Sono iniziate a Teheran le celebrazioni del 40esimo anniversario dalla rivoluzione del 1979. La guida suprema, Ali Khamenei, ha ammesso che gli iraniani continueranno a gridare “morte all’America”, precisando che lo slogan è diretto al presidente Trump e ai leader degli Stati Uniti e non al popolo americano. Il discorso di Khamenei è stato al centro della parata degli ufficiali dell’aviazione iraniana riunitisi per ricordare le quattro decadi dalle proteste che nel 1978-1979 portarono alla fine del regime dello Shah e all’inizio dell’era di Ruhollah Khomeini.
Divisi tra Trump e l’Europa
Il riferimento della guida suprema a Donald Trump rimanda alle decisioni prese dal presidente Usa, che sono culminate con l’uscita unilaterale degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare, approvato a Vienna nel luglio del 2015 dai P5+1, i Paesi del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite insieme alla Germania.
I Paesi europei che hanno firmato l’intesa di Vienna hanno tentato a più riprese di salvare l’accordo. Ma anche su questo punto Khamenei non ha usato mezzi termini. “Vi raccomando di non avere fiducia degli europei così come non ne avete degli americani”, ha aggiunto nel suo discorso. L’Ue ha criticato il crescente ruolo iraniano nelle crisi regionali, soprattutto in riferimento al suo programma balistico: uno dei punti centrali che ha portato Washington a ritirarsi dall’intesa del 2015. “Minacce chiare contro la Repubblica islamica non sono costruttive e non aiutano né sono in linea con la sicurezza regionale e gli interessi reali europei”, ha commentato il ministro degli Esteri iraniano e capo negoziatore per l’accordo sul nucleare, Javad Zarif.
L’Iran ha esteso negli ultimi venti anni il suo programma missilistico, non incluso nelle clausole dell’intesa di Vienna del 2015, nonostante la dura opposizione degli Stati Uniti e le preoccupazioni francesi che avevano portato il presidente Emmanuel Macron su posizioni vicine a quelle di Trump rispetto alla possibilità di imporre nuove sanzioni all’Iran. Washington ha però deciso di non estendere a otto Paesi le misure contro Teheran, inizialmente previste anche per i Paesi terzi che avessero continuano a investire in Iran. Anche il presidente iraniano, il moderato Hassan Rouhani, rieletto per il secondo mandato nel 2017, ha ribadito i risultati ottenuti dalla Repubblica islamica negli ultimi 40 anni. “La grande nazione iraniana ha ottenuto i suoi obiettivi e non tornerà indietro a 40 anni fa, nell’era in cui era sotto l’influenza Usa”, ha aggiunto. A essere in allerta per il ruolo regionale iraniano è prima di tutto Israele. Lo scorso 21 gennaio l’esercito israeliano ha attaccato militari iraniani delle forze Qods a sud di Damasco, in territorio siriano, causando 11 vittime.
Gli effetti in politica economica delle decisioni Usa
I primi effetti delle nuove sanzioni Usa contro Teheran si sono fatti sentire sulla popolazione locale che era scesa in piazza contro il carovita e per chiedere un aumento dei salari tra il 2017 e il 2018. In particolare lo stop agli scambi commerciali in dollari aveva fatto schizzare alle stelle l’inflazione, causando non poche reazioni soprattutto tra giovani e classi disagiate. E così, come parte delle intenzioni manifestate dall’Alto rappresentante per la Politica estera dell’Unione europea, Federica Mogherini, Gran Bretagna, Francia e Germania hanno lanciato la scorsa settimana lo Strumento a sostegno degli Scambi commerciali (Instex). Si tratta di un sistema che ha lo scopo di facilitare gli scambi non in dollari con l’Iran ed evitare le sanzioni degli Stati Uniti.
Il ministero degli Esteri iraniano ha salutato con soddisfazione il nuovo canale per gli scambi bilaterali, sostenendo però che sia stato “tardivo e inadeguato”. Il governo iraniano ha anche aggiunto che Teheran potrebbe rivedere le sue relazioni con l’Europa se non dovesse beneficiare economicamente dall’Instex. L’Ue ha anche chiesto alle autorità iraniane di chiudere ogni azione che potrebbe rafforzare la sfiducia bilaterale. Il riferimento è ai misteriosi assassini di figure iraniane di opposizione, avvenute negli ultimi anni in Francia, Olanda e Danimarca che hanno portato all’arresto di sospetti che avrebbero legami con le ambasciate iraniane in Europa e il ministero dell’Intelligence. Su questo punto le autorità iraniane sono state molto dure. “Sollevare accuse del genere senza fondamento non è costruttivo e in linea con i nemici che vogliono colpire le relazioni tra Iran ed Europa”, si legge in una nota.
Quarant’anni dopo la Rivoluzione che nel 1979 segnò la storia iraniana e determinò un progressivo isolamento del Paese, culminato nella guerra tra Iran e Iraq e nelle sanzioni contro il programma nucleare iraniano, è tempo di bilanci per le autorità di Teheran. Se da una parte i conservatori hanno saputo mantenere stabilmente il controllo del paese, dall’altra, sono troppe le incognite regionali che possono nel lungo periodo mettere in discussione il ruolo iraniano di guida regionale e di potenza economica, grazie ai grandi introiti che vengono dalle ingenti risorse petrolifere e di gas del Paese. L’Unione europea sembra ben disposta verso i moderati che governano l’Iran di Rouhani, rispetto alle linee intransigenti di politica estera dei Repubblicani negli Usa, ma non è chiaro fino a che punto manterranno questo atteggiamento in vista di una possibile estensione delle sanzioni Usa anche ad altri Paesi che fanno affari con Teheran.
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