Nato per tutelare i cittadini e pensato per limitare lo strapotere dei colossi del web, il nuovo regolamento UE sulla privacy (GDPR), potrebbe finire in realtà per agevolare Google e Facebook, finito nella bufera dopo lo scandalo di Cambridge Analytica che, paradossalmente, si sta trasformando in una grande vetrina di marketing per Zuckerberg.
GDPR, svolta a favore della privacy
Il regolamento, fortemente voluto dall’Unione Europea, permetterà ai cittadini dei 27 stati membri di avere un maggior controllo sui loro dati personali che potranno decidere chi, come e quando potrà gestirli.
Di fatto, le aziende di telecomunicazioni e le società attive sul web, in particolare, saranno chiamate a rivedere le loro policy di gestione dati nel rispetto del nuovo regolamento.
La rete social di Mark Zuckerberg, anche per la concomitanza con lo scandalo Cambridge Analytica, Facebook si è immediatamente attivata per rilasciare nuovi strumenti per il controllo della privacy e la sicurezza dati personali, integrati poco dopo dai nuovi termini d’utilizzo per i cittadini europei.
Per questo, tutti gli utenti europei di Facebook hanno iniziato a visualizzare notifiche che li guideranno nel rivedere le impostazioni per la privacy, riscritte, appunto, in funzione del GDPR.
Gli utenti dovranno fare scelte precise entro il 25 maggio 2018 (data di entrata in vigore del nuovo regolamento) su come Facebook dovrà trattare i loro dati sul fronte della pubblicità tracciante, le informazioni presenti nel profilo e quelle visibili e la possibilità di effettuare il riconoscimento facciale nelle foto caricate sulla piattaforma.
Facebook e Google, da “bacchettate” a favorite
Come riporta il Wall Street Journal, le pesanti restrizioni sull’utilizzo dei dati personali dei consumatori previste dal nuovo regolamento potrebbero finire, paradosso non da poco, per rafforzare il duopolio di Google e Facebook nel mercato della pubblicità online. Il motivo è di facile intuizione: i due colossi, infatti, possono contare su una disponibilità finanziaria che la quasi totalità della concorrenza può solo sognare.
Come riporta Il Sole 24ore, due aziende che capitalizzano in tandem oltre 1.200 miliardi di dollari (745 miliardi Alphabet, la holding che controlla Google; 481 miliardi Facebook) possono permettersi senza particolari affanni “un’armata di legali e tecnici”, capaci di prevedere e attenuare qualsiasi irregolarità stanata dal nuovo impianto della Gdpr. Non si può certo dire lo stesso per un’azienda di medie dimensioni dell’advertising digitale che potrebbe essere messa facilmente ko dalla sanzione (la Gdpr fissa una multa pari al 4% del turnover annuo o ammende flat di 20 milioni di euro) o rischia di finire incastrata nelle strette dei 99 articoli del regolamento.
Senza dimenticare che il GDPR impone procedure molto restrittive per l’accesso ai servizi internet dei minori, come per esempio l’età minima di 13 anni, derogabile con il consenso dei genitori. Misure di questo tipo impongono un ulteriore passaggio di informazioni (sensibili) tra gli utenti e i gestori dei servizi e una struttura tecnica di primo livello che solo aziende come Google, Facebook e Amazon posseggono.
Il rischio è di regalare il ricco mercato dei minori ai giganti di internet, essendo gli unici in grado di gestirne il consenso privacy all’accesso. Controllare il mercato dei minori vuol dire controllare i futuri consumatori.
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