Con un fatturato cresciuto del 14 per cento nel periodo 2016-2018 – di cui il 30 per cento circa ottenuto dall’export – l’industria della cosmetica italiana si sta affermando come una realtà dinamica e importante per il made in Italy.
Un settore anche redditizio considerando che nel 2017 ha realizzato un Ebit margin pari all’8,8 per cento, inferiore solo al 9,6 per cento della farmaceutica e 2,7 punti percentuali in più rispetto al manifatturiero italiano, come emerge da un’interessante analisi realizzata dalla direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo su più di 1.000 imprese del settore tra produttori e distributori all’ingrosso che, nell’insieme, hanno realizzato nel 2017 un fatturato di 11,6 miliardi.
La cosmetica italiana ha conquistato anche l’estero. A fronte di un saldo commerciale leggermente negativo agli inizi degli anni Novanta, nel 2017 il settore ha realizzato un disavanzo pari a 2,5 miliardi, in ulteriore crescita nel 2018. Forse pochi sanno che il 65 per cento del make-up acquistato in Europa proviene dall’Italia.
Anche in termini di patrimonializzazione – nonostante investimenti in ricerca e sviluppo paragonabili alla farmaceutica – i dati sono superiori alla manifattura e vicini a occhialeria e gioielleria, grazie a un rapporto patrimonio netto/attivo intorno al 30 per cento. C’è invece, spiega lo studio, ancora del lavoro da fare per una gestione ottimale di magazzino e capitale circolante.
Allungando lo sguardo al 2019, l’associazione di settore, Cosmetica Italia, che fa parte di Confindustria, si aspetta una crescita del 2,6 per cento con ancora un contributo importante dell’export, atteso in aumento del 3,5 per cento. Come ha ricordato il curatore dello studio di Intesa, Giovanni Foresti, si tratta di «un settore resiliente rispetto ai cicli economici, un po’ come il farmaceutico».
Dal punto di vista geografico sono 12 le province italiane altamente specializzate nella cosmetica, la metà in Lombardia: in ordine di rilevanza Lodi, Cremona, Parma, Roma, Bergamo, Milano, Firenze, Monza e Brianza, Como, Bologna, Torino e Padova. Proprio in Lombradia, nota lo studio, è nato un meta-distretto altamente specializzato con competenze nella chimica e la possibilità di contaminazione creativa con altri comparti del Made in Italy (come moda e design), capacità di anticipare le tendenze e di proporre prodotti innovativi.
Pochi i nomi noti – tra questi uno è senz’altro Kiko, 373 milioni di fatturato nel 2017, ma anche l’Erbolario – un po’ perché molte imprese producono per grandi marchi, un po’ perché spesso si tratta di aziende ancora piccole.Sulle mille aziende analizzate dallo studio, circa la metà ha un fatturato inferiore ai due milioni di euro, 115 hanno un fatturato compreso tra 10 e 50 milioni e sono solo 43 quelle con un giro d’affari superiore ai 50 milioni di euro. Molte sono giovanissime: sono quasi 200 le imprese nate tra il 2010 e il 2014, imprese che hanno registrato un aumento di fatturato doppio rispetto alle imprese mature.
L’eccellenza del settore è inoltre confermata dell’elevato numero di imprese champion per crescita e redditività: sono, infatti, più di 130 le imprese della cosmetica che nel triennio 2015-17 hanno registrato un aumento del fatturato superiore al 15 per cento, creando occupazione e mostrando un Ebitda margin nel 2017 superiore all’8 per cento. La diffusione di imprese champion sul totale delle aziende del settore è pari a circa il 20 per cento, circa il doppio circa rispetto alla media manifatturiera, con punte superiori al 30 per cento tra le imprese medie e grandi.
Questi risultati non sono casuali, ma sono il «frutto – aggiunge Foresti – di mirati investimenti in comunicazione, qualità, sostenibilità, sicurezza, internazionalizzazione, tecnologia e capitale umano. La quota di imprese della cosmetica con marchi registrati a livello internazionale, certificati di qualità, brevetti, partecipate estere e certificati ambientali è significativamente più alta rispetto al complesso del manifatturiero italiano».
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