Iran, l’accordo che cambia l’energia mondiale

Iran PetrolioDopo l’intesa di Vienna Teheran si prepara a far affluire sui mercati mondiali quantità ingenti di petrolio e gas che potrebbero ridisegnare gli equilibri tra Paesi produttori e consumatori, anche se adesso l’Iran deve colmare il gap infrastrutturale accumulato negli anni dell’embargo.

L’accordo tra le sei potenze del gruppo ”5+1’ – Cina, Francia, Germania, Regno Unito, Russia e Stati Uniti, con il supporto dell’Unione europea – e l’Iran sul programma nucleare di Teheran può rappresentare un importante fattore evolutivo per i mercati energetici internazionali. L’intesa, infatti, prevede che in cambio dei limiti imposti allo sviluppo del programma nucleare e del regime di ispezioni che assicura all’Onu l’accesso a tutti i siti sospetti, saranno progressivamente rimosse le sanzioni internazionali all’Iran che colpiscono in modo particolare il settore energetico del.

Nella speranza che l’accordo regga, i suoi effetti potranno essere molteplici: se in ambito petrolifero il ritorno dell’Iran sulla scena internazionale potrà contribuire in tempi relativamente rapidi a irrobustire un’offerta globale già particolarmente abbondante, nel settore del gas naturale gli effetti dell’accordo si svilupperanno più nel medio-lungo periodo.
Sanzioni al comparto energetico

Le sanzioni contro l’Iran hanno sperimentato un progressivo inasprimento a partire dal 1979, anno della rivoluzione islamica iraniano e della crisi degli ostaggi dell’Ambasciata americana. L’ultimo rafforzamento del regime sanzionatorio risale al 2012, quando oltre alle misure adottate da Stati Uniti e Nazioni Unite, anche l’Unione europea ha introdotto l’embargo nei confronti del settore petrolifero di Teheran. Proprio l’irrigidimento internazionale registrato nel 2012 ha avuto un impatto significativo sul settore energetico nazionale, le cui rendite garantiscono circa il 78% delle esportazioni del regime di Teheran. Sebbene con alcune rilevanti eccezioni (BP ed Eni), le principali compagnie energetiche europee – tra cui Royal Dutch Shell, Statoil e Total – hanno praticamente congelato le loro operazioni nel Paese, mentre altre hanno ridotto all’osso i loro acquisti di greggio. Questa situazione ha portato a un significativo rallentamento della produzione iraniana e a un crollo delle esportazioni, dimezzatesi negli ultimi tre anni, fino a scendere sotto il milione e mezzo di barili al giorno.

Proprio gli scambi con l’Unione europea, prima delle sanzioni il secondo mercato regionale di destinazione del greggio iraniano con quasi 600mila barili al giorno, si sono praticamente azzerati in seguito all’embargo. Alla luce della firma dell’accordo, la rimozione delle sanzioni – seppur progressiva – potrà certamente fare da volano alla ripresa delle esportazioni e della produzione. Da un lato, infatti, l’Iran potrà riprendere parte delle forniture bruscamente interrotte nel 2012, dall’altro sarà in grado di attrarre investimenti esteri – si parla di oltre 40 miliardi di dollari – per rimettere in moto il settore energetico nazionale.

Il settore petrolifero

Sebbene i prezzi internazionali del greggio abbiano reagito in modo un po’ schizofrenico all’annuncio dell’accordo di Vienna – in due giorni, una leggera contrazione seguita da una immediata risalita – appare abbastanza scontato che il ritorno di Teheran sulla scena internazionale potrà avere un impatto significativo sul settore petrolifero globale. L’Iran è il quarto Paese al mondo per riserve di greggio, che ammontano a quasi 160 miliardi di barili e rappresentano circa il 10% del totale globale. Nel 2014 – sotto effetto delle sanzioni – la produzione totale si è attestata attorno ai 3.6 milioni di barili al giorno, contro i 4.3 raggiunti nel 2011 prima dell’ultima tornata di misure internazionali. Secondo fonti iraniane, al momento ci sarebbero oltre 40 milioni di barili di greggio stoccati in supertankers ormeggiati nel Golfo Persico e pronti ad essere esportati. Sebbene si tratti in parte di greggi particolarmente pesanti e complessi da raffinare, e quindi meno appetibili, l’effetto sui mercati internazionali potrebbe essere non trascurabile. Più incerta invece la capacità del settore petrolifero iraniano di tornare ai livelli di produzione pre-embargo: le aspettative del regime di incrementare la produzione di 600mila barili nel giro di sei mesi sono ritenute eccessivamente ottimistiche dai più, secondo i quali sarà necessario attendere almeno un anno per raggiungere i livelli previsti. Ad ogni modo, lo sviluppo di nuove risorse sarà certamente un elemento di grande interesse per le compagnie e gli investitori internazionali, soprattutto considerando il fatto che il regime si è posto l’obiettivo di raggiungere i 5 milioni di barili al giorno di produzione entro il 2020.

Le compagnie europee storicamente presenti nel Paese – Eni in primis, al fianco di Total e Royal Dutch Shell – potranno giocare un ruolo fondamentale in questa partita, ma dovranno guardarsi bene dalle iniziative di major americane come Exxon Mobil e ConocoPhillips – da decenni fuori dall’Iran – nonché da player asiatici e russi tra cui CNPC, Inpex, Petronas, Gazprom e Lukoil, che hanno approfittato della completa uscita di scena occidentale per rinsaldare i legami energetici con Teheran.

Le prospettive per il gas naturale

La corsa internazionale al tesoro energetico iraniano si estenderà certamente al settore del gas naturale: l’Iran è il secondo Paese al mondo per riserve – che ammontano al 18% delle risorse mondiali – a fronte di una produzione relativamente limitata (5% del totale globale) e assorbita quasi esclusivamente dai consumi interni. Questa situazione ha fortemente limitato la capacità di esportazione del Paese, che oggi rifornisce la Turchia con quasi 10 miliardi di metri cubi (Bcm) di gas, ma che ne importa quasi altrettanti dal Turkmenistan. In quest’ottica, il potenziale iraniano appare immenso, sebbene destinato ad essere sfruttato nel medio-lungo periodo, quando lo sviluppo del giacimento di South Pars – il più grande giacimento di gas naturale al mondo – sarà portato a regime. Ad ogni modo, il destino delle future esportazioni di gas iraniano è tutto da disegnare. Se infatti dal punto di vista europeo il gas di Teheran potrà rappresentare linfa vitale per il progetto del Corridoio meridionale e un asset fondamentale per ridurre la dipendenza dalle forniture russe, in realtà geologia e calcoli economici sembrano suggerire sviluppi ben differenti. Buona parte delle risorse iraniane sono infatti localizzate in giacimenti off-shore nel Golfo Persico, rendendo lo sviluppo di una ampia capacità di liquefazione la soluzione più appetibile per il regime nonché per le compagnie internazionali interessate a investire nel settore. A questo, va inoltre aggiunta la quasi completa assenza di infrastrutture di trasporto nella parte settentrionale del Paese, fattore necessario (e finanziariamente costoso) per raggiungere i mercati europei attraverso il Corridoio. Alla luce di questo, è abbastanza ragionevole immaginare che l’Iran possa adottare l’approccio qatarino, e focalizzare i propri investimenti nel trasporto LNG, con l’obiettivo di raggiungere i remunerativi (e più vicini) mercati dell’Asia orientale. Per fare tutto ciò, tuttavia, saranno necessari ingenti investimenti, stimati attorno ai 100 miliardi di dollari. Nonostante le rosee prospettive geologiche, il governo iraniano dovrà mettere in atto una serie di riforme per incoraggiare i finanziatori internazionali: prima fra tutte, il ripensamento dei contratti buy-back attualmente in vigore, che assicurano alle compagnie straniere ritorni pre-definiti privandole di qualsiasi tipo di diritto sui giacimenti o sugli asset (Fonte: ABO).

Nicolo Sartori
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Nicolò Sartori è senior fellow e responsabile del Programma Energia dello IAI (Istituto Affari Internazionali), dove coordina progetti sui temi della sicurezza energetica, con particolare attenzione sulla dimensione esterna della politica energetica italiana ed europea.. La sua attività si concentra in particolare sull’evoluzione delle tecnologie nel settore energetico. Ha lavorato inoltre come Consulente di Facoltà al NATO Defense College di Roma, dove ha svolto ricerche sul ruolo dell’Alleanza Atlantica nelle questioni di sicurezza energetica.

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