Negli ultimi anni si è assistito alla diffusione planetaria di piattaforme di condivisione di massa come i social network. L’evoluzione della rete è molto simile a quella delle radio libere degli anni Settanta.
La Rete si diffonde. Questo è stato compreso anche da Paesi oscurantisti e dittatoriali come Iran e Cina: realtà nelle quali la fruizione di servizi internet è oggetto di limitazioni notevoli e di violazioni palesi con frequente ricorso all’hackeraggio di poste elettroniche e siti internet. Tuttavia, sebbene la Cina sia riuscita ad impedire l’accesso a Twitter, la comunicazione via internet sta prendendo piede e soprattutto la portata delle limitazioni si sta scontrando con un importante limite: agli stati, democratici e non, la comunicazione multimediale serve come il pane.
La comunicazione in rete è l’essenza del XXI secolo, è come la ferrovia per l’Ottocento. Uno stato senza supporti multimediali interconnessi è veramente arretrato ed amministrativamente difficile da gestire.
Per questo anche la Corea del Nord ha pensato di ridurre il proprio gap tecnologico producendo in casa un sistema operativo sfruttando il kernel Linux. E’ probabile che sia un flop perché, giustamente, l’accesso ad un PC è un miraggio per la popolazione. Però è sintomatico che il presidente koreano abbia una connessione internet a banda larga e senza censure.
Anche a Cuba hanno sviluppato un sistema operativo, Nova Linux, basato su codice Linux. Il che significa che la rete non è un tabù anche per luoghi formalmente non democratici. Internet e il PC sono una necessità anche per il più retrogrado dei governi. Non è un caso che in Cina, gli operatori economici godano di libertà molto elevate per quanto riguarda l’accesso ai servizi in rete, mentre i privati cittadini siano fortemente limitati. In particolare, come i regimi totalitari del secolo scorso controllavano i media, anche oggi tutti i governi tentano di mettere le mani sulla rete con i più svariati obiettivi e pretesti.
Se Pol Pot fosse al potere oggi, avrebbe lo stesso massacrato e de-modernizzato la popolazione, ma lo avrebbe fatto tramite un PC.
Internet e High-Tech. Ovviamente, il rovescio della medaglia è che la rete è molto più “anarchica” (anche se Lessig non crede in questa tesi) e redistribuisce in maniera più equa il potere di agire all’interno di essa. In Internet il singolo individuo ha la possibilità di farsi portatore o portavoce in una comunicazione di massa, alla stregua di un governo o una grande corporation. Il che era/è impensabile per la comunicazione tradizionale.
In ambito internazionale, molti governi sono “ostaggio” delle forme di dissenso manifestate sul medium informatico. La protesta viola non è dissimile, sebbene le contingenze siano molto differenti, ad esempio, dalla Twitter revolution iraniana. Il comune denominatore è lo stesso. Quindi la rete è un fomentatore di rivoluzioni, di spionaggio industriale, di organizzazioni sovversive (il boss Pasquale Manfredi è stato pedinato ed arrestato proprio grazie alla sua dipendenza da FB).
La forza rivoluzionaria, sebbene temuta dai governi, è allo stesso tempo sfruttata come arma per destabilizzare i rivali. Ho già parlato su Risiko della questione sino-americana e sullo scontro tra Google e la censura attiva e passiva della Cina. E’ notizia di pochi giorni fa che il presidente Obama ha revocato l’embargo di materiale tecnologico nei confronti di paesi come Iran, Cuba e Sudan. L’obiettivo è chiaro: incentivare la cyber revolution e sfruttarla geopoliticamente. E, anche all’interno della diatriba tra il governo cinese e BigG, il fatto che gli Usa prendano le parti dell’azienda di Mountain View ha dato un chiaro segnale politico a Pechino.
Amici e nemici della Rete. Come strumento geopolitico, Internet è implicato nella competizione internazionale per il controllo dei mercati globali. Dalla lotta al terrorismo allo spionaggio industriale, passando per l’hackeraggio di siti del “nemico”, tutto passa attraverso il cyberspazio. Anche Lessig concorda nell’affermare che la guerra del XXI secolo sarà per lo più digitale. Anche la stessa distinzione tra paesi amici e nemici di internet, lascia ampio spazio a divagazioni di carattere filosofico, ma anche economico. I paesi occidentali che sostengono la “libertà di internet” o “internet come bene primario” spostano semplicemente nella realtà virtuale 2.0 un problema democratico reale e quotidiano.
È vero che i Paesi “nemici di internet” (Arabia Saudita, Birmania, Cina, Corea del Nord, Cuba, Egitto, Iran, Uzbekistan, Siria, Tunisia, Turkmenistan, Vietnam) sono solitamente non democratici già nella prassi reale. Tuttavia, anche nella nostro mondo occidentale, le cose non vanno meglio se Lessig ci mette in guardia dal controllo governativo della rete (ne ha parlato anche alla Camera) che, è utile ricordarlo, si sono già concretizzate negli Usa con il progetto ECHELON.
Inoltre, i “nemici di internet” sono mercati potenzialmente allettanti per la diffusione di provider e materiale tecnologico. Microsoft in Cina sta facendo furore, ed anche in altri paesi “nemici della rete”. La battaglia per la “libertà della rete” è anche una guerra, a suon di pressioni ed incidenti diplomatici rigorosamente online, per la vendita di servizi e prodotti.
La “Libertà 2.0″ sposta solamente nel mondo virtuale lo scontro geopolitico, ideologico ed economico che si sta vivendo nel mondo reale, né più né meno. Un mondo virtuale tanto anarchico quanto quello della comunità internazionale.
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