L’etica si propone di esprimere giudizi di valore riguardo all’agire umano: valutare ciò che è giusto, buono, desiderabile. Detta pertanto regole intese stabilire in base alle intenzioni, ai risultati, o ai comportamenti quali azioni siano giuste e quali invece sbagliate.
Ma prima di porci delle regole morali al nostro agire, dobbiamo chiederci se questa esistenza di regole abbia una sua necessità razionale, se distinguere tra azione giuste o sbagliate risponda a principi razionali o meno.
Dobbiamo passare cioè ad un livello superiore, andare oltre, esaminare ciò che i filosofi morali designano come teorie metaetiche.
Si è sostenuto che la natura in generale, e quella umana in particolare, possano indicarci ciò che è giusto; o che le regole debbano venir desunte da quelli che sono arrivati ad essere i valori centrali e fondanti di una comunità.
Altri hanno sostenuto addirittura che non esistano motivi razionali per i quali un’azione possa essere definita giusta o sbagliata: le affermazioni etiche non sarebbero suscettibili di essere vere o false. Esse deriverebbero da scelte motivate da emozioni.
Soffermiamoci ad esaminare la seconda di queste teorie, quella che sostiene che i comportamenti virtuosi relativi ai membri di una comunità debbano essere considerati quelli moralmente giusti.
Questa teoria è generalmente conosciuta come “relativismo etico” e sotto certi aspetti non può venire confutata.
Anche se si sostiene che esistano valori eterni ed immutabili, è difficile negare che l’etica della Grecia classica (nella quale la schiavitù era ammessa), possa essere la stessa dei nostri giorni; o che la morale di tribù selvagge africane sia confrontabile con la nostra.
Esistono poi situazione diverse, che derivano prevalentemente dai progressi della scienza, che devono necessariamente essere affrontate con criteri nuovi, difficilmente inquadrabili nelle regole derivanti dalla morale tradizionale. La possibilità di mantenere un uomo in vita con mezzi artificiali, di trapiantare organi, di effettuare la fecondazione artificiale ecc. In una parola le problematiche della bioetica, che tanto fanno discutere ai giorni nostri.
Se pertanto il relativismo etico non può essere negato, le cose si complicano quando si deve determinare a quale collettività occorre riferirsi per desumerne i comportamenti virtuosi.
Se ci riferiamo a un popolo, quale ad esempio quello italiano, è pacifico che azioni come uccidere, rubare, truffare ecc. siano azioni riprovevoli.
Ma se esaminiamo all’interno di questo popolo le comunità che lo costituiscono le sorprese a cui andiamo incontro sono notevoli. Per meglio chiarire queste differenze ci sia consentito di esasperare alquanto le situazioni che andremo esaminando. Cominciamo da una distinzione che riguarda la generalità delle persone: possiamo sostenere che la morale degli uomini sia uguale a quella delle donne?
In particolare nei confronti dei costumi e della sessualità esistono differenze derivanti da tradizioni, fattori culturali, differenze biologiche ecc. che fanno si che le valutazioni morali siano spesso differenti. Queste differenze certamente non vanno strumentalizzate, ma sono alla base di molte incomprensioni che si manifestano particolarmente all’interno delle coppie.
La morale delle partite Iva è uguale a quella dei lavoratori dipendenti? Sembrerebbe di no, a meno di sostenere che tutti i dipendenti siano virtuosi e tutti gli autonomi siano disonesti.
Guardando i comportamenti dei politici ci viene il dubbio che il furto in quell’ambiente sia da molti considerato un peccato veniale, tanti sono quelli che lo praticano, o che comunque abusano del potere per procurarsi vantaggi illeciti. Senza evidentemente negare la funziona morale che la politica assolve, e i tanti che la esercitano con spirito di sacrificio nell’interesse del Paese.
E che dire dei magistrati, dei giornalisti, dei docenti universitari, dei medici, dei sindacalisti e perfino di taluni esponenti del mondo religioso.
E per gli appartenenti alla mafia e agli altri appartenenti al mondo della criminalità organizzata non è forse un infame chi tradisce ed un uomo d’onore chi si assoggetta alle regole dell’organizzazione.
Siamo partiti da affermazioni certamente condivisibili, e siamo arrivati a considerazioni estreme.
Nostro intendimento non è quello di arrivare a conclusioni ma piuttosto quello di porre e di porci degli interrogativi.
Riteniamo comunque che alcuni principi vadano in ogni caso salvaguardati: i diritti individuali, il diritto della società di organizzarsi e difendersi contro gli attacchi eversivi e che esista una coscienza in ciascuno di noi alla quale dobbiamo rispondere.
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