Sono ormai quattro anni che i “massimi esperti” di economia discutono sulle possibili soluzioni per uscire da questa lunga crisi. Dal dibattito sono emerse le proposte più bizzarre.
C’è chi sostiene che bisognerebbe abbattere la tassazione sul lavoro, ma non spiega come compensare le mancate entrate.
C’è chi sostiene che sarebbe necessario investire nelle Grandi Opere, ma poi si scontra con i vincoli di bilancio europei.
E c’è chi si è addirittura spinto a sostenere che bisognerebbe vendere tutto il patrimonio dello stato (immobili, aree demaniali, azioni …), ma in questa delicata fase di mercato si trasformerebbe solo in una svendita.
Io, sommessamente, mi sento di proporre una soluzione molto più semplice, ma dagli effetti immediati: far pagare alle imprese l’iva per cassa e non per competenza.
Non è una proposta nuova, se ne parla da anni, ma vorrei riproporla con alcune modifiche sostanziali, analizzando (numeri alla mano) costi e benefici.
Attualmente le imprese versano l’iva nel mese o nel trimestre di emissione della fattura (iva per competenza), anche se quella fattura non è stata pagata. Sostanzialmente, le imprese versano l’iva anche sulle fatture insolute o su quelle pagate in ritardo. Anticipano, quindi, liquidità.
Di che cifre stiamo parlando? Mediamente risultano insolute o pagate in ritardo il 20% delle fatture emesse in totale delle imprese italiane. Lo Stato ha incassato nel 2011 circa 411 miliardi di euro dal gettito iva. Pertanto, la quota iva anticipata dalle imprese (20%, fatture insolute o pagate in ritardo) è pari a circa 80 miliardi di euro.
Se l’amministrazione finanziaria consentisse alle imprese di versare l’iva per cassa, cioè quando effettivamente incassano l’importo della fattura, si libererebbero 80 miliardi di euro da investire nella crescita.
Una cifra tripla, se non quadrupla di quella che il Governo ha dichiarato di voler sbloccare onorando i pagamenti arretrati della pubblica amministrazione verso le aziende.
Qualcuno mi contesterà che questa soluzione genererebbe un calo delle entrate fiscali, attualmente non sostenibile. Nulla di più falso. Il gettito fiscale non andrebbe perso, ma spostato nel tempo, al momento dell’effettivo incasso delle fatture.
E come si fa se le fatture non vengono mai pagate e restano insolute?
Basterebbe concedere alle imprese la possibilità di emettere delle speciali “Note di credito” che annullano solo il debito fiscale verso lo Stato e non il credito commerciale verso il cliente insolvente. In tal modo le imprese potrebbero continuare ad adire a tutte le vie legali per recuperare il loro credito e non verserebbero l’iva su fatture per le quali non hanno ricevuto il pagamento.
Nel caso malaugurato, ma concreto, che alcune fatture non venissero mai pagate, si potrebbe stabilire una quota di iva forfettaria (es: il 5%) da versare comunque allo stato per limitare il mancato gettito.
Facendo una media ponderata delle fatture pagate in ritardo e di quelle mai pagate (sulle quali versare iva forfettaria al 5%) per le imprese ci sarebbe un vantaggio netto di 60 miliardi di euro e per lo Stato un costo per mancato gettito (differenza tra iva piena al 21% e iva forfettaria al 5%) di circa 20 miliardi di euro.
E’ una operazione ampiamente sostenibile, molto meno costosa di altre ipotesi in campo, e soprattutto con vantaggi strutturali. Il sistema consentirebbe di liberare circa 60 miliardi di euro all’anno, tutti gli anni.
L’iva per cassa è forse l’unico modo per utilizzare la “leva fiscale” in modo espansivo e non depressivo.
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