Il commercio di armi è un business da dal valore incalcolabile. Armamenti aeronautici, armi chimiche, armi da lancio e da fuoco, contraeree, anticarro, armi nucleari. E, ancora, mine, missili, lanciafiamme, lanciagranate, esplosivi, aerei da caccia, bombardieri e carri armati. Armi leggere e pesanti che si muovono su canali dedicati (e spesso coperti) che collegano tutto il mondo.
Ma come funziona il mercato delle armi? Ogni paese può produrre un’arma intera, oppure aderire ad un programma governativo di cooperazione internazionale e vendere componenti e/o materiali per la produzione, ad esempio, di aerei come l’Eurofighter o l’F35, fregate FREMM e alcuni tipi di missili. I programmi di cooperazione sono conteggiati in maniera diversa e spesso non rientrano nella classica voce “export“.
Molti Stati hanno controlli doganali inesistenti e il contrabbando di armi è all’ordine del giorno.
Infine, anche i Paesi più ligi a regole e trattati (ad esempio sull’embargo) possono adottare la cosiddetta pratica delle triangolazioni. La compravendita è cioè mediata da un Paese terzo che non aderisce ai vari trattati sulle armi, e funge da intermediario per gli scambi di merci e dei pagamenti fra il Paese produttore e quello sottoposto a embargo. Tra l’altro la mancata adesione ai trattati di embargo non è sanzionata.
Un business planetario
Che il business sia multimiliardario non è un mistero, anche se non esiste una cifra ufficiale. Lo Stockholm International Peace Research Institute, meglio noto come SIPRI, unico organismo che si prodiga con cadenza costante a fornire qualche dettaglio in più su questo argomento, fa sapere che nel 2017 il valore del commercio globale di armi era di almeno 43 miliardi di dollari, salvo poi precisare che la cifra è molto probabilmente più alta perché i dati forniti dai singoli Paesi sono spesso raccolti con metodologie e nomenclature differenti. Inoltre molti Stati, quali la Gran Bretagna, non forniscono statistiche sull’export mentre altri, quali la Cina, non rilasciano nemmeno altri dati affini.
Amnesty International parla invece di 80 miliardi di dollari precisando che nel 2012 si sono toccati quota 100 miliardi. Cifra, questa, che sale a 120 miliardi se si includono anche i servizi militari. Ancora più consistente il giro d’affari: sempre secondo il SIPRI, nel 2012 le spese militari sono ammontate a 1.700 miliardi di dollari, in lieve calo (-0,5%) per la prima volta dal 1998 ma pur sempre pari al 2,7% del PIL mondiale.
Quanto ai top exporter, l’unica classifica credibile è ancora una volta quella del SIPRI, che copre il periodo che va dal 2008 al 2012. Al primo posto ci sono gli Stati Uniti, seguiti da Russia, Germania, Francia, Cina, Gran Bretagna, Spagna, Italia, Ucraina e Israele.
Tra i maggiori importatori figurano, invece, in ordine, India, Australia, Corea del Sud, Singapore, Stati Uniti, Algeria, Arabia Saudita, Grecia, Cina e Emirati Arabi Uniti.
L’Europa
L’Unione Europea deve, per legge, redigere periodicamente un rapporto sull’export di armi. L’ultimo è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’UE con il titolo: “XIII Relazione annuale sul controllo delle esportazioni di tecnologia e attrezzature militari“.
Le autorizzazioni (licences) all’esportazione di materiali militari che comprendono anche quelle relative ai “programmi intergovernativi hanno visto nel 2016 un decremento del 21% rispetto al 2009, quando avevano raggiunto la cifra record di oltre 40,3 miliardi di euro.
Il maggior calo riguarda gli ordinativi dei Paesi UE e dovrebbe essere dipeso dalla crisi economica che ha portato molti Stati a ridurre i budget militari. Nella lista dei destinatari non mancano Paesi protagonisti di turbolenze e moti popolari quali Egitto, Libia e Tunisia.
Quanto ai principali fornitori di armi la Francia, con 11,2 miliardi di euro, si conferma il maggior esportatore di armi che hanno varcato i confini d’oltralpe. Seguono Germania, Italia, Regno Unito, Spagna, Austria, Svezia, Belgio e Paesi Bassi. Bruxelles avverte comunque che alcuni membri, quali ad esempio Belgio, Irlanda, Germania, Polonia e Regno Unito non hanno fornito tutti i dati necessari a rendere queste statistiche ineccepibili, e dunque molti computi sono solo supposti.
Ovviamente ciò solleva periodicamente un vespaio di polemiche soprattutto quando, a tacere su questo argomento, sono grandi esportatori quali Germania e Regno Unito.
L’Italia
Nel 2012 l’Italia ha venduto armamenti per 2,7 miliardi di euro, al netto dei programmi intergovernativi di cooperazione industriale, ovvero tutte le operazioni di fornitura da e verso i “governi alleati”, quelli in abito Nato, e tutti quelli di fornitura parziale di armamenti per “co-produzione”.
Ai primi posti per valore contrattuale delle commesse quasi tutte aziende legate al Gruppo Leonardo (ex Finmeccanica): su tutte Alenia Aermacchi (con un miliardo di export ‘puro’), seguita da Agusta Westland (490 milioni), Selex Galileo (189), Mbda (172), Oto Melara (142), Fincantieri (68), Avio (66), Rheinmetall Italia (63), Piaggio Aero (60), Whitehead Alenia (59), Simmel Difesa (54), Selex Sistemi Integrati (47). Parliamo di aerei, elicotteri, navi, blindati, artiglieria, bombe, missili, siluri, fucili, munizioni e armi antisommossa (i candelotti Cs prodotti dalla Simad, venduti in gran quantità dalle polizie di Brasile, Bangladesh, Romania e Spagna).
L’81% dell’ammontare complessivo delle esportazioni è stato negoziato da tre istituti bancari: Bnp Paribas, con intermediazioni per quasi un miliardo di euro (il 34 per cento del totale), Deutsche Bank con 740 milioni (27 per cento) e Unicredit con 540 milioni (20 per cento) – quest’ultima qualche anno fa si era impegnata a cancellare completamente le sue attività nel settore. Seguono Barclays con 230 milioni (8 per cento), Bnl – gruppo Bnp Paribas – con ulteriori 108 milioni (4 per cento), Carispezia con 68 milioni (2,5 per cento).
I maggiori produttori di armi
Il più grande fornitore di armi al mondo, secondo il SIPRI, è la statunitense Lockeed Martin. Nella top ten solo tre società non sono statunitensi (la britannica BAE Systems che è seconda, l’europea EADS al settimo posto e l’italiana Leonardo che è nona).
L’Istituto di Stoccolma ha calcolato inoltre che le vendite complessive di armi e servizi militari delle 100 maggiori società hanno confermato un trend rialzista di medio-lungo termine.
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