Dopo il decennio d’oro, dal 2002 al 2013, in cui il PIL ha raggiunto una crescita del 12%, l’economia dell’Angola ha subito una battuta d’arresto soprattutto negli ultimi anni a causa del crollo del prezzo del petrolio. Nello specifico, nel 2015 il PIL è cresciuto del 2,8%, valore nettamente inferiore rispetto al 4,8% attribuito dalla Banca Mondiale al Paese nel 2014.
Il debito è cresciuto, lo sviluppo si è bloccato e l’economia ha subito una sensibile battuta d’arresto. Secondo le previsioni, infatti il PIL non supererà il 4% fino al 2019. L’anno scorso il tasso d’inflazione ha sfiorato il 14%, riportando indietro di un’epoca le lancette della storia. La doppia cifra nella crescita generale dei prezzi è stato un ricordo sfumato. Anche la moneta, similmente al paese, sta languendo. Il kwanza ha perso in un solo anno il 30% del suo valore rispetto al dollaro. Tanto che i 5 miliardi del Fundo Soberano de Angola sono evaporati in gran fretta e il paese si è visto costretto a bussare alle porte del Fondo monetario internazionale, confermando di essere finito in pieno nella trappola del binomio materie prime-economia e di essere totalmente dipendente dal petrolio.
Dopo la crescita, lo stop dello sviluppo
Se prima della crisi del prezzo del barile si parlava di un Paese in ascesa e della capitale, Luanda, come della futura Dubai, oggi l’impatto di quella crisi si sta facendo sentire a livello economico anche nel settore sanitario. L’Angola è forse il Paese dell’Africa sub-sahariana che paga più di tutti la sua dipendenza dalle esportazioni di materie prime, inoltre secondo l’Opec, il 45% del prodotto interno lordo proviene dal settore del petrolio e del gas.
Il crollo del prezzo del petrolio ha portato a un rapido calo dei flussi di dollari americani verso l’Angola e alla diminuzione del valore della moneta locale, il kwanza. In un paese in cui molti beni essenziali sono importati, questo ha comportato un aumento vertiginoso dei prezzi anche dei beni di prima necessità.
Secondo la Banca africana dello Sviluppo, nel 2017 la crescita economica si prevede possa subire un lieve aumento, sempre se il governo angolano riuscirà a rafforzare la crescita equa e la diversificazione industriale come misure “necessarie per ridurre la vulnerabilità agli shock esterni”. Tra i settori da sviluppare la Banca indica l’agricoltura, che potrà svolgere un ruolo cruciale nell’accelerare le esportazioni.
I diamanti trascinano la ripresa
Dopo il petrolio i diamanti sono il secondo bene più esportato dall’Angola. La produzione è cresciuta rapidamente fino al 2006, quando ha raggiunto il volume di 9,2 milioni di carati. Da allora, la produzione si è assestata tra gli 8,2 e i 9,2 milioni di carati, mentre nel 2015 è aumentata del 4% e ha raggiunto la quota fissa di 9 milioni di carati. Ma questo settore è potenzialmente in forte espansione, in quanto fino ad oggi sono state scoperte solo il 40% delle risorse minerarie in diamanti.
Insieme alle preziose pietre tutto il settore non oil ha evitato il tracollo economico. Secondo la Banca Mondiale i ricavi, nel Paese, hanno subito un calo di circa 11 punti percentuali del PIL, nel 2015. I proventi del petrolio globale sono scesi da 23,8 punti percentuali a 12,6 punti percentuali, mentre quelli non-oil hanno registrato un piccolo aumento, anche se sono, a tutt’oggi, ancora molto lontani dal riuscire a compensare la riduzione dei ricavi del petrolio. Infine, sempre per contrastare l’oscillazione del prezzo dell’oro nero, il governo ha aumentato l’accisa sui prodotti, in particolare, sui beni di lusso e ha anche introdotto, nel 2016, la stessa tassa sui carburanti.
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