle vanno a colpo sicuro: smontano la motrice nuova di zecca e trovano un involucro metallico contenente 22,6 chili di pasta di oppio che serve a “cucinare” circa 2 chili di eroina. Secondo gli inquirenti che dall’Afghanistan sia partito via Iran e Turchia un carico di oppio non è casuale: dietro potrebbe esserci un’altra grande rotta della droga che incrocia Trieste, dopo quella colombiana della cocaina.

Dalla Turchia un altro traffico illegale si muove sempre direzione Trieste: quello delle sigarette di contrabbando. Qui i numeri dei sequestri sono impressionanti. Negli ultimi due anni sono state sequestrate 130 tonnellate di sigarette illegali arrivate in gran parte dall’Oriente. Il mercato di riferimento è soprattutto quello Nord Europeo, in Inghilterra un pacchetto di sigarette oggi costa fino a 14 sterline e queste cifre elevate alimentano il mercato di contrabbando. A Trieste arrivano i container con i pezzi per assemblare i pacchetti di sigarette. Il confezionamento vero e proprio con i marchi più noti come Regina, Lem, Kingdom avviene in alcuni centri in Germania, Romania, Slovenia e Ungheria. Ma anche qui c’è una pista, perché nelle aree di Avellino, Napoli e Nola sono state sequestrate diverse fabbriche illegale di sigarette di contrabbando. Trieste resta il punto di approdo della merce all’ingrosso di questo ennesimo traffico illegale.

Nella città triestina comunque in pochi sembrano accorgersi di quello che sta accadendo nella zona del porto e nei dintorni. Di come dall’Oriente e dal Sud America le mafie del narcotraffico abbiano segnato in rosso nelle loro mappe l’area di Trieste, Capodistria e Venezia: la nuova grande porta della droga verso il ricchissimo mercato europeo.

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