Da Trump a Biden, come cambia il rapporto dell’America col resto del mondo

Di tutte le differenze che esistono in politica estera fra l’amministrazione Biden e quella Trump, la più appassionante da seguire sarà quella relativa alle relazioni con gli alleati.

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Lo scetticismo di Donald Trump nei loro confronti è cosa nota: il presidente critica il parassitismo dei paesi alleati che si arricchiscono sotto la protezione degli Stati Uniti, investono poco nella difesa, condividono in modo insufficiente l’onere finanziario e in generale approfittano dell’eccessiva generosità del popolo americano. L’impegno dei paesi membri della NATO in occasione del vertice del Galles del 2014 a spendere il 2% del PIL per la difesa ha assunto negli ultimi anni un valore totemico e Trump ha periodicamente espresso il suo pubblico scetticismo circa la disponibilità di Washington a difendere gli alleati dalle minacce esterne.

Joe Biden promette un approccio molto diverso: durante la sua campagna per la Casa Bianca, aveva preannunciato che, qualora eletto, uno dei suoi primi interventi sarebbe stato quello di far sapere agli alleati che “l’America è tornata“. Ne troviamo conferma nel primo giro di contatti telefonici con i leader stranieri, pesantemente dominato dagli scambi con gli alleati. Questo nuovo spirito si inserisce in una rottura più ampia che il nuovo team desidera segnalare rispetto all’approccio unilaterale, America-first, adottato dal predecessore in materia di politica estera.

Il cambio di passo andrà ben oltre le differenze di inclinazione e tono tra Trump e Biden; la nuova amministrazione sostiene che, in un mondo lacerato da una accesa competizione per il potere e da profonde sfide transnazionali, è solo collaborando con paesi che condividono la sua stessa visione che l’America potrà proteggere i suoi interessi e i suoi valori. Fare diversamente, sostengono i funzionari in arrivo alla Casa Bianca, significherebbe rinunciare al più grande vantaggio competitivo degli Stati Uniti: la rete globale di alleanze e di partnership di cui gode l’America.

I più critici, in particolare tra gli osservatori della NATO, suggeriscono che nonostante le buone intenzioni di Biden, le alleanze più importanti non torneranno più ad essere quelle di una volta. L’incongruenza e la retorica ostile dell’era Trump hanno, secondo alcuni, sollevato dubbi irrisolvibili, in Europa e altrove, circa l’impegno e la capacità di resistenza degli Stati Uniti.

Il latte è stato versato e quand’anche si potesse ripristinare il vecchio assetto, quanto tempo ancora potrebbe resistere? Dopo aver assistito per quattro anni ad una retorica da parte della leadership americana che in passato non sarebbe stata nemmeno immaginabile, alcuni oggi affermano che l’unica strada responsabile per gli alleati degli Stati Uniti è proteggersi, ad esempio con una strategia europea di maggiore autonomia o forse con compromessi ancora più profondi.

Vale la pena ricordare che le alleanze americane sono state sotto pressione già in passato ma che sono sempre riuscite a resistere. In effetti, a partire dagli anni ’50, Stati Uniti e gli alleati europei sembrano essere stati sull’orlo della rottura ogni 15-20 anni circa. La crisi di Suez, la guerra del Vietnam, il dispiegamento dei missili Pershing II da parte di Reagan e l’invasione dell’Iraq nel 2003, sono tutte varianti dello stesso del film. Questa volta la situazione potrebbe essere così diversa da rendere irreparabile la frattura con gli alleati, anche se questa ipotesi sembra estremamente remota.

In primo luogo perché gli interessi che avevano alimentato le antiche alleanze, una Russia minacciosa e irritabile, una Corea del Nord insidiosa, il ruolo centrale del regime sovietico prima e di Pechino oggi in materia di sicurezza del continente asiatico, rimangono ancora validi. In sostanza, le alleanze sono polizze assicurative contro possibili minacce. Il permanere delle minacce giustifica la copertura assicurativa. Questa realtà non sfugge né alla politica americana né alle controparti all’estero.

La vera domanda a questo punto potrebbe non essere se Biden sarà o meno in grado di riparare le vecchie alleanze americane, ma se la prospettiva che il nuovo Presidente americano possa farlo, farà crescere le aspettative in maniera irragionevole. L’Unione Europea ha già risposto alla sua elezione avanzando un’offerta di cooperazione irripetibile da vari punti di vista. I leader tedeschi hanno accolto pubblicamente la vittoria di Biden, sperando certamente di andare oltre il particolare risentimento che Trump sembrava riservare a Berlino. Tra alcuni leader europei si avverte la speranza di un rapido ritorno dell’America a uno status quo pre-Trump.

Tuttavia, mentre il nuovo presidente americano si dedicherà a rinsaldare vecchie relazioni, a coordinare interventi condivisi e rinnovare la leadership americana, non tutti i problemi potranno scomparire come per magia. Importanti membri della NATO continuano a investire nella difesa meno di quanto stabilito, creando un grave squilibrio all’interno dell’alleanza. Washington continuerà ad adoperarsi per porre fine alla guerra in Afghanistan, e gran parte degli schieramenti alleati potranno rimanere solo grazie a una presenza americana di lungo periodo.

Gli Stati Uniti, sempre più concentrati sui temi della concorrenza con la Cina, sembrano volere un’Europa più attenta verso quello che succede nella propria regione. Biden desidera riportare le “questioni relative ai valori”, come democrazia e diritti umani, al centro della politica estera degli Stati Uniti; come si tradurrà tutto questo di fronte ad alleati quali la Turchia o l’Ungheria, o anche le Filippine e la Thailandia?

Non ci sono risposte facili a queste domande, ma gestire bene le alleanze non è mai stata cosa da poco. Forse la cosa migliore da fare, per cominciare, è non fare danni, riparare dove è possibile e partire da lì per costruire obiettivi condivisi. Biden è sicuramente partito con il piede giusto.

Nicolo Sartori
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Nicolò Sartori è senior fellow e responsabile del Programma Energia dello IAI (Istituto Affari Internazionali), dove coordina progetti sui temi della sicurezza energetica, con particolare attenzione sulla dimensione esterna della politica energetica italiana ed europea.. La sua attività si concentra in particolare sull’evoluzione delle tecnologie nel settore energetico. Ha lavorato inoltre come Consulente di Facoltà al NATO Defense College di Roma, dove ha svolto ricerche sul ruolo dell’Alleanza Atlantica nelle questioni di sicurezza energetica.