E se Feuerbach avesse ragione? Se davvero noi fossimo quel che mangiamo? Il tema non è così peregrino come potrebbe sembrare, almeno per quanto mi riguarda. In primo luogo, perché sono vegetariana, mangio poco e non sono golosa. Poi perché, a differenza di quello che le mie preferenze alimentari potrebbero far pensare, sono molto interessata, anzi innamorata, dell’arte culinaria e amante dei piaceri della tavola.
Sono convinta, infatti, che si possa gustare un universo infinito di sapori, profumi e aromi anche dentro i prodotti che nostra Madre Terra generosamente ci offre tutti i giorni. Per di più, penso che nell’assaporare certe sensazioni primordiali, la morigeratezza sia una virtù, e non un difetto. Una virtù che, insieme alla curiosità, alla lentezza e alla fantasia (e, magari, alla giusta compagnia), amplifica ed esalta le emozioni, anziché mortificarle.
Frutta e verdura meritano, pertanto, devozione e ammirazione, tanto che da sempre hanno ispirato artisti, letterati e persino scienziati.
Innanzitutto, sono ‘creature’ vive, sensuali, dalle forme bellissime e docili al tocco. Ogni frutto della Natura è un piccolo capolavoro in miniatura, unico per foggia, dimensione e colore. Pensateci: non c’è una pesca, un fico, una carota o un pomodoro identico all’altro. E quasi tutti, se non addirittura tutti, dialogano con le molteplici e complesse sfumature dell’appetito umano, stuzzicando non solo l’acquolina in senso stretto ma evocando anche – in maniera spesso inequivocabile – l’erotismo e il sesso.
Non a caso, in tempi lontani, la statua di Priapo, figlio procace di Afrodite, si ergeva fiera negli orti e nei giardini, quale custode della fertilità e dell’agricoltura. Addirittura, molto spesso, il simbolo si riduceva (o ampliava, a seconda dei casi e dei gusti) nell’essenziale, ovvero in un energico fallo dritto, che imperava con orgoglio sulle colture. Il valore ispirante e simbolico del regno vegetale è dunque immenso: dalla mitologia, alle tradizioni religiose, dall’arte, alla poesia e alla letteratura, fino al linguaggio quotidiano. Dai tempi più antichi ci arriva, per esempio, il mito del Pomo della discordia di Paride, il frutto del bene e del male dell’Eden, il fico certamente mangiato da Adamo ed Eva (dedotto dalla foglia dello stesso frutto con cui si coprirono le proprie nudità).
E poi, ancora, si sa che la fragola nella mitologia nordica rappresenta la dea dell’amore Frigga e, nel simbolismo cristiano, la Vergine Maria. Nell’arte pittorica, sarebbe sufficiente un nome: Caravaggio, con le sue splendide nature morte. E che dire poi dell’arte fiamminga e degli antropomorfismi dell’Arcimboldo? Anche l’arte letteraria pullula di esempi, basterebbe leggere “Afrodita” di Isabel Allende per farsi una cultura saporita e piccante. Il sesso orale nella letteratura erotica veniva, infatti, spesso definito ‘frutto proibito’, anche se oggi questo raffinato pudore fa sorridere. Persino nel Cantico dei Cantici, che è un capolavoro di sensualità, si elogiava il sodalizio tra i frutti della Terra e i piaceri del sesso e dell’amore: “Con dolci d’uva e con mele, sostenetemi e resuscitatemi. Muoio d’amore”, dice Sulamit a Salomone. E ancora: “Favi colanti le tue labbra, oh sposa, miele e latte nella tua bocca, come un Libano di aromi, delle tue vesti l’odore”, canta Salomone all’amata, pregustando in questo caso miele tiepido e mandorle tritate sul corpo disteso e languido della donna.
Non c’è dubbio, quindi: frutta e verdura da sempre stimolano l’immaginazione. Entrambe invogliano alla condivisione, ispirano la creatività e inducono al gioco, goloso, e amoroso! Non per niente, moltissimi vegetali e frutti sono considerati ancora oggi cibi afrodisiaci, vuoi per la loro forma allusiva, vuoi per la morbidezza o la durezza, la ‘polposità’, la dolcezza, la succosità, insomma tutte qualità esplicite dell’atto amoroso. Anche nei giochi culinari, come in quelli erotici, si prediligono infatti le fogge falliche e tonde (come le zucchine e le pesche), le consistenze polpose e umide (come i mango e i pomodori), i colori delicatamente sensuali che evocano le parti turgide e tumide del corpo (melagrane e fichi, per esempio), o i toni più intensi e accesi che rimandano a più torbide oscurità (come le olive nere, le melanzane o le prugne) e gli aromi persistenti (come il frutto della passione, che tanto amo, o l’aglio, perché no!).
Insomma, non ci si annoia davvero ad essere vegetariani! Ogni giorno, ogni stagione offre i suoi piaceri, a volte persino con qualche sorpresa. Ho letto recentemente, infatti, che uno dei frutti più amati, più comuni e guarda caso anche più comunemente associati al piacere sessuale – la banana – è oggetto di un curioso progetto. C’è, infatti, chi sta studiando come produrre banane meno curve e possibilmente dritte. Il motivo sarebbe l’esigenza di rendere più agevole e conveniente il loro trasporto, ospitandone una quantità maggiore nelle cassette. Sarà! A me pare un peccato violentare la naturale foggia di banana, sorridente e perfetta anche quando è imperfetta, con le sue piccole ammaccature e i suoi vezzosi nei. Non solo la trovo più bella e originale ma anche più ergonomica e divertente. Mi domando se la stessa sorte potrebbero subire in futuro anche i pomodori, le melanzane o le pere! Ispirerebbero certamente i pittori cubisti ma, probabilmente, non i poeti e forse nemmeno gli amanti!
Noi, per concludere, non solo godiamo dell’universo infinito di sapori, profumi e aromi dei doni che la nostra Terra ci regala ma approfittiamo anche della sua memoria per arricchire la nostra anima di emozioni artistiche e per colorare il nostro linguaggio quotidiano. Pensate a quante espressioni spesso rubiamo al mondo vegetale per far capire ciò che proviamo o a cosa alludiamo in un particolare momento: il frutto del peccato, la mela bacata, vuoto come zucca, rosso come un peperone, le pigne in testa, la bocca a ciliegia, il seno a pera, il naso a patata, gli occhi a mandorla, la pelle di pesca …
Dunque, se quello che diceva Feuerbach, è vero, gli amanti della carne non si stupiscano se dentro di sé ogni tanto sentiranno la paura del coniglio, la rassegnazione del pollo o la tenerezza del vitello mangiati a pranzo. Nel mio caso, invece, potrò sentire solo l’allegria del ravanello, l’esuberanza della fragola, la passione del mango o, alla peggio, la confusione dell’insalata mista mangiata la sera precedente.
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