L’imperativo categorico era divertirsi, chiudere con il passato. Sono materialisti e disimpegnati gli anni Ottanta, anni di plastica secondo l’etichetta più facile, anni dell’edonismo reaganiano, ma quanto vitali. Si aprono con cinque colpi di pistola, quelli sparati da un fan contro John Lennon, e si chiudono con il crollo del Muro di Berlino e con la frana delle ideologie, effetto domino.
Sono troppi i fantasmi da esorcizzare per non abbandonarsi al carpe diem. Nell’84 viene isolato il virus dell’Aids; il contagio dell’epidemia è esponenziale, a seminare sgomento è il fatto che milioni di nuovi sieropositivi non appartengano alle cosiddette categorie a rischio. Un film campione d’incasso, Attrazione fatale, fa riflettere sull’opportunità di concedersi distrazioni coniugali.
Nuove emergenze evocano paure millenariste: la catastrofe nucleare di Chernobyl viene definita «la prova generale della fine del mondo». In Italia sono gli anni del Caf: Craxi, primo socialista alla guida del governo, Andreotti, Forlani. Al Quirinale sale Francesco Cossiga, futuro picconatore. Dall’87 siede in parlamento la pornostar ungherese Ilona Staller, in arte Cicciolina, eletta nelle liste radicali. Quando nei discorsi in aula si rivolge agli altri deputati li chiama «onorevoli colleghi porcelloni». Gli Ottanta sono gli anni effervescenti dell’apparire.
Il Made in Italy conquista il mondo e la capitale morale si riassume in uno spot, un marchio, un brand, diventando la Milano da bere. Fenomeni apparentemente inconciliabili convivono, come Armani e (quasi) tutti gli altri stilisti. L’ex vetrinista della Rinascente, che nell’82 la rivista Time consacra come Uomo dell’anno, inventa la giacca destrutturata e semplifica linee e proporzioni in nome di una nuova sobrietà quasi ascetica. Tutti gli altri invece disegnano e vendono una moda che è l’esatto opposto: ridondante, eccessiva, aggressiva, vistosa, urlata e rutilante, bling bling. La fashion victim da film di Vanzina è un campionario ambulante di griffes e di status symbol immediatamente riconoscibili, spalline minacciosamente imbottite, pantacollant maculati, pellicce che sfiorano terra. Tutto ciò che si indossa e si esibisce deve essere, o perlomeno sembrare, costoso.
Come predica Jei Ar in Dallas, la soap opera che meglio rispecchia i non valori del decennio, i soldi «non sono tutto, ma calmano i nervi». Non ci sono più le dive di una volta: il vuoto viene riempito da una scintillante schiera di indossatrici che grondano glamour. Fatti più in là: alle top model internazionali che prendono il posto delle star, da Cindy Crawford alla molto capricciosa Naomi Campbell, è richiesto il minimo sforzo per il massimo rendimento. Devono solo essere belle in modo supremo, posare per fotografi di fama, tutt’al più sfilare in passerella.
Esplode il fenomeno Madonna, la pop star non particolarmente brava, fisicamente anonima ma abbastanza scandalosa per fare notizia a ogni nuovo album e a ogni nuovo tour, la cui voce, ha stabilito un recensore, «è la voce di Paperino che canta la Traviata». Nessuno immagina che la material girl potrà durare così a lungo nel tempo. Intanto nel nostro claustrofobico paese la cronaca genera psicodrammi collettivi, come l’agonia e la morte in diretta tv di Alfredino Rampi, il bambino precipitato in un buco nero che nessuno, tanto meno i contorsionisti da circo, riuscirà a salvare. Ancora oggi resta insoluto, fra depistaggi, calunnie, tombe scoperchiate, il rapimento di Emanuela Orlandi, figlia quindicenne di un impiegato della segreteria di Stato Vaticana sparita nel nulla.
L’ignominioso caso Tortora porta al referendum sulla responsabilità civile dei magistrati. Dall’edonismo reaganiano alla fine dell’Urss, Vhs, videoregistratori, walkman, cd e bancomat sono solo le innovazioni più importanti di un decennio hi-tech.
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