Relegata nella “cantina ammuffita” dello stile comportamentale di alcune persone c’è ancora la capacità di chiedere scusa. Mi riferisco a scuse sincere, pur non escludendo quelle formali, e ricordando l’importanza di scindere l’appagamento dell’ego dall’erronea associazione “scusarsi/umiliarsi”.
L’arroganza è molto diffusa, oso dire “sfoggiata” e, dunque, una manifestazione di per sé “dozzinale”. Qualsiasi ignorante è in grado di gonfiare il petto e alzare la voce per “avere ragione”, ostentando l’ormai nota, becera, espressione “lei non sa chi sono io”. Ma, nella citata moltitudine urlante e zotica, quanti possiedono la sensibilità di riconoscere il proprio errore, il danno arrecato, sia esso morale, fisico o materiale e la signorilità di scusarsi? Pochi, anche se fortunatamente non così rari e sono – loro sì – coloro che si distinguono.
E’ pur vero che ognuno di noi valuta i comportamenti, sia propri che altrui, in base alle proprie percezioni, derivanti dal proprio, personalissimo, schema mentale, tuttavia, vi sono situazioni oggettivamente sgradevoli, se non dolorose, che di soggettivo mantengono solo l’intensità percettiva della gravità.
Importante è anche discernere la richiesta di scuse dalla richiesta di perdono: pestare un piede non è parimenti considerabile a spezzare il cuore di una persona.
Quando qualcuno ha il potere di farci soffrire è perché per noi è importante!
Ritengo che chiedere scusa alla persona che è stata vittima di un errore sia un gesto dovuto. Dovuto con e per rispetto ed educazione. Tuttavia quando il nostro errore è causa di sofferenza, al rispetto ed all’educazione, sarà la nostra sensibilità ad annettere empatia, affetto, amore… e, soprattutto, esprimere sincero pentimento. Pentimento, cui far seguire la richiesta di perdono.
Il pentimento, non è un processo immediato e avviene solo dopo la presa di coscienza del dolore arrecato: se non vi è reale comprensione del torto inferto, non può esservi pentimento, pertanto, credo sia molto più rispettoso chiarire con l’interessato, enfatizzando la dovuta partecipazione emotiva, l’incresciosa situazione, anziché scusarsi a vanvera. Oltre al danno, subire la beffa dell’ipocrisia o anche solo della superficialità, è troppo per chiunque.
A volte, chi chiede scusa o perdono, lo fa per adempiere ad una formalità, se non addirittura per opportunismo. Un classico esempio mi riconduce a coloro che consapevolmente agiscono in modo non etico, preventivando successive scuse. Non condivisibile, ma anche questo comportamento fa parte del nostro retaggio culturale: fin da bambini ci hanno insegnato, per amore delle cosiddette “buone maniere”,a chiedere scusa alla mamma, al papà, ai nonni o altri, ovvero i “grandi”, spesso privilegiando il ruolo ed il divario dell’età anagrafica alla coerenza, ma, raramente, si sono preoccupati di insegnarci ad esprimere il nostro pentimento solo se reale. Al contrario, vigeva una sottile forma di ricatto, del genere “chiedi scusa o non mangi il dolce”, sino a scomodare Babbo Natale che non avrebbe portato i doni se “non avessimo chiesto scusa a chicchessia”. Sono tuttora figlia e non sono mamma, ma credo che insegnare ad un bambino, attraverso la coercizione, il porgere le scuse, contribuisca alla costituzione di una maschera futura.
A questo aggiungo, senza tema di smentita, che molte persone, tra le quali non sfuggono figure genitoriali ed educative, identificano esse stesse l’atto di scusarsi con un’insopportabile umiliazione, anziché con un gesto di intelligenza atto a comprendere il proprio errore oltre a lenire la ferita arrecata: un presupposto contrastante con la gentilezza e davvero sconcertante, che si tramanda di generazione in generazione.
Se per chiedere scusa è necessario riflettere e comprendere, non lo è di meno l’accettazione delle scuse stesse. Spesso, chi si ritiene offeso, assume un atteggiamento mentale induttivo di un comportamento sussiegoso e non s’interroga su quanto egli stesso può aver contribuito, seppure inconsapevolmente, nell’aver creato la spiacevole situazione. “Il torto non sta mai da una parte sola” recita l’antico detto!
Accettare le scuse, significa perdonare ed assumersi la responsabilità di non rivangare l’accaduto. Non concordo con chi asserisce di dimenticare: qualunque atto ci abbia procurato dolore è impossibile da dimenticare, ma è doveroso chiedersi se siamo in grado di non cedere al rinfaccio. Se non ne siamo sicuri, meglio esprimere il motivo del nostro respingimento, dichiarando con sincerità di non essere pronti. Accettare le scuse “sul trono” appaga ancora una volta l’ego – non il cuore- e pertanto non può costituire il presupposto atto a ricostruire un rapporto.
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