Aveva cominciato quasi per gioco alla fine degli anni ’70 presentando delle trasmissioni su alcune emittenti locali. Alma Manuela Tirone, nota al pubblico come la “Dottoressa Tirone”, è stata la prima dietologa televisiva, probabilmente la più famosa di tutte. Il suo successo ha attraversato tutti gli anni ottanta e parte anche dei primi anni novanta diventando un fenomeno di massa, ospite fissa dei salotti di Maurizio Costanzo e Bruno Vespa e oggetto di parodia in trasmissioni come Drive in. La sua stella si è spenta all’improvviso, anche a causa di una serie di complesse vicende giudiziarie e di una morte ancora oggi avvolta dal mistero.
Una donna giovane, bella e di buona famiglia originaria di Benevento. Una carriera rapidissima dopo la laurea in medicina, la fama nazionale e internazionale tra grandi ricchezze e – infine – il fallimento, il declino e la morte improvvisa, prematura, e sospetta perché offuscata nelle ombre di controversie giudiziarie, certificati poco chiari, una tomba apparentemente introvabile e un importante patrimonio ereditario che nessuno reclama.
Nella vita della Dottoressa Tirone gli elementi di una storia misteriosa – insomma – ci sono tutti, tanto da indurre qualcuno ad accomunarla con quella di Moana Pozzi e far pensare a un decesso in realtà mai avvenuto, tra i sospetti nutriti dai pochi amici, ma arenati tra indifferenza e diffidenza fino a perdersi in un dedalo di interrogativi irrisolti.
Per trent’anni la stampa e le tv nazionali l’avevano dapprima osannata e celebrata e poi criticata, condannata e diffamata fino a dimenticarla per sempre e anche dopo la notizia della sua repentina scomparsa nel 2008, quando soltanto nelle redazioni di alcuni giornali locali, a «Chi l’ha visto?» e su internet ci s’interrogò lungamente su quale potesse essere stata la vera fine di una delle più note protagoniste dell’allora neonata televisione privata e commerciale che grazie a lei, pur non avendo ancora ufficialmente scoperto il trash, dimostrò di saperlo usare già con molta disinvoltura lanciandola nelle glorie dell’etere e cucendole addosso il perfetto ruolo di giovanissima e procace dietologa, dal quale ella però saprà tuttavia in breve emanciparsi, diventando abile imbonitrice prima ancora di Wanna Marchi, imprenditrice lungimirante e, soprattutto, tanto esperta nel far leva su bellezza e sensualità da farsi perdonare finanche qualche chilo di troppo e la dirompente opulenza in palese contrasto con la fama di regina delle diete.
Da quel momento in poi la sua vita sarà tutta un susseguirsi di avvenimenti sempre sull’onda della notorietà. Ma anche di cadute clamorose . Nel 1989, al culmine della carriera, la Tirone inciampa però in guai giudiziari che l’accompagneranno per tutti gli anni ’90 travolgendone la carriera. Tutto parte da una denuncia di appropriazione indebita per una presunta riscossione non autorizzata di un vaglia postale del valore di 156.000 lire e un procedimento giudiziario per bancarotta della sua società Farmaleader. Processo celebrato nel 1998 e conclusosi con un’assoluzione.
Agli inizi del 2008, se ne perdono improvvisamente le tracce e i pochi amici sapranno della sua morte – avvenuta a Roma presso l’Ospedale “Madre Giuseppina Vannini” in Via Acqua Bullicante il 16 marzo dopo una malattia fulminante – dalla rubrica Ricordiamoli insieme del Bollettino dell’Ordine dei Medici, dove la notizia è giunta soltanto a giugno e per puro caso grazie a una raccomandata che, speditale dal SUMAI – Sindacato Unico Medicina Ambulatoriale Italiana, è tornata al mittente per morte del destinatario, così come dichiarato dal custode del palazzo.
Rita Pennarola, sua cara amica e giornalista de «La Voce delle Voci» è l’unica a ricordarla in un articolo, ponendosi però alcuni interrogativi e ipotizzando finanche che Manuela sia volontariamente scomparsa, ma non morta, ritenendo inspiegabili i tre mesi di silenzio prima del decesso e il fatto che, nonostante il loro rapporto di confidenza decennale, non le avesse mai parlato di un male incurabile, bensì solo di accertamenti di poco conto.
Altrettanto strano appare inoltre il totale disinteresse dei mass media e l’improvviso inizio dei lavori di restauro di Torre Ranieri per cui lei non riuscì mai a ottenere le autorizzazioni necessarie e che, invece, sono state facilmente rilasciate alla fiduciaria Ciclamino srl nel 2009. Non aiutano peraltro a far luce sul caso l’irreperibilità dell’unica sorella residente a Milano e della nipote – che da casa della zia porta via soltanto Paolina – e, infine, l’assenza di qualcuno che vanti diritti sull’eredità e su documenti ed effetti personali conservati nello studio del collega Paolo Loperto finché lui stesso, dopo lunghe attese e vani appelli, è costretto a buttare via tutto nell’imminenza di un trasloco.
Spariti nel nulla gli amici, gli ex, i non pochi corteggiatori e i due giornalisti che a dire della stessa dottoressa stavano lavorando a una sua biografia, si interrompono anche i procedimenti giudiziari in corso e nessuna notizia si riesce a ottenere sulle procedure di dissequestro dei beni e di eventuali risarcimenti, mentre qualcuno per ben due anni rinnova il dominio del sito internet e scrive l’ultima risposta nel forum ad aprile 2008 oltre un mese dopo la morte. Su Wikipedia, inoltre, nella pagina a lei dedicata, a tutt’oggi figura un paragrafo intitolato “morte presunta”, così come sono ancora online molti profili Facebook a nome della Dottoressa Tirone, con foto che la ritraggono in camice bianco e dove c’è chi impartisce quotidianamente consigli e risposte al suo posto.
Altri sospetti nascono quando alla fine del 2008, in uno dei tanti forum dedicati alla bella dietologa, un utente assicura che «è viva, sta a Milano, sotto mentite spoglie, fa la parrucchiera e lavora nel quartiere Baggio», inducendo così ancora Rita Pennarola, affiancata dal caporedattore di Globalpress Alfredo Iannaccone, a riportare l’attenzione sul caso, domandandosi invano i motivi del disinteresse di quotidiani e rotocalchi e, soprattutto, a chi appartengano i beni che furono della dottoressa. Tutti gli appelli cadono però nel vuoto e addirittura “Chi l’ha visto?” decide di occuparsi dell’intricata vicenda inviando a Napoli Gianluca Nappo e Raffaella Notariale che raccolgono testimonianze e documenti finché, prima della messa in onda, l’Ordine dei Medici fuga ogni incertezza affermando che esiste un certificato di morte datato 9 marzo 2008.
Iannaccone, però, non demorde e il 16 giugno 2010, ottiene dall’anagrafe di Roma copia di un atto in cui l’ufficiale di Stato Civile Filomena Piggianelli certifica che «Tirone Alma, nata a Napoli il 29 gennaio 1952, residente a Napoli, nubile, è morta in Roma il 16 marzo 2008», mentre intervistando gli addetti della polizia mortuaria romana apprende che la salma sarebbe stata traslata a Benevento, città di cui era originaria la sua famiglia sebbene i pochi testimoni – tra cui una vecchia compagna di scuola delle elementari – ricordano che Manuela era nata ed aveva sempre vissuto a Napoli e con il capoluogo sannita non aveva alcun tipo di rapporto ne’ tantomeno familiari o parenti, mentre circa la morte improvvisa il portiere del suo palazzo e il dottor Loperto dichiarano di essere solo a conoscenza che fosse ammalata, forse di un tumore al seno, ma nulla di più.
Nessuno quindi fino ad oggi sapeva con certezza che i misteri di Via Krupp e di Torre Ranieri e l’intricata storia della Giunone in camice bianco, ebbero inizio proprio a Benevento e qui – come qualcuno aveva giustamente ipotizzato – almeno per ora, hanno trovato la parola fine nel cimitero cittadino, dove, all’interno della Congrega del Santissimo Sacramento, c’è la sua tomba.
A mostrarcela, il 23 marzo scorso, è il custode che è lì da anni e la dottoressa Tirone se la ricorda benissimo: «Era un donnone, ma simpatica, buona e spiritosa…quando veniva a trovare i genitori e i nonni, che riposano in un loculo poco distante, mi prendeva in braccio per pesarmi … Per lei desiderava però una tomba modesta, senza neanche il nome … ecco perché ci sono solo le iniziali AMT e le date di nascita e morte 1952-2008. “Sono stata tanti anni in televisione e il mio nome tutti lo conoscono” – diceva – “perciò qui non c’è bisogno di scriverlo ancora”. Quando la bara arrivò da Roma faticammo per interrarla … pesava 160 chili … Era un donnone, la dottoressa Tirone».
Ci sono due mazzi di fiori finti ormai scoloriti dal tempo e la luce accesa su questa tomba. Il custode, prima di congedarsi, la guarda e dice: «E’ semplice come voleva lei. Il marmo nero della lapide è pregiato … di gran valore, ma questo lo solo io che ce l’ho messo. Ogni tanto lo spolvero».
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