Intelligenza artificiale: impatto sul lavoro e sulla società, tra rischi e opportunità, speranze e disperazioni

Ci sono dei posti di lavoro che la tecnologia crea, come quello della foto – la centralinista del telefono in voga nei primi anni del secolo scorso – che si spengono immediatamente, non appena la tecnologia stessa inventa nuovi metodi ed automazioni, in questo caso i dispositivi di commutazione automatici.


Partendo da questa foto, viene in mente che la tecnologia stessa può creare nuove opportunità lavorative proprio mentre altre ne sta togliendo.

Le centraliniste non esistono più e i commutatori elettrici hanno preso il loro posto.

Il punto è far restare accettabile il saldo tra quelle tolte e quelle create, almeno entro certi limiti già nel transitorio tecnologico o, ancor meglio, renderlo a regime sempre positivo.

commutatori automatici che allora hanno sostituito le centraliniste dovevano comunque essere costruiti, installati e manutenuti e questo avrebbe generato immediatamente nuove opportunità lavorative e nessun disavanzo in totale per il mercato del lavoro (fatta eccezione in quel caso la scarsa attenzione al genere!!), a patto però che questa trasformazione fosse andata ad incidere nello stesso bacino territoriale di dove lavoravano le centraliniste, altrimenti succede che se si tolgono posti di lavoro in un punto e si riaprono in un altro, perché magari è più allineato con le necessità di produzione della tecnologia (o perché le regole in quel posto lo permettono), è come se si fossero trasferite le attività produttive impoverendo un territorio a scapito di un altro.

Dando per assodato il fatto che questo è il trend attuale, ovvero la sostituzione spinta del lavoro dell’uomo con l’automazione e l’AI, (si pensi ai call center destinati a dover cambiare prestissimo e riadattarsi, forse,  in centri di primo intervento e di diagnosi o di triage per una assistenza tecnica post vendita, quando l’introduzione della AI e dei chat-bot sarà tra un po’ ancora più spinta ed intelligente) potrebbe essere interessante già da ora capire come fare ad aumentare la possibilità per i lavoratori di essere velocemente riadattabili a nuove professionalità, di essere disposti ad imparare continuamente e ad accettare l’ipotesi di cambiare molte volte lavori durante la propria vita lavorativa seguendo l’evolversi della tecnologia che ormai è sicuramente più veloce di un ciclo di prodotto così come lo è anche la stessa vita media di una azienda (che è passata, si dice, da 80 anni, misurati ad inizio anni ’90, a poco più di 15 anni misurata nel 2015, ovvero si aprono più start up ma durano di meno e moltissime sono destinate al fallimento precoce).

La sfida rispetto a questo tema riguarda la politica e la capacità che i legislatori (o i “policy maker”) avranno di mettere a disposizione delle attività produttive strumenti istituzionali, regole, leggi e direttive, sociali e culturali, che possano agevolare positivamente questa inevitabile trasformazione continua, che la tecnologia ci impone a ritmi sempre più serrati.

Sarebbe un errore citare le leggi esistenti per regolamentare una tecnologia ed il suo intorno utilizzando le leggi passate come alcuni sembrano voler fare!

Possiamo provare a chiedere questo all’AI Generativa? Ci aspettiamo risposte in modo onesto che possano andare anche contro se stessa?

Se è vero che AI è in grado di interpolare molti dati fino a prevedere, con buona approssimazione, il futuro, potrà mai risponderci che sarà un bene limitare se stessa con leggi e regolamenti, come sta cercando di fare l’Europa con AI act?

In altre parole, ci fidiamo già abbastanza della AI tanto da poterle chiedere di autovalutare l’impatto della sua stessa attività su di noi e sul nostro lavoro futuro?

Se sì, non è già questa una cessione di poteri e deleghe sull’analisi di scenari futuri e visione alla AI?

.. è il motivo per cui noi speriamo di NO!! E speriamo che queste analisi e decisioni le prendano sempre degli Umani (“Always human in the loop and at the end!”)

Approfondiremo questi aspetti legati all’Analisi del Rischio nell’uso di AI in un prossimo articolo dando qualche esempio ed alcune interpretazioni, mentre per ora (anche auto-citandoci) proviamo a ri-formulare Ipotesi e riflessioni di nuovi strumenti per nuove situazioni lavorative che, con poca approssimazione, verranno portate da questa nuova e potente tecnologia (disruptive), l’ AI, cerando di anticipare scenari futuri per invitare a pensare a soluzioni da sottoporre magari anche a qualche algoritmo generativo per rafforzare le nostre convinzioni e le probabilità di riuscita.

Come si ipotizzava già infatti in mie riflessioni con amici a e colleghi qualche anno fa – giugno 2019, vedi articolo qui.

Le ipotesi prevedevano una rimozione di rigidità in entrata e in uscita per il lavoro, ovvero sia  contrattuali che gestionali ma anche di controllo della tassazione per i calcoli delle imposte o pure per le  elargizione di bonus e sussidi di welfare, computati su base rigorosamente attuali, (accerto che hai perso il lavoro oggi ti aiuto oggi non in base all’ISEE dello scorso anno o cose simili), poiché anche questi meccanismi devono essere rapidi per essere efficaci e rilevare le variazioni del reddito nell’immediato anzi  e questa dovrà essere una “condizione sine qua non” per introdurre ogni tipo di flessibilità e/o in generale su  eliminazione di rigidità, mai più basandosi su “fotografie” relative ad anni precedenti, ma addirittura predittive su situazioni, se non proprio future , almeno assolutamente attuali.

Che siano di una impresa o di un individuo, i conti economici e gli stati patrimoniali, che devono essere esaminati per prendere decisioni di sussidi o ristori, non devono essere quelli di pochi anni fa, che possono essere come la preistoria in un clima di forte velocità di innovazione tecnologica, bensì dell’attualità o meglio ancora di una previsione dell’immediato futuro.

Ciò deve per forza avvenire per evitare di intaccare la continuità vitale di remunerazione, utile agli individui per pianificare un acquisto di un bene importate, o per la nascita e la crescita di un figlio, cioè per azioni pluriennali di vita vera, per le quali una continuità e una costanza di entrate risulta essere condizione necessaria, e a volte neanche sufficiente, per poter continuare nel procedere del progetto di vita iniziato e pianificato, sempre partendo da una constatazione che deve essere anch’essa universalmente accettata con solidarietà, che questi atti vitali di pianificazione pluriennale devono continuare ad essere riconosciuti universalmente come un valore, non solo individuale del soggetto che li porta avanti ma collettivo, cioè dell’intera comunità a cui l’individuo appartiene (Le società che permettendo ai membri della sua comunità progetti lunghi come l’acquisto della prima casa, la nascita di un figlio, l’avvio di una azienda o di una attività lavorativa etc. etc. diventa nel suo complesso più ricca e più evoluta  e questo deve essere universalmente accettato e riconosciuto come valore!!)

Come qualcuno afferma, il mondo intero si trova in una fase in cui bisognerà per forza regolamentare correttamente non solo le nuove tecnologie di AI , (chiamandole magari finalmente con un nome più corretto come già qualcuno ha ipotizzato ovvero “Nuove tecnologie computazionali a supporto della intelligenza umana”) ma anche ad iniziare a pensare universalmente e globalmente ad  introdurre sistemi e regole che agiscano eticamente ed uniformemente per lo sviluppo delle nuove tecnologie senza creare disparità e nuove povertà ovvero garantendo la competitività, ma senza svantaggiare alcuni territori a scapito di altri.

Per governare le variazioni e controllare la sperequazione dei redditi che deriverà dall’impatto della nuova tecnologia(che altrimenti verrà sempre vista con ragionevole paura e scetticismo)sulla popolazione e sui lavoratori,  sarà necessario pensare e regolamentare anche  l’introduzione di appositi strumenti e leve sia fiscali e che finanziarie che,  attuando politiche  universali di accesso al reddito (più che di cittadinanza o di inclusione tenderei a chiamarle “di continuità” o “di transizione”) che mirino ad eliminare barocche burocratiche rigidità per evitare, soprattutto nei periodi di cambi tecnologici, ostacoli psicologici (per niente insensati) alla introduzione di nuove tecnologie, che sono necessarie per l’evoluzione ma che sappiano mantenere calmierate le disparità che si portano inevitabilmente dietro come effetto collaterale.

Tra gli strumenti da mettere al bando perché diventano velocemente obsoleti, ci sono gli anticipi e gli acconti fiscali (irpef e Iva) basati sul calcolo dei redditi percepiti nei periodi precedenti che, per una piccola azienda o per un professionista, hanno l’effetto di paragonare un presente incerto e frammentato, con un passato solido e strutturato per il calcolo del dovuto allo Stato ma che, in un periodo di rivoluzione tecnologica e industriale, non sono più paragonabili.

Prima abbiamo fatto degli esempi di aiuti che non possiamo fare a meno di considerarli simili ai “ristori” del periodo post pandemia da covid, che andrebbero introdotti sistematicamente, sia pure per diverse motivazioni a disparate categorie di lavoratori.

Anche se ancora non è chiaro quali debbano essere le coperture per queste elargizioni si potrebbe fare l’ipotesi di considerare l’opportunità di introdurre di meccanismi di “social responsability” nella redistribuzione del reddito, cioè le imprese che sono all’apice dei fatturati per questa tipologia di transizione devono aiutare, tramite l’introduzione di un fondo comune, chi invece ha subito, nello stesso periodo, dei cali notevoli di fatturato per la stessa motivazione  manifestatasi purtroppo con segno opposto.

Tuttavia Il rischio di una AI troppo regolata in un continente anziché in un altro, ce lo siamo già mille volte detto, se non si fa tanta attenzione può determinare nuove rigidità e in complesso una perdita di competitività per le aziende sottoposte a queste regole nella loro area geografica e quindi paradossalmente, in totale, generare una perdita di occupazione li dove queste limitazioni vengono saggiamente e giustamente applicate rispetto ad altri posti in cui le limitazioni non si pongono affatto (Asia, India, China etc.)  o in modo molto ridotto.

Questi Paesi ci esporteranno poi prodotti sempre più tecnologici, più affidabili e meno costosi, che noi stessi sceglieremo perché quelli possiamo permetterci, realizzando così il trasferimento occupazione e delle ricchezze che si temeva e che solo una attenta programmazione, lungimiranza e solidarietà globale può scongiurare.

Non crediamo che il freno all’espandersi delle tecnologie elettroniche e digitali nel vecchio continente sia connesso all’andamento demografico e all’invecchiamento della popolazione, ma pensiamo che sia  in generale dovuto alla paura di una polarizzazione dei redditi e delle ricchezze, che possa portare alla formazione di sacche di povertà li dove troppe regole (per quanto anche giuste) inducano ad una scarsa propensione al rischio di impresa o portino ad iniziative imprenditoriali di probabile fallimento in considerazione dell’elevato carico di incombenze burocratiche che costituiscono non solo una barriera all’ingresso (anche per questo delle volte tollerate da grandi aziende, perché barriera alla concorrenza delle piccole) ma anche per il mantenimento dei tanti divieti a cui fare attenzione durante tutta la vita di una impresa che voglia applicare a pieno la tecnologia più avanzata come l’AI senza trascurare la correttezza e l’integrità.

E’ logico pensare che queste siano piuttosto conseguenze che cause di preferenza per i giovani e anche i meno giovani nello scegliere certe volte attività lavorative anche ripetitive, ma continuative e a basso rischio, e ciò si porta dietro un welfare assistenzialistico e la inevitabile necessità di sussidiare socialmente i disoccupati tecnologici o di occuparli in lavori socialmente utili perché se dovessero intraprendere nuove vie imprenditoriali risulterebbero penalizzati da forte regolamentazione che genera una scarsa propensione al rischio (perché diventa una certezza di fallimento da carico burocratico).

Previsioni e trend: I rischi della tecnologa, AI compresa- conclusioni

Le tecnologie digitali produrranno certamente nuova occupazione, ma nell’immediato non in misura da riequilibrare i posti di lavoro perduti, poiché le attività nuove presenteranno caratteristiche peculiari difficili da reperire perlomeno nel breve periodo: formazione lunga e continua, competenze professionali ottenibili solo con l’esperienza, qualità naturali difficili da individuare e comunque attualmente non sufficientemente apprezzate, attività caratterizzate da complesse problematiche tecniche, difficili da comprendere anche da chi deve selezionare i profili per l’impiego.

Le competenze per progettare, implementare e manutenere macchine ed impianti automatici, algoritmi, procedure e modelli di Intelligenza Artificiale dovranno essere unite con la necessità di una dedizione, di un impegno continuo e, in certi momenti, senza limiti di orario che risulteranno produrre mestieri impegnativi e spesso non compatibili con esigenze personali diverse, non sempre forieri quindi di grandi soddisfazioni in ambiti personali e familiari.

I nuovi mestieri bisognerà in un certo senso amarli e, almeno nel periodo che li si effettua, (che non può essere per una intera vita lavorativa), che vengano ben remunerati, in misura superiore alle attività tradizionali.

Il processo di trasformazione del lavoro, causato da questa quarta rivoluzione tecnologica, malgrado spesso paragonato, si prospetta nulla abbia a che vedere con il passaggio dal lavoro da agricolo alla catena di montaggio di una precedente rivoluzione tecnologica, pur avendo diverse similitudini.

Le trasformazioni di cui sopra, per quanto rapide, si svolgeranno su un arco di tempo più ampio del previsto a causa di arresti dovuti a diffidenza burocratica piuttosto che a difficoltà di implementazione della nuova tecnologia.

Crediamo che la crisi demografica e le riduzioni dell’orario di lavoro nelle attività tradizionali superstiti contribuiranno per un periodo a conservare un equilibrio sul mercato del lavoro.

I fatti tendono a dimostrare che lo sviluppo tecnologico digitale, anche se prioritariamente indirizzato non può risolversi altro che con un “comunismo tecnologico” inevitabile relativo alla statalizzazione dei mezzi di produzione, poiché non si può pensare di vendere i prodotti alle macchine (ad esempio  le scarpe e le auto prodotte dalle macchine intelligenti  agli algoritmi stessi e ai robot che le hanno costruite), come invece accadeva con la mitica Ford T nella precedente rivoluzione industriale delle catene di montaggio, che si era resa accessibile ai lavoratori che la producevano , quindi i prodotti dovranno essere realizzati a prezzi bassissimi con pochi margini per l’imprenditore che in buona parte dovrà restituire parte di ciò che produce ed anche dei suoi utili evitando redditi fortemente sperequati nella distribuzione della ricchezza proprio per la sopravvivenza della stessa azienda di produzione.

Gli istituti internazionali di ricerca sono concordi invece nel prevedere che la nuova realtà costringerà i governi ad intervenire con azioni di redistribuzione di reddito molto decise, mediante sussidi, welfare e lavori socialmente utili.  Nel contempo, non si dovranno trascurare coloro che continuando nei lavori produttivi renderanno fattibile la redistribuzione. Le società dovranno quindi elargire privilegi e incentivi economici a favore di coloro che continueranno a produrre ricchezza (imprenditori e lavoratori-sviluppatori).

Da queste brevi considerazioni, appare evidente che sarà necessario fin d’ora affrontare la dimensione del problema economico e, quindi, una volta chiarito che l’economia di mercato non è in grado, in tempi accettabili, di aggiustare spontaneamente gli squilibri creati dai cambiamenti tecnologici, bisogna intervenire in qualche modo per tamponarli.

Prima ancora che per motivi di solidarietà umana, già solo dal punto di vista macroeconomico, sarà fondamentale mantenere il livello attuale della domanda aggregata, in modo da sostenere il PIL in una situazione nella quale la disoccupazione risulterà in forte incremento, almeno in maniera transitoria (si spera, altrimenti si dovrà ripensare all’intero mondo del lavoro non legato al salario ma ad altre soddisfazioni il che non sarebbe affatto male!!).

Se analizziamo un singolo Stato o continente (l’Europa) A parità di volume delle esportazioni, che significa comunque rimanere competitivi e quindi accedere alle nuove tecnologie senza esitazioni, la domanda interna di beni e servizi dovrà rimanere inalterata, e questo nonostante la diminuzione demografica in atto e, di conseguenza, dovrà mantenere inalterato il volume reddituale dei consumatori.

In pratica, chi perde lavoro dovrà poter usufruire di un sussidio di continuità pagato da chi aumenta a dismisura il fatturato grazie alla tecnologia fino a che non avrà ritrovato un altro reddito. In che modo farglielo pervenire?

Le alternative sono due: o mantenendo il lavoratore a carico dell’azienda dove ha perso il lavoro, oppure direttamente dalla pubblica amministrazione, attraverso un finanziamento con nuove imposte, e perciò sempre a carico della medesima azienda che ha auto incrementi (che si spera ce ne siano sempre a sufficienza per mantenere un equilibrio almeno dinamico)

Sembra, in proposito, che la prima soluzione presenti meno dispersioni. In sostanza, si tratta di ripartire tra azienda e maestranze, tra capitale e lavoro, il frutto indesiderato dell’innovazione tecnologica che provoca nell’immediato la perdita di lavoro;

un processo che, con modalità e tempi diversi, il capitalismo ha sempre provveduto ad effettuare, mantenendo l’occupazione all’interno di fluttuazioni accettabili.

Se la soluzione contabile economica sembra essere almeno teoricamente soddisfacente, nel senso che il progetto di innovazione trova compensazione nella remunerazione del capitale e nel miglioramento delle condizioni dei lavoratori, si apre sul piano sociale un conflitto con prospettive difficilmente superabili. Già oggi si stanno moltiplicando nel mondo iniziative di “welfare tecnologico”, di UBI (universal basic income), ma con reazioni dell’opinione pubblica nella maggior parte negative.

Massimo Spiezia
Informazioni su Massimo Spiezia 4 Articoli
Ingegnere elettronico specializzato in Bioautomatica, in Direzione aziendale e Antincendio; Verifiche impianti Elettrici ed Elettronici ed Elettromedicali; esperienze come business development Manager, valutatore ed Auditor, startup ed integratore sistemi di gestione aziendali con metodologia Six Sigma, in particolare dopo stratificazioni dei sistemi gestionali e disallineamenti per acquisizioni o integrazioni e fusioni aziendali o cambi di proprietà.

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