Un’impresa socialmente responsabile cresce di più, i dati degli ultimi anni dicono questo. Adottare dei comportamenti rispettosi delle relazioni sociali e dell’ambiente paga e anche tanto perchè migliora la percezione del brand presso i potenziali clienti che sono disponibili a comprare e spendere di più.
Responsabilità Sociale d’Impresa (RSI) o Corporate Social Responsibility (CSR), l’espressione in lingua italiana o inglese, serve a definire il nuovo approccio che molte aziende stanno avendo verso la società all’interno della quale calano la propria attività. Il Libro Verde della Commissione Europea definisce la CSR come “l’integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali e ambientali delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei rapporti con le parti interessate”.
In particolare, detta responsabilità si esplica nei rapporti con gli stakeholder (portatori di interessi), a partire da quelli più vicini all’azienda quali collaboratori, dipendenti, clienti, partner, fornitori, a quelli che vivono ed agiscono in un contesto più ampio quali la comunità in cui l’azienda opera, le istituzioni locali, fino ad arrivare ad intervenire in ambiti come quello della sostenibilità ambientale.
Quello della responsabilità delle aziende è un tema considerato strategico per la realizzazione di una società coesa e competitiva a tal punto da essere stata inserita nell’agenda dell’Unione Europea già a partire dal 2000.
Inevitabilmente, infatti, le decisioni delle imprese orientate al business hanno un impatto sulla società, sull’ambiente, sulla sicurezza. In passato si parlava genericamente di etica dell’impresa, oggi questo insieme di valori è stato, in certo senso, riorganizzato e trasformato in un modello, che non prescinde però dal fatto che l’obiettivo dell’azienda sia quello di trarre profitto dalle proprie attività.
Per questo motivo, qualcuno potrebbe pensare che la CSR sia solo marketing o che ne sia una delle leve: l’azienda patrocina una borsa di studio per un gruppo svantaggiato della comunità o fa una donazione ad un ente benefico o adotta un impianto fotovoltaico e ne trae occasione per pubblicizzare la sua buona pratica, la filantropia, il rispetto per l’ambiente.
Sicuramente questo aspetto può rientrare in quello che nel marketing, viene chiamato ROI (Return On Investment), ossia il ritorno economico che si trae da un investimento. Ma non è solo o principalmente questo.
Non si deve dimenticare che l’adozione di una politica che si preoccupi della responsabilità sociale dell’azienda è una scelta volontaria, non obbligatoria, che richiede sforzi ed investimenti e che l’elemento “profitto” non è per forza un fattore condannabile o negativo a prescindere.
La sola attività di un’impresa è, essa stessa, connotata da un elemento di etica e di responsabilità nei confronti, ad esempio ed in primis, dei lavoratori che vi sono impiegati, ai quali offre (certo in cambio della loro prestazione) la possibilità di svilupparsi e progredire. Da questo punto di vista, la creazione di un clima aziendale sereno o l’adozione di un codice etico che sottolinei i valori che sono alla base delle relazioni sia interne all’organizzazione aziendale che a quelle esterne, rientrano tra quegli aspetti che possono alimentare il riconoscimento sociale dell’azienda, la sua buona reputazione, conquistando la simpatia e spesso la preferenza di acquisto dei consumatori.
La CSR si cala quindi in un contesto in cui la società è sempre più attenta all’operato delle aziende. Il tema dei diritti umani e dei lavoratori o quello del rispetto della natura sono due leve molto forti che influenzano le scelte degli imprenditori, dai quelli piccoli ai colossi, che sanno di avere gli occhi dell’opinione pubblica puntati sulle loro scelte. Questo aspetto della policy aziendale ha assunto tale importanza da essere oggetto di certificazioni che seguono precisi standard a seconda dell’ambito in cui l’impresa decide di focalizzare i propri sforzi.
Ma, certificazione e chiacchiere a parte, le aziende sentono reale la pressione degli stakeholder e sono chiamate ad agire concretamente per rispettare quelli che, altrimenti, sarebbero solo slogan.
Ne stiamo avendo esempio in questi giorni in cui si è riacceso, fortissimo, il dibattito sul razzismo all’indomani dell’uccisione di George Floyd negli Stati Uniti. Quanto accaduto ha indotto diverse multinazionali a prendere una posizione chiara e alcune hanno adottato delle misure per manifestare il proprio sostegno alla causa. Non senza polemiche, come nel caso del colosso della cosmetica L’Oreal, che ha bandito i termini “sbiancante” e “chiaro” dalle etichette di alcuni fondotinta.
La crescita dell’interesse nei confronti dell’argomento e della pratica della Responsabilità Sociale d’Impresa è tale che nel 2019 la rivista Forbes indicò quella del CSR manager come una delle professioni del futuro.
Ma chi è il CSR Manager? Secondo una ricerca EASP (European Association of Sustenaibility Professionals), in ambito europeo, solitamente (nel 60% dei casi) il responsabile è una donna tra i 41 e 50 anni, con un lungo background di esperienza – tra 6 e 15 anni. Il suo team è in genere composto da due risorse, tranne nei casi di aziende molto grandi e strutturate della Gran Bretagna, che in questo settore è all’avanguardia, dove si arriva a gruppi di lavoro più numerosi. Deve avere competenze manageriali, organizzative, leadership ma anche comunicative e soft skills. Solitamente i CSR manager hanno una formazione economica, ma spesso anche sociologica o di tipo umanistico.
La remunerazione di questa figura professionale non è ancora in linea con quella di manager di altre aree funzionali (sotto i 100.000 € annui nel 79% dei casi).
Si occupa prevalentemente di reporting e definisce ed implementa le strategie socio-ambientali dell’azienda, diffondendo la cultura della responsabilità anche tra i colleghi ed il management. Una figura professionale che è in crescita ma, che ancora deve trovare la giusta dimensione nell’ambito delle organizzazioni: nel 60% dei casi, la posizione riporta alla Comunicazione e alla HR mentre il CSR manager dovrebbe essere maggiormente coinvolto in attività che coinvolgano le funzioni aziendali che definiscono il futuro delle aziende come il Business Development manager.
L’Italia sembra aver meglio recepito l’importanza di questa funzione aziendale. Qui, rispetto a quanto accade nel resto d’Europa, il CSR manager riporta direttamente al CEO nel 45% dei casi, una percentuale più alta rispetto ad altri Stati europei.