Le case farmaceutiche stanno gestendo la fornitura dei vaccini alla Ue con una flessibilità disarmante. Ogni giorno si susseguono annunci di tagli alle forniture o ritardi. Ma come è possibile che delle singole aziende private possano rischiare di compromettere la campagna vaccinale degli Stati? La risposta è nei contratti sottoscritti, che hanno garantito una posizione di forza a Big Pharma.
Per capire cosa non ha funzionato, pubblichiamo uno studio comparativo sulle negoziazioni promosso dalla Rete internazionale degli Osservatori sui contratti pubblici che rivela aspetti inediti e interessanti su clausole e obblighi dei colossi farmaceutici nella fornitura dei vaccini per il Covid.
La centralizzazione degli acquisti a livello europeo
Nell’ambito della sanità pubblica, l’Unione europea collabora con gli stati membri per garantire livelli elevati di protezione della salute. Spetta agli stati la definizione delle politiche sanitarie nazionali nonché l’organizzazione e la fornitura di servizi sanitari e di assistenza medica, mentre l’Unione stabilisce con propri atti normativi le misure che fissano parametri elevati di qualità e sicurezza dei medicinali e dei dispositivi di impiego medico (art. 168, Trattato sul funzionamento della Ue).
Due documenti sono significativi per il tema dell’acquisto dei vaccini:
– la Strategia dell’Ue per i vaccini contro il Covid-19, presentata dalla Commissione europea il 17 giugno 2020. L’obiettivo è quello di garantire il prima possibile l’accesso al vaccino. La soluzione per accelerare lo sviluppo, la produzione e la distribuzione è operare in modo congiunto. “Nessuno Stato membro”, viene detto, “ha da solo la capacità di garantire investimenti nello sviluppo e nella produzione di un numero sufficiente di vaccini. Una strategia comune consente di attenuare e condividere meglio i rischi, accrescere gli investimenti e ottenere economie di scala”;
– l’accordo tra la Commissione europea e gli stati, del 18 giugno 2020, che riguarda modalità e impegni per la fornitura dei vaccini. Alla Commissione è attribuita la responsabilità della negoziazione con le aziende farmaceutiche, agli stati quella dell’utilizzo e della somministrazione nell’ambito delle rispettive pianificazioni.
La Commissione europea si è quindi impegnata a gestire i negoziati e concludere gli accordi preliminari di acquisto (Advance Purchase Agreements). Quando un vaccino è disponibile e la Commissione ne autorizza l’utilizzo (sulla base delle indicazioni dell’Agenzia europea per i medicinali – Ema), gli stati acquistano direttamente le dosi (compilando Vaccine Order Forms), nel rispetto dei quantitativi assegnati (in relazione alla popolazione) e delle condizioni predefinite.
L’intera procedura negoziale è partecipata dagli stati, rappresentati in un comitato direttivo, al quale spetta convalidare le decisioni e assistere la Commissione per i contenuti degli accordi. Una squadra di negoziatori esperti, composta da referenti della Commissione e da sette figure (i loro nomi sono segreti, ma da inchieste giornalistiche (Report del 16 novembre 2020) sono trapelati quelli del norvegese Richard Bergström, già direttore generale dell’Associazione europea delle case farmaceutiche a Bruxelles e dell’italiano Giuseppe Ruocco, segretario generale capo dei servizi medici presso il ministero della Salute italiano) valuta i contenuti negoziali da trasferire negli accordi.
Al 1° febbraio 2021, la Commissione ha negoziato (e in parte ha in corso negoziazioni) per l’acquisto di 2,3 miliardi di dosi di vaccini, per un importo stimato complessivo di 21 miliardi di euro.
Quelli prodotti da BioNTech/Pfizer, Moderna e AstraZeneca sono i soli autorizzati, dovrebbero fornire dosi a copertura pressoché totale della popolazione dell’Unione. Per gli accordi conclusi con altre aziende (Sanofi-GSK; Janssen Pharmaceutica NV, del gruppo Johnson & Johnson; CureVac), il vaccino sarà disponibile solo quando verrà autorizzato. Gli stati si sono impegnati a non avviare trattative con le aziende farmaceutiche con le quali sono in corso negoziati condotti dalla Commissione (art. 7).
Le regole applicabili ai contratti con le aziende farmaceutiche
Ai contratti pubblici di forniture di medicinali si applicano normalmente i principi e le regole dei Trattati dell’Unione, precisate dalle direttive europee in tema di appalti pubblici. Questo quadro normativo dovrebbe applicarsi anche agli accordi negoziati dalla Commissione per l’acquisto dei vaccini. Lo precisa la stessa Commissione nella Strategia dell’Ue per i vaccini contro il Covid-19: “la procedura di negoziazione è svolta conformemente ai requisiti del regolamento finanziario dell’Ue, il quale contiene norme equivalenti a quelle delle direttive sugli appalti pubblici dell’Unione”.
Il riferimento è al regolamento (Ue, Euratom) 2018/1046 che stabilisce le regole finanziarie applicabili al bilancio generale dell’Unione, segnatamente agli articoli 160 e seguenti riguardanti gli appalti e le concessioni. Il regolamento stabilisce che: (i) tutti i contratti finanziati interamente o parzialmente dal bilancio dell’Unione rispettano i principi di trasparenza, proporzionalità, parità di trattamento e non discriminazione (art. 160, par. 1); (ii) tutti i contratti sono messi a gara assicurando la più ampia concorrenza, salvo nel caso di ricorso alla procedura negoziata senza previa pubblicazione (art. 160, par. 2).
Vero è che l’applicazione delle regole richiamate subisce significative deroghe nelle procedure di acquisto dei vaccini, dovute alla situazione emergenziale, giungendo a limitare capisaldi quali la concorrenza e la pubblicità/trasparenza a favore del superiore interesse alla salute (ovvero alla produzione del vaccino). Ciò vale soprattutto per la segretezza che caratterizza tanto gli accordi preliminari conclusi dalla Commissione quanto i conseguenti ordini di acquisto attivati dai singoli stati.
Per la Commissione “questi contratti sono tutelati per motivi di riservatezza” e tale tutela “si giustifica per la natura altamente competitiva di questo mercato globale”. La ragione di tanta segretezza si fonda sull’esigenza di “tutelare i negoziati sensibili e le informazioni commerciali, specie le informazioni finanziarie e i piani di sviluppo e produzione”. Il rischio paventato è che la divulgazione di informazioni sensibili comprometta le procedure negoziali. Le aziende, inoltre, esigono che i contenuti dei contratti rimangano riservati, subordinando ogni forma di divulgazione a una preventiva autorizzazione.
La Commissione impone dunque un “atto di fiducia” sul fatto che le negoziazioni siano gestite con correttezza e rispetto delle regole.
Solo due accordi per la fornitura dei vaccini sono stati finora pubblicati, quello con Curevac Ag e con AstraZeneca Ab. La pubblicazione è parziale, in quanto da entrambi gli accordi sono omesse informazioni ‘sensibili’ riguardanti importi, prezzi delle dosi, tempi di produzione, consegna e molti altri aspetti essenziali del contratto. Gli accordi con BioNTech-Pfizer, Moderna, Sanofi-Gsk e Janssen Pharmaceutica sono di fatto secretati, ciò vale tanto per l’intesa preliminare conclusa dalla Commissione europea quanto per i conseguenti ordini di acquisto attivabili dai singoli stati.
È difficile esprimere valutazioni su vantaggi o svantaggi che deriverebbero ai cittadini europei dal conoscere i contenuti degli accordi conclusi con le aziende farmaceutiche. Tuttavia, non sembra accettabile che contratti e relative procedure siano sottratti a forme di pubblicità e trasparenza, doverose per elementari ragioni di etica pubblica prima ancora che per ragioni di mera conformità alle regole (europee). Nessuna valutazione di opportunità, di tutela della concorrenza o di altri interessi economici, men che meno di garanzie di efficienza nella conduzione delle trattative negoziali, sembra poter acquisire rilevanza tale da giustificarne la segretezza.
Per certo, possiamo rilevare una profonda differenza tra l’azione negoziale condotta a livello europeo e quella condotta a livello nazionale. Nel caso dell’Italia, ad esempio, per gli acquisti operati dal commissario straordinario, seppur di valore infinitesimale rispetto a quelli per la produzione dei vaccini, molte informazioni – conformemente agli obblighi europei – sono rese pubbliche, accessibili e facilmente monitorabili.
L’autorizzazione “condizionata” e la liberatoria delle aziende farmaceutiche
L’Ema e le autorità nazionali hanno adottato una serie di misure per facilitare e accelerare lo sviluppo e l’autorizzazione dei vaccini contro il Covid-19. In particolare, la Commissione può rilasciare un’autorizzazione cosiddetta “condizionata” sulla base di dati meno completi di quelli normalmente richiesti. I vaccini prodotti da BioNTech-Pfizer, Moderna e AstraZeneca hanno conseguito questo tipo di autorizzazione, circostanza che rende particolarmente importante il monitoraggio dell’efficacia e della sicurezza dei prodotti. A tal fine è stato adottato il 13 novembre 2020 il Piano per il monitoraggio della sicurezza dei vaccini anti Covid-19 e da luglio 2020 è attiva una rete per l’attuazione del monitoraggio.
Se l’autorizzazione condizionata è una scelta comprensibile per procedere celermente alla produzione e distribuzione dei vaccini, non lo sembra altrettanto la limitazione delle responsabilità delle aziende farmaceutiche. Questa soluzione ha suscitato perplessità e richieste di chiarimenti indirizzate alla Commissione e al Parlamento dell’Ue, rimaste insoddisfatte.
Sul punto, la Commissione non offre spiegazioni dettagliate: “In linea con le norme dell’Ue in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi, la responsabilità rimane a carico della società. Tuttavia, al fine di compensare i rischi potenziali assunti dai fabbricanti a causa del tempo insolitamente breve per lo sviluppo dei vaccini, gli accordi preliminari di acquisto prevedono che gli Stati membri indennizzino il fabbricante per eventuali responsabilità”.
Dal testo dell’accordo con Curevac emerge qualche indicazione più specifica. Ad esempio, viene stabilito che l’urgenza correlata alle sperimentazioni giustifica che l’impresa non garantisca né si assuma responsabilità per il fatto che il prodotto non produca i risultati desiderati, sia inefficace per contrastare il virus, sia privo di effetti collaterali indesiderati. Gli stati membri sono disposti a condividere tali rischi e a tenere indenne l’impresa da responsabilità, oneri e pretese di terzi, tenuto conto delle circostanze eccezionali del Covid-19. Viene altresì chiarito che l’uso dei prodotti avviene “in condizioni epidemiche” tali per cui l’utilizzo e la somministrazione degli stessi “sarà condotta con esclusiva responsabilità degli stati membri” (lett. K dei Recitals e anche art. 1.23Indemnification).
Non è difforme, nella sostanza, l’accordo negoziato con AstraZeneca. Gli stati membri, infatti, si sono impegnati a indennizzare, o comunque tenere indenne, l’azienda e i suoi partner da danni e responsabilità, comprese spese legali, derivanti da richieste di risarcimento conseguenti all’uso del vaccino (art. 14.1 Indemnification). Gli stati membri, inoltre, rinunciano a imputare all’azienda eventuali reclami riguardanti mancanza di sicurezza o efficacia del vaccino, qualora questo (i) sia conforme ai requisiti stabiliti dalla normativa europea per i prodotti medicinali, ovvero (ii) sia utilizzato “in condizioni pandemiche” (art. 15.1 Release).
Qualche osservatore ha fatto notare che l’urgenza e la grande pressione dell’opinione pubblica sugli Stati membri abbia poi generato una negoziazione dei contratti sfavorevole alla Ue. Ma questa tesi è smentita dai fatti. Gli Stati Uniti e il Regno Unito che hanno finanziato in parte la ricerca dei vaccini (e li hanno pagati anche di più) e che hanno sottoscritto i contratti con le aziende farmaceutiche prima dell’autorizzazione delle rispettive autorità regolatorie, sono riusciti ad ottenere le dosi richieste nei tempi concordati.