Come noto, il codice privacy sancisce che il trattamento dei dati personali per finalità giornalistiche può essere effettuato anche in assenza del consenso dell’interessato, ma deve comunque essere garantito il rispetto dei diritti, delle libertà fondamentali e della dignità del soggetto interessato e l’identità personale di costui.
Di recente è stata pubblicata una ordinanza della Cassazione civile intervenuta in una controversia tra un professionista che aveva citato in giudizio un giornalista e la RAI.
In primo grado il Tribunale di Roma aveva condannato la Rai Radiotelevisione Italiana e un giornalista al risarcimento del danno, liquidato in via equitativa e nella misura di 25.000 euro, in favore di un professionista, ordinando di occultare, nella trasmissione disponibile negli archivi, il nome e l’identità del danneggiato e di astenersi dall’utilizzo dei suoi dati personali per il futuro.
Era accaduto che un giornalista curatore di una inchiesta inserita in un programma RAI si era recato con un operatore in uno studio notarile per intervistare il titolare, senza riferirgli che vi era una telecamera nascosta e che l’intervista, nell’ambito di un’inchiesta relativa a professionisti coinvolti in operazioni di riciclaggio e scommesse illegali, sarebbe stata trasmessa in TV.
L’intervista venne effettivamente trasmessa nel 2012, ma, come spesso accade, sottoposta a tagli; per cui il pensiero del notaio veniva distorto o comunque poteva essere equivocato dallo spettatore.
Il notaio riconoscibile giustamente si vedeva danneggiato e conveniva in giudizio la RAI e il giornalista assumendo che la trasmissione integrava un illecito trattamento dei suoi dati personali da cui era derivato un danno non patrimoniale, in quanto lo spettatore poteva essere convinto di un suo coinvolgimento nelle attività illecite descritte nell’inchiesta.
Il giudice ritenne illecito il trattamento dei dati personali “per avere effettuato una ripresa in modo occulto e con artifici” in violazione dell’art. 2 del codice deontologico dei giornalisti e che non poteva invocarsi il diritto di cronaca poichè, pur ammettendosi la verità della notizia e dell’interesse pubblico, difettava il requisito della continenza, essendo la figura del notaio stata proposta al pubblico in modo ingiustificatamente lesivo e pregiudizievole.
La RAI, inoltre, aveva esaminato la qualità del materiale messo a sua disposizione e deciso di mettere in onda la trasmissione, in tal modo realizzando “un ulteriore e coordinato trattamento illecito di dati personali”.
La controversia veniva sottoposta all’esame della Cassazione e la prima sezione civile l’ha decisa il 9 luglio scorso con l’ordinanza n. 18006/2018.
La Corte ha ritenuto infondati i motivi del ricorso espressi dalla difesa della RAI.
Era stato accertato dal giudice di merito che il notaio non fosse informato che la conversazione era ripresa da una telecamera nascosta e che sarebbe stata poi mandata in onda a sua insaputa.
Il trattamento dei dati personali per finalità giornalistiche può essere effettuato anche senza il consenso dell’interessato (art. 137, comma 2, del codice privacy D. Lgs. n. 196/2003) ma sempre con modalità che garantiscano il rispetto dei suoi diritti e delle libertà fondamentali, della dignità e del diritto all’identità personale.
Inoltre, è stata rilevata a carico dei convenuti la violazione del “Codice di deontologia relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica” che all’art. 2 prevede che il giornalista è tenuto a “(rendere) note la propria identità, la propria professione e le finalità della raccolta” delle notizie e ad “(evitare) artifici e pressioni indebite”.
Viceversa, era accaduto che la finalità della raccolta dei dati era la ripresa delle immagini del notaio durante l’intervista da mandarsi poi in onda senza però che l’interessato fosse stato informato, il giornalista presso lo studio notarile aveva raggiunto il suo scopo di inchiesta con artifici e pressioni indebite nei confronti dell’intervistato.
Ricordo che all’art. 2 del codice deontologico è prevista una deroga che autorizza il giornalista a non rendere nota la finalità della raccolta dei dati personali quando “ciò comporti rischi per la sua incolumità o renda altrimenti impossibile l’esercizio della funzione informativa“.
Ebbene, per tale versante, la Corte ha sottolineato che “la funzione informativa può essere ugualmente esercitata infatti anche senza ricorrere alle modalità usate nella specie, cioè evitando la ripresa occulta e la messa in onda delle immagini dell’intervistato, a meno che non fosse proprio questa l’unica finalità dell’intervista, cosa che confermerebbe allora l’illecito contestato”.
Per espressa disposizione del codice privacy “in caso di diffusione o di comunicazione dei dati per le finalità (giornalistica) di cui all’articolo 136 restano fermi i limiti del diritto di cronaca a tutela dei diritti di cui all’articolo 2″ (art. 137, comma 3), che sono quelli alla dignità dell’interessato, all’identità personale, alla riservatezza come statuiti dall’art. 2 del codice”.
Se i limiti dell’esercizio legittimo del diritto di cronaca sono superati mediante atti che implicano anche un illecito trattamento dei dati personali, il danno risarcibile in favore dell’interessato “….è quello all’integrità della sua sfera personale che è stata compromessa per essere i suoi dati stati trattati per scopi non espliciti né legittimi e in violazione dei parametri legali – comuni alle diverse fattispecie illecite – della correttezza, pertinenza e proporzionalità….”.
Quanto al requisito dell’interesse pubblico nel caso in questione non è possibile considerare legittima la pubblicazione o diffusione dell’immagine della persona non ravvisandosi “uno specifico ed autonomo interesse pubblico alla conoscenza delle fattezze dei protagonisti della vicenda narrata, nell’ottica della essenzialità della divulgazione ai fini della completezza e correttezza della informazione (Cass. n. 15360/2015)”.
E se pure fosse rilevabile questo, non potrà mai essere sufficiente e prevalente dinanzi il rispetto dei diritti della persona e delle condizioni di legittimità del trattamento dei dati personali.
Quanto poi alla pretesa di intangibilità del diritto di cronaca derivante dal cosiddetto giornalismo di inchiesta, la Corte rileva che anche questo deve sottostare ai criteri etici e deontologici dell’attività professionale del giornalista (Cass. n. 16236/2010).
In ogni caso si applica il limite della continenza e della funzionalità delle espressioni o delle immagini rispetto allo scopo perseguito di denuncia sociale o politica.
Mi preme infine evidenziare come la quantificazione del danno, avendo origine da un pregiudizio di natura non patrimoniale, può essere richiesto dalla difesa ed accordato dal giudice, affidandosi alla determinazione in via equitativa ex art. 1226 del codice civile.
Pertanto, in questo caso il Tribunale aveva valutato l’immagine e l’identità personale della parte lesa che dalla messa in onda del servizio con l’intervista “tagliata e ricucita” poteva senza dubbio aver ricevuto una qualificazione negativa da parte del pubblico con gli ovvi riflessi in sede professionale.
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso confermando la condanna del giornalista e della RAI in solido al risarcimento dei danni a favore del notaio, oltre alle spese legali dei gradi del giudizio.
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