Chi ci ha rimesso in seguito al decreto salva-banche è ormai evidente: si tratta degli azionisti e dei titolari delle obbligazioni subordinate che hanno visto ridotti al lumicino i propri investimenti a seguito del “salvataggio” dei quattro istituti in dissesto.
Non è altrettanto noto, invece, chi ci ha guadagnato e, soprattutto, chi ci guadagnerà. Si tratta degli operatori finanziari specializzati in Non-performing loans, o Npl. Un idioma anglosassone che definisce tutti quei crediti erogati che sono, per un verso o per l’altro, inesigibili. Crediti dubbi, sofferenze, incagli. Sono questi i Npl. E sono il macigno maggiore per gli istituti di credito italiani. Si tratta di circa 200 miliardi di euro, secondo i dati dell’Associazione bancaria italiana (Abi). Ma il numero sta salendo sempre più. Una soluzione, tuttavia, sta arrivando e, ironia della sorte, arriva proprio dalla City londinese tanto vituperata dai politici italiani.
Il mercato degli Npl
Saranno anche deteriorati, ma certi tipi di crediti fanno gola a chi ne sa cogliere il vero valore. Comprare a poco, ristrutturare, rivendere a un prezzo più elevato. Il trucco, per gestire i grossi pacchetti di Npl, è quello di avere pazienza e lungimiranza. Bisogna controllare i tassi di default di ogni singolo Paese e cercare di cogliere, in base a modelli matematici, a che punto si trova il ciclo economico dell’area in questione. Se il punto più basso è stato raggiunto, allora è il momento di comprare. La gestione dei crediti dubbi, poi, è un’operazione tanto delicata quanto difficile. Bisogna negoziare con il creditore e dargli spazio per rientrare, altrimenti tutto lo sforzo compiuto nell’acquisizione dei pacchetti di Npl sarà vano.
Chi opera in Italia?
A operare in questo settore sono in pochi. In Italia, forse il più grande soggetto è Banca IFIS, fondata nel 1983 da Sebastien Egon Fürstenberg e guidata da Giovanni Bossi. Più le normali banche vanno in crisi coi crediti incagliati, più IFIS interviene. Compra grossi pacchetti di Npl da colossi come UniCredit, negoziando al ribasso e proponendosi come market maker de facto. Del resto, si tratta solo di domanda e offerta. Il suo portafoglio di asset creditizi facenti riferimenti alle famiglie italiane vale circa 5,4 miliardi di euro. E poche settimane fa ha completato l’ultima acquisizione di questa classe, la più grande della sua storia, per un controvalore di 1,263 miliardi di euro.
Chi opera all’estero?
I crediti dubbi, tuttavia, più che agli istituti di credito italiani fanno gola alle società estere. Nello specifico, in tanti sono basati a Londra. Fra questi, l’ultimo in ordine temporale è Algebris, fondato da Davide Serra, che ha lanciato nei giorni scorsi Algebris NPL Fund 1, un fondo di diritto lussemburghese con capitali per circa 400 milioni di euro e dedicato agli investitori istituzionali. Obiettivo dichiarato? Avere un rendimento annuo compreso fra il 15% e il 18% grazie ai Npl immobiliari residenziali, circa il 40% del totale dei crediti dubbi presenti nel sistema italiano. Ma quello di Algebris non è che uno dei tanti. Ci sono anche Ares Management, Apollo Global Management, Cerberus Capital Management, Fortress, Lone Star Group, Sankaty Advisors. Nomi che al grande pubblico potranno anche dire poco o nulla, ma che per gli addetti ai lavori rappresentano dei professionisti nella gestione dei crediti deteriorati.
La grande attesa degli istituti italiani
I fondi hedge internazionali hanno messo gli occhi sui Npl in pancia alle banche italiane e queste ultime non attendevano altro. Infatti, dopo gli stress test della Banca centrale europea (Bce), l’urgenza è quella di ripulire ancora, e in modo pressoché duraturo, i bilanci. Per farlo ci possono essere tre vie: consolidarsi con altri soggetti, creare una bad bank nella quale inserire gli asset peggiori (come fatto dalle banche iberiche, ndr) oppure vendere pacchetti di asset deteriorati a terzi. È quest’ultima la strada che stanno intraprendendo gli istituti di credito italiani. Cedono asset a chi ha la possibilità di gestirli in modo più specifico e a chi è in grado di mitigare le eventuali perdite sui singoli portafogli.
Il caso italiano e la politica
L’Italia ha una sua specificità poichè la politica sta intervenendo per coordinare la nascita del mercato degli Npl. Come riportato da Linkiesta: “Poiché questi operatori si finanziano a tassi di interesse molto elevati (10-15%), quello che fa la differenza tra un ricavo e una perdita è il tempo che ci mettono a rivendere gli immobili. Su questo, il governo è intervenuto a dare loro una mano. La legge 132 del 6 agosto 2015 (conversione di un decreto legge) ha previsto sei aree di intervento, tra cui norme per velocizzare il processo e le procedure esecutive su beni mobili e immobili. Sono inoltre fissati in due anni dalla dichiarazione di fallimento i termini per la conclusione delle operazioni di liquidazione. Misure che secondo il Rapporto Pmi 2015 di Cerved Group «avranno impatti potenzialmente molto rilevanti sui tempi di recupero dei crediti e quindi sull’evoluzione delle sofferenze». Tradotto: i beni immobili, capannoni ma anche abitazioni, saranno pignorabili molto più facilmente. Rimangono alcune barriere sulle prime case, tutelate da una legge del 2013 qualora siano gli unici immobili di proprietà delle famiglie.
Quanto vale questo taglio dei tempi? Tanto. Lo fa capire una simulazione che ha fatto l’ufficio studi del Cerved, sulla base dei prezzi di mercato in uno scenario nazionale (non quindi specifico per le quattro banche). Si parte da un valore del bene di 100 euro. Nell’ipotesi che i fondi si finanzino a un tasso di interesse del 15%, in uno scenario di estinzione degli Npl in sette anni, il prezzo di acquisto che permetterebbe a questi operatori di realizzare i propri guadagni medi (i rendimenti sono elevati, circa il 20%) è di 18 euro, quindi in linea con le valutazioni scelte per le quattro banche popolari salvate”.
I benefici per l’economia reale
L’interesse dei fondi internazionali per i Npl delle banche italiane potrebbe avere un effetto benefico immediato. Per ovviare ai problemi di accesso al credito delle piccole e medie imprese nell’area euro periferica, la Bce ha lanciato le Targeted longer-term refinancing operation (Tltro), operazioni di rifinanziamento a lungo termine mirate, e il programma di acquisto dal mercato secondario di covered bond, Asset-backed security (Abs) e Residential mortgage-backed security (Rmbs), titoli cartolarizzati. Eppure, secondo gli ultimi dati presenti sui database dell’istituzione guidata da Mario Draghi, gli effetti positivi sui tassi d’interessi applicati dalle banche alle Pmi, almeno in Italia, non si sono ancora visti. Le azioni della Bce non sono abbastanza incisive. Non è una questione di liquidità sistemica, che abbonda, bensì di altro. Secondo la maggioranza degli investitori internazionali, la colpa è relativa alla mole di incagli che appesantisce i bilanci degli istituti di credito. Prima diminuiscono, prima potranno essere riaperti i cordoni della liquidità, prima le imprese potranno tornare a respirare.
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