L’elezione di Donald Trump a Presidente degli Stati Uniti ha portato la politica estera americana in parziale rotta di collisione con quelle che sono le priorità e gli interessi europei sullo scacchiere globale. Tra le varie cause delle divergenze a livello transatlantico, le diverse priorità (e traiettorie) energetiche di Washington e Brussels rappresentano un elemento importante per capire le rispettive posizioni di politica internazionale, soprattutto nei confronti di attori quali Russia, Iran e Arabia Saudita.
A livello macro, balza immediatamente agli occhi come la crescente dipendenza europea dalle importazioni di approvvigionamenti energetici, faccia il paio con l’eccezionale espansione della produzione di petrolio e gas naturale negli Stati Uniti, e il progressivo affrancamento di Washington dalle forniture internazionali di idrocarburi.
Basti pensare che dal 2007 al 2016 la produzione americana di greggio è cresciuta del 76 percento (da 5 a 8,8 milioni di barili al giorno, Mb/d), mentre le importazioni si sono contratte del 22 percento, con una significativa riduzione anche delle forniture proveniente dal Golfo persico (-28 percento). Numeri impressionanti anche nel settore del gas naturale, dove nello stesso periodo la produzione nazionale è aumentata del 45 percento (da 560 a 815 miliardi di metri cubi, Bcm), a fronte di un crollo delle importazioni del 35 percento (da 130 a 85 Bcm).
Al contrario, l’Unione europea vede crescere la propria dipendenza energetica dall’estero, seppur a tassi moderati determinati da una serie di politiche di efficienza e degli strascichi della crisi economica del 2008-2009. Alla luce del progressivo esaurimento delle riserve ‘interne’ localizzate soprattutto in Olanda, nel periodo considerato, il contributo delle importazioni sui consumi totali di gas è passato dal 57 al 69%, mentre nel settore petrolifero la dipendenza dall’estero è passata dall’81 al 90 percento. Queste differenti situazioni, ovviamente, a livello transatlantico cambiano le percezioni e i rapporti nei confronti di grandi paesi produttori come Russia, Iran e Arabia Saudita.
I rapporti con la Russia
Se i primi carichi di LNG russo partiti dalla penisola di Yamal lo scorso gennaio e arrivati a Boston hanno avuto un forte eco mediatico, le relazioni energetiche tra Stati Uniti e Russia rimangono ancora a livello embrionale. Ben diversa, invece, sull’asse Mosca-Bruxelles, con l’UE che importa 153 Bcm, il 36 percento del suo gas, e 1,2 Mb/d, il 32 percento del suo greggio, dal vicino orientale, primo fornitore energetico in assoluto del blocco europeo.
Iran e i suoi idrocarburi
E proprio nell’ottica di ridurre la propria dipendenza da Mosca, l’UE ha lavorato in modo incessante per riprendere le relazioni (politiche, ma al contempo energetiche), con l’Iran. Il paese è il primo al mondo per riserve di gas e il quarto per riserve di greggio, e rappresenta un obiettivo allettante per le politiche di diversificazione energetica europea. Ad oggi l’Unione importa il 3 percento dei suoi approvvigionamenti petroliferi dall’Iran, e punta a connettere gli immensi giacimenti iraniani di gas con il Corridoio sud (e attraverso questo con i mercati europei): il ritorno di Teheran nell’arena internazionale potrebbe facilitare il rafforzamento delle relazioni energetiche a livello bilaterale. Un obiettivo completamente differente rispetto a quello degli Stati Uniti, che non hanno alcuni tipo di interscambio energetico con Teheran, ma che addirittura vedono gli idrocarburi iraniani come possibili competitor di quelli americani sui mercati internazionali.
Arabia Saudita, alleato o no
Completamente differente la situazione dell’Arabia Saudita, storico alleato (e fornitore energetico) degli Stati Uniti nell’area mediorientale, che ancora oggi, nonostante l’espansione della produzione shale, è il primo fornitore di petrolio di Washington e contribuisce al 7 percento delle importazioni americane. Un contributo simile a quello all’import dell’UE (7 percento), che però ha un ampio ventaglio di forniture che – oltre alla Russia – includono Norvegia (12 percento), Iraq (8 percento) e Kazakhstan (7 percento): ciò permette a Bruxelles di mantenere un approccio equidistante e più equilibrato tra le diverse potenze del Golfo, al contrario dell’alleato transatlantico chiaramente schierato al fianco della dinastia al Saud.
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