Nessuno può dire con certezza quanto durerà ancora questo pandemia, poche settimane ancora, qualche mese o forse un paio d’anni. E nessuno può dire come saranno le nostre vite all’indomani di questa esperienza, così spiazzante e inimmaginabile, di isolamento forzato nelle nostre abitazioni e di distanza sociale. L’unica certezza è che rischiamo di ritrovarci dentro una recessione mondiale ancora più profonda di quella vissuta nel 2007-2009. Molti saranno senza un lavoro, resi ancora più poveri da probabili deprezzamenti dei mercati mobiliari e dell’immobiliare.
Insomma, uno scenario decisamente non favorevole al settore moda, che si prepara a vivere l’anno più nefasto della sua storia moderna. In questo periodo di pausa forzata, la moda e il lusso non possono fare a meno di ripensare al proprio futuro. E questa potrebbe essere l’occasione per riscrivere il finale, una nuova pagina bianca da riempire.
Certo è che il modello di prima, quello che ha portato a una produzione di circa 150 miliardi di capi l’anno per una popolazione di poco meno di 8 miliardi di persone e che ha portato a acquisti compulsivi di prodotti usa e getta di moda low cost, potrebbe andare in crisi. Riconosciuto come seconda industria più inquinante al mondo dopo il settore petrolifero (considerando anche l’ingente mole di abiti dismessi da smaltire), il fashion system aveva già iniziato a valutare altri modi di fare business.
Ecco allora che negli ultimi anni c’è stato uno spostamento in massa verso modelli più green e più sostenibili. Gli investimenti in innovazione hanno portato a nuovi materiali, creati spesso dal riciclo, meno inquinanti mentre maggiore attenzione è stata dedicata ad una produzione più rispettosa dell’ambiente. La strada è quella giusta. Ma potrebbe non bastare.
Nel loro nuovo rapporto Earth Logic Fashion Action Research Plan, le ricercatrici Kate Fletcher e Mathilda Tham scrivono: “Una volta che ci rendiamo conto che l’attuale sistema sarà sempre auto-limitante in quanto ci sono risorse limitate, mettere la Terra al primo posto è l’unica opzione“. Anche la moda deve adeguarsi. E potrebbe non essere sufficiente farlo solo attraverso collezioni più sostenibili o nuovi processi di riciclaggio dei capi dismessi.
In uno scenario radicale e visionario, la nuova via potrebbe passare anche per una minore produzione e un minor utilizzo di risorse. Un nuovo concetto di moda, in sintonia più con i bisogni reali che con quelli emotivi. E anche più local, con piccoli centri di produzione in grado di soddisfare la domanda della collettività.
Un ritorno alle origini, insomma. Che, per quanto necessario, potrebbe snaturare il senso stesso della moda che siamo abituati a conoscere, intesa come creatività, artigianalità, perfezione e sublime bellezza in grado di sorprendere.