Mentre in Occidente i consumi di moda, e non solo, arrancano – il vuoto pneumatico nelle boutique è sotto gli occhi di tutti – il pendolo delle manie spendaccione si sposta a Oriente, per fermarsi nel Celeste Impero.
Sarà perché laggiù sono in tanti: i neo-ricchi e miliardari nell’ordine addirittura delle decine di migliaia, o parecchio più. Sarà perché il lungo digiuno e l’astinenza forzata dal lusso hanno provocato una fame senza pari che esplode adesso in una sorta di bulimia incontrollabile. Sarà che la moda è il primo indicatore, agli occhi di tutti, dell’acquisito benessere.
Qualunque cosa sia, i cinesi vanno pazzi per i vestiti e gli accessori, firmati che di più non si potrebbe, e sono diventati in men che non si dica tra i principali sostenitori dell’intero settore. Una vera benedizione. Il fashion system, cortigiano e trasformista per definizione, si adatta. Questo spiega, almeno in parte, il fiorire sulle passerelle di creazioni preziose, speciali, ben lontane dalla quotidianità spiccia, pensate per consumatori ancora poco avvezzi al linguaggio dell’understatement, convinti che il potere di spesa vada esibito con abiti fantasmagorici. Ma c’è pure dell’altro.
La fregola del viaggio a Oriente per organizzare happening sensazionali e accalappiare i clienti direttamente in loco ha preso nell’ultimo periodo maison di ogni ordine e grado. Solo nel mese di maggio, Gucci, Bottega Veneta e Giorgio Armani hanno preso d’assalto Shangai e Pechino rispettivamente, preceduti da altri nel più o meno recente passato.
Pare che per conquistare davvero il pubblico, la trasferta sia obbligatoria. Acuta strategia di marketing o intenso battage mediatico? Entrambe le cose. Del resto, anche nei nuovi mercati, o forse soprattutto in quelli, la fascinazione modaiola non può prescindere dall’adozione del registro sensazionale. La sottigliezza non è scelta da contemplare, alla faccia della sobrietà tanto di moda di questi tempi.
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