Il ruolo dell’informazione è fondamentale, a maggior ragione in un periodo di emergenza globale. La lotta contro la pandemia di Covid-19, oltre che per lo sforzo immenso di medici, operatori sanitari e altre categorie essenziali di lavoratori, passa infatti anche per una informazione corretta e puntuale.
Le istituzioni, soprattutto, hanno bisogno di comunicare al meglio con i cittadini, i quali, a loro volta, hanno bisogno di potersi fidare di chi dà le notizie e racconta il momento che stiamo vivendo. Purtroppo, anche in questo periodo complesso, fake news e cattiva informazione spopolano, soprattutto in rete, fomentando complottismi, paure, rabbia, attraverso menzogne, mistificazioni, distorsioni.
Tutto ciò determina risposte e comportamenti rischiosi, cancellando quella verità che è decisiva per comprendere la situazione e agire di conseguenza. Sin dall’inizio, abbiamo visto girare non solo bufale ma anche informazioni reali relative a questioni passate, utilizzate come se fossero attuali allo scopo di sostenere ipotesi complottiste sulle origini del Covid-19. Nelle bufale, spesso, ci sono cascati anche i media ufficiali, come nel caso della diffusione, da parte di una testata locale, di una foto di cani spacciati per lupi che si riappropriavano del territorio. Niente di nuovo, comunque. Perché le fake news e la cattiva informazione esistono e attraversano la nostra quotidianità da sempre, anche se con il web e i social hanno raggiunto una portata più ampia.
A combatterle, un esercito di “anti-bufalari”, cacciatori di bufale o meglio esperti di fact checking che cercano di smascherare le false notizie e di correggere l’informazione. Giornalisti, specialisti, tecnici, studiosi spesso riuniti in associazioni e impegnati in prima linea nella difesa della verità ma anche nell’educazione all’informazione. Ricordiamo, per fare qualche esempio e fornire strumenti utili a tutti noi, gli “storici” redattori di Butac-Bufale un tanto al chilo, la squadra di Pagella Politica (che ha appena lanciato il progetto Facta, con uno speciale dedicato all’emergenza Covid-19), il sito MedBunker del medico e divulgatore scientifico Salvo Di Grazia e il portale Dottore ma è vero che…? della FNOMCeO (la federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri).
Ma come possiamo definire le fake news? “Esiste una definizione molto facile e molto abusata, il cui corrispettivo italiano è appunto bufale; una definizione che troppo spesso abbiamo visto usata come un’arma contundente per togliere autorevolezza al nemico”, afferma Gabriela Jacomella, giornalista e autrice anche di un libro dedicato alle fake news (“Il falso e il vero”, 2017, Feltrinelli). “È molto pericoloso però – continua Jacomella – ridurre tutto a questo unico termine. Io preferisco usare innanzitutto i termini disinformazione e misinformazione, perché dentro questi due gruppi ci stanno tante cose: la propaganda, l’informazione alla quale viene data una spintarella perché si allinei alle ideologie o al programma elettorale di un dato partito.
Ci sono anche gli esempi di malinformazione, cioè quel tipo di informazione rozza, imprecisa, anche involontariamente raffazzonata, fatta male oppure appositamente forzata nei contenuti per acchiappare click e lettori, riferendo una notizia vera in modo più urlato e scandaloso o magari utilizzando un titolo che non corrisponde esattamente ai contenuti dell’articolo, o ancora, per fare un ultimo esempio, delle foto decontestualizzate. Queste sono situazioni che purtroppo si vedono spesso, soprattutto sui siti, anche dei quotidiani più autorevoli. Per quanto mi riguarda, credo che sul lungo periodo sia più dannoso questo tipo di cattiva informazione rispetto alla bufala dura e pura che prima o poi viene intercettata e svelata”.
Disinformazione, misinformazione, fake news, un fenomeno che oggi è diventato una vera e propria emergenza, considerati gli effetti prodotti nella società e perfino nella politica. Di questi tempi, anche il governo italiano sembra avere imboccato la strada di una lotta alla cattiva informazione, istituendo una specifica Unità di monitoraggio per il contrasto della diffusione di fake news relative al COVID-19 sul web e sui social network. “Di fake news oggi si parla molto di più – afferma ancora Gabriela Jacomella – ma non va dimenticato che la cattiva informazione, ossia diffondere volutamente e programmaticamente notizie distorte, manipolate, o anche la semplice disinformazione, cioè il rilanciare inconsapevolmente queste notizie, sono le facce di un fenomeno che esiste da sempre.
Quel che ha cambiato le regole del gioco, oggi, è sicuramente l’uso di internet e dei social network come fonti di informazione. Il fenomeno oggi subisce l’amplificazione, in termini di numeri, di massa e di velocità, dei media digitali. Non a caso uno dei termini molto utilizzati per definire il problema del sovraccarico di notizie che sembrano assalirci da ogni parte è infodemia. Un’emergenza di diverso tipo rispetto a un virus, ma altrettanto difficile da gestire e controllare. Forse è per questo che abbiamo l’impressione che le fake news siano un’emergenza nuova. In parte lo sono, ma in realtà sono un problema vecchio come il mondo dell’informazione”.
La rete viene spesso messa sotto accusa come la principale colpevole, eccitando chi sostiene interventi restrittivi e censori. Anche su questo ci viene in aiuto Gabriela Jacomella: “Non demonizzo la rete, che anzi ritengo una grandissima risorsa. Come sempre, tutto dipende da quanto si sappia usarla bene o male, perché può essere lo strumento ottimale sia per diffondere bufale che per combatterle. Il problema, semmai, è che non viene fatta formazione su questo tema. Più che dire alle persone ‘dovete credere a questo e non dovete credere a quest’altro’ senza fornire loro spiegazioni o senza accompagnarle nel percorso della conoscenza, bisognerebbe fornire a tutti gli strumenti di base necessari per affinare un po’ lo spirito critico e quindi diffidare da quella che ci viene proposta come informazione facile, gratuita, a disposizione di tutti. Questi strumenti diventano ancora più utili quando ci rendiamo conto che anche gli stessi organi di informazione ufficiali possono fare cattiva informazione”.
La soluzione, dunque, risiede anche in questo caso nell’educazione, nell’acquisizione della capacità di decontaminare l’ambiente dell’informazione, di riconoscere i confini tra la notizia vera e quella manipolata, di saper scegliere le fonti autorevoli a cui affidarsi (imparando al tempo stesso a riconoscere i limiti della nostra conoscenza – per valutare una notizia scientifica, è bene fare riferimento a un esperto riconosciuto della materia), di verificare le notizie senza lasciarsi trascinare dall’istinto di pancia, dall’emotività. Accanto a ciò, è molto importante il lavoro che stanno svolgendo già da tempo i fact checker, che però si confrontano con dei limiti oggettivi.
I fact checker , infatti. sono in numero di gran lunga inferiore rispetto a chi diffonde fake news, e l’attività di verifica richiede tempo ed energie per intercettare le bufale che spesso viaggiano su canali interni a gruppi social ai quali non si ha un accesso diretto (si vedano ad esempio le “catene” di notizie false messe in circolo su WhatsApp). Inoltre, per smentire una bufala, magari creata in pochi minuti, bisogna fare un lavoro di ricerca e di verifica delle fonti che richiede energie e soprattutto tempo, ci vogliono spesso ore ed ore (se non giorni) e nel frattempo la bugia ha camminato e già raggiunto una quantità spaventosa di utenti e persone.
Se ci fosse più formazione all’informazione di qualità, il lavoro risulterebbe più facile perché le bufale più grossolane, che sono la maggior parte, sarebbero più semplici da intercettare e respingere al mittente, oppure da smascherare in pochissimi istanti. “In ogni caso – aggiunge la giornalista autrice de Il falso e il vero” – ci sarà sempre una parte di disinformazione e misinformazione, di bufale più complesse e specialistiche (ad esempio quelle mediche) che richiedono fact checker dotati di competenze specifiche”. Ecco perché la soluzione è quella di una crescita della formazione e dello spirito critico di ciascuno di noi. Un percorso lungo ma necessario ed efficace.
Nel frattempo, possiamo ascoltare qualche consiglio per provare a difenderci e a non cascare nella rete delle bufale: “Innanzitutto bisogna sviluppare un sano spirito di diffidenza – suggerisce Jacomella – magari cercando di capire che se una notizia ci fa arrabbiare molto o ci trova troppo d’accordo, di pancia e non razionalmente, allora esiste un’elevata probabilità che sia una bufala, perché proprio su questo giocano i bufalari, ossia sul confermare ed alimentare i nostri pregiudizi e le nostre paure”. “Quindi – conclude – tutte le volte che una notizia ci fa reagire con violenza e con emozioni violente, vuol dire che è stato attivato un meccanismo psicologico che fa piazza pulita di tutta la complessità, di tutte le sfaccettature che ci sono nel reale.
Le notizie raramente sono bianco o nero, c’è tantissimo grigio, ci sono tantissime sfumature. Per questo è importante prenderci il nostro tempo per valutarle. Prima di condividere o rilanciare qualsiasi notizia, fermiamoci a riflettere. E cerchiamo, tutti insieme, di interrompere la catena infinita della cattiva informazione”.