Quella del 2018 è stata una buona annata per la Norvegia: non solo la crescita economica continua a superare le aspettative iniziali, ma è probabile che tale andamento prosegua anche nel prossimo biennio. In seguito al repentino calo dei prezzi petroliferi nel 2014, la facoltà del paese di accedere a gas naturale e petrolio è ridiventata un fattore cruciale della crescita economica norvegese.
In futuro, tuttavia, investire in questo settore non sarà così semplice. Le riserve petrolifere più ingenti della Norvegia nel mare del Nord stanno per esaurirsi e il futuro della prospezione di petrolio e di gas nel mare di Barents si conferma tutt’altro che garantita. Molti norvegesi, inoltre, hanno l’impressione che il paese stia cercando di avere la botte piena (di combustibili fossili) e la moglie ubriaca.
Attualmente, la Norvegia è il terzo esportatore mondiale di gas naturale dopo Russia e Qatar. Il paese scandinavo soddisfa circa il 25 percento della domanda di gas dell’Unione europea e il 2 percento della domanda petrolifera mondiale. Nel 2017, la Norvegia ha esportato 116 miliardi di metri cubi di gas naturale tramite gasdotti collegati a terminali situati in Belgio, Francia, Germania e Regno Unito, superando di quasi il 7 percento il record dell’anno precedente. Eppure, molti degli attuali giacimenti petroliferi della Norvegia si stanno prosciugando, e secondo qualche esperto la quota norvegese del mercato petrolifero globale calerà all’1 percento entro il 2020. Tuttavia, non è detto che l’esaurimento dei giacimenti petroliferi debba destare particolare preoccupazione. L’Agenzia internazionale dell’energia prevede infatti che la domanda globale di gas crescerà a un ritmo medio dell’1,6 percento annuo, mentre il gas naturale liquefatto (GNL) conquisterà gradualmente una quota maggiore nel commercio globale di gas. L’Artide norvegese, pertanto, resta il luogo su cui puntare per gli investimenti futuri, poiché si ritiene che disponga delle risorse disponibili necessarie a soddisfare il futuro aumento dei consumi globali.
Una nuova tornata di assegnazioni artiche
Secondo la Direzione norvegese del petrolio, la parte norvegese del mare di Barents ospita i due terzi delle risorse inesplorate del paese, vale a dire 4 miliardi di metri cubi standard di barili equivalenti di petrolio. Un simile potenziale attrae sviluppo: lo scorso 9 maggio, il ministero norvegese del Petrolio e dell’energia ha annunciato di aver aumentato di 103 unità il numero di blocchi assegnati nell’ultima tornata di aggiudicazione delle licenze petrolifere, di cui 47 nel mare di Norvegia e 56 al largo della costa della Norvegia del Nord, nel mare di Barents. Queste assegnazioni nelle aree predefinite (APA) comprendono aree mature della piattaforma continentale norvegese (ovvero, quelle ben conosciute dal punto di vista geologico e già dotate di buone infrastrutture) e sono annunciate su base annuale.
Il termine per candidarsi alla procedura di aggiudicazione delle licenze scadeva lo scorso 4 settembre, e le società petrolifere ad aver presentato un’offerta sono state in tutto 38. Tra i richiedenti c’erano tanto società già presenti quanto società non ancora attive sulla piattaforma norvegese, tra cui Equinor (nuova denominazione più politicamente corretta dell’ex Statoil), Aker BP, Lundin, Eni e altre grosse società internazionali come ConocoPhillips, Shell e Total. Al termine del periodo di candidatura, le società avevano chiesto licenze per un totale di 209.820 kmq, rispetto ai 139.942 kmq della tornata di assegnazioni nelle aree predefinite dell’anno precedente. Le tornate di autorizzazioni numerate hanno concesso licenze di produzione sulle zone di confine della piattaforma continentale. Si tratta di province geologiche che finora sono state sottoposte ad attività di prospezione minori. Oltre ad aver determinato l’apertura della più vasta superficie in acri nell’estremo nord a scopo petrolifero, ciò ha avvicinato all’isola settentrionale delle Svalbard le potenziali operazioni di prospezione e sfruttamento petrolifero più di quanto fosse mai accaduto in passato.
Nuovi sfruttamenti nel Mare del Nord
Il successo dell’Oil&Gas nell’Artide norvegese dipende dallo sviluppo di nuove aree e dal giacimento petrolifero Johan Castberg (già Skrugard), che è stato scoperto nel 2011 e si trova a circa 100 km a nord del giacimento di gas di Snøhvit attualmente in attività. Il parlamento norvegese ha approvato il progetto di sfruttare e gestire il giacimento solamente lo scorso giugno, dopo un lungo processo di riprogettazione e calcoli di convenienza economica che ha quasi dimezzato le spese di capitale iniziali al fine di rendere il progetto remunerativo sotto i 35 dollari al barile. A oggi si prevede che Castberg costerà 49 miliardi di corone norvegesi (circa 6 miliardi di dollari) e avrà un orizzonte produttivo di 30 anni, mentre la prima estrazione petrolifera dovrebbe avere luogo nel 2022. Si stima che le risorse recuperabili del giacimento Johan Castberg si aggirino tra i 450 e i 650 milioni di barili equivalenti di petrolio. Per fare un paragone, si stima che l’altro “Johan” importante in prospettiva (il Johan Sverdrup nel mare del Nord, a circa 140 km a ovest di Stavanger) detenga risorse comprese tra 2,1 e 3,1 miliardi di barili equivalenti di petrolio e inizi la produzione verso la fine del 2019.
Oltre a essere considerato di importanza cruciale per la ripresa dell’industria petrolifera norvegese, si prevede che il giacimento di Castberg rilanci tutta l’economia nella Norvegia del Nord e abbia ricadute positive per altri progetti e i relativi fornitori. Nel complesso, dal momento che preannunciano di creare 3.000 nuovi posti di lavoro nei cluster petroliferi già consolidati nel nord nel corso dei prossimi dieci anni, i giacimenti di Johan Castberg, Alta/Gotha e Wisting (tutti situati nel mare di Barents) sono fattori decisivi per il futuro della regione.
Un futuro all’ombra del gas
Tuttavia, questa nuova corsa al petrolio e al gas del nord non è stata senza ostacoli. La riapertura delle vie dell’energia ha suscitato la delusione dei gruppi ambientalisti e di alcuni partiti politici che hanno sottolineato essenzialmente il “paradosso norvegese” di essere un “paese verde con petrolio e gas”, evidenziando una contraddizione che non esiste solo in Norvegia: come essere e agire da leader nella lotta al cambiamento climatico se si incrementano i livelli globali di carbon footprint? Una contraddizione che rimarrà irrisolta per gli anni a venire. In conclusione, ai cittadini norvegesi potrebbe non importare che i maggiori giacimenti petroliferi si esauriscano, purché resti garantita la solidità del fondo sovrano norvegese (un fondo da mille miliardi di dollari che reinveste per il futuro le entrate fiscali da Oil&Gas).
In futuro, l’industria petrolifera potrebbe tentare di puntare maggiormente sul gas, sull’Artide e sugli sviluppi in scala ridotta. Eppure, considerato che le previsioni economiche per il 2018 sono approvate, la richiesta di investimenti più consistenti nell’Oil&Gas continuerà. Perché tutte le richieste siano a basso impatto ambientale, la Norvegia non può negare l’importanza della propria industria del petrolio e del gas.
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