Il Barbarossa e la beffa di Alessandria: un inedito di Dario Fo

“Per giungere a scoprire i segreti dell’universo prima mi servo del fantastico”, scriveva Galileo Galilei, ed è un modello che ben si adatta al mondo creativo di Dario Fo. Il premio Nobel 1997 ha sempre inseguito una verità storica scomoda, lontana dai documenti ufficiali, attraverso gli strumenti della finzione e della messa in scena e adesso il testimone è passato al figlio Jacopo, impegnato a valorizzare il patrimonio artistico del celebre drammaturgo, attore e regista teatrale.

Così la casa editrice Guanda ha da poco pubblicato un romanzo inedito di Dario Fo, a cura di Jacopo, dal titolo “Il Barbarossa e la beffa di Alessandria”, a distanza di poco più di anno dalla morte. Un romanzo comprensivo di suoi disegni e dipinti, altra passione che ha coltivato fino alla fine.

Scrive nel preambolo Jacopo Fo: “La rilettura che proponiamo intende offrire la possibilità di conoscere fatti e vicende della storia dei nostri padri così come sono veramente accaduti”. Al centro della storia è un episodio legato alla nascita dei Comuni, al principio dell’anno Mille, quando Alessandria resistette in maniera straordinaria all’attacco di uno degli eserciti più potenti d’Europa, guidato dal famoso Federico Barbarossa, imperatore del Sacro Romano Impero. Un altro obiettivo del libro consiste nel rivalutare un’epoca, il Medioevo, “ancora ritenuta un periodo oscuro, malgrado gli studi, le ricerche e le scoperte del secondo Novecento” abbiano in realtà rivelato quanto la civiltà medievale possa “essere paragonata a quella espressa dalle comunità dei Greci antichi inventori delle poleis”.

Il punto di partenza del romanzo è Milano, tra fermenti e spinte innovative, e mentre ci si abbandona alla lettura s’immagina di vedere il giullare appassionato di “Mistero buffo” scatenarsi a modo suo nel racconto dei tumulti e del rogo dei Monfortini, accusati d’eresia dall’arcivescovo Alberto da Intimiano. In opposizione all’orrore, Dario Fo si dedica alla descrizione della nascita della Repubblica milanese e di un gran numero di Comuni lombardi come “fenomeno di emancipazione civile ed economica in Europa a partire dall’XI secolo”.

L’autore non ha ritrosie nemmeno nel confutare il giudizio di Dante Alighieri (il “buon Barbarossa”) sull’imperatore germanico Federico I, pronto a scendere in Italia con la propria armata, nel 1157, per devastare Milano e invadere i Comuni. Lo stile divulgativo e la capacità teatrale di Fo emergono soprattutto nel capitolo “La città galleggiante, tra storici ufficiali e storici apocrifi”, quando evoca la beffa subita dal Barbarossa grazie alla resistenza anomala da parte degli abitanti di Alessandria, con tanto di misteriosa diga che avrebbe travolto gli assalitori in un vero e proprio tsunami di montagna. Su questo argomento, precisa il curatore, le indagini sono ancora in corso, con l’intenzione di non smettere di studiare le fonti e le documentazioni a disposizione.

Nel complesso, “Il Barbarossa e la beffa di Alessandria” è una storia di resistenza a un esercito potente, di stragi di contadini e cittadini, di papati e poteri forti sconfitti dal coraggio dei più deboli, in una sfida che vede contrapposti tedeschi e lombardi. Come scrive nella postfazione Jacopo Fo, si tratta di un “racconto lungo una vita”, iniziato quando il padre, prima di calcare la sera il palcoscenico, narrava al figlio di sette anni “la storia di un imperatore malvagio e di come i Milanesi avevano distrutto il suo esercito. (…) Sono storie che se le ascolti da piccolo poi passi tutta la vita a cercare il modo di fregare ancora una volta la cavalleria imperiale”.

Di certo, Dario Fo, con Franca Rame, ha trascorso più di cinquant’anni nel celebrare la forza del popolo e l’ansia di giustizia che lo anima in determinati momenti storici. Una sfida artistica alimentata dalla fantasia e dalla capacità intuitiva perché, come ricorda Galileo Galilei, citato in esergo, si crea “spesso con azzardo, fatti e moti del tutto immaginari. Poi ricerco, servendomi di inchieste inoppugnabili, per verificare se quello che ho inventato è proprio la verità”. Ecco perché il fantastico diventa alleato della conoscenza, tra ricostruzione storica, arte romanzesca e gusto per l’inusuale e lo sberleffo.

Marco Olivieri
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Giornalista professionista e dottore di ricerca, Marco Olivieri è autore della monografia “La memoria degli altri. Il cinema di Roberto Andò” (Edizioni Kaplan 2013 e 2017), curatore del volume “Le confessioni” (Skira 2016) e, con Anna Paparcone, autore del libro “Marco Tullio Giordana. Una poetica civile in forma di cinema” (Rubbettino 2017). Collabora con «la Repubblica» – edizione di Palermo, è componente del comitato scientifico di “Carteggi letterari le edizioni” e ha scritto saggi per la casa editrice Leo S. Olschki e articoli per «Cinema e Storia» di Rubbettino, «il venerdì di Repubblica», «Ciak» e «Doppiozero». Critico cinematografico e teatrale, si occupa di Uffici Stampa, Cultura, Politica, Società e Terzo Settore.

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