Prima l’amministrazione Trump ha bloccato le forniture e i servizi a Huawei (e ad altre 700 aziende); poi Google ha deciso di revocare la licenza per il sistema operativo Android sugli smartphone della società cinese; infine il presidente americano ha concesso una proroga di 90 giorni per l’avvio delle restrizioni. Una tregua che, oltre a concedere sollievo ai clienti di Huawei, riapre uno spiraglio diplomatico dopo il fallimento dei negoziati commerciali tra Usa e Cina. Sì: le due questioni sono intrecciate.
Dietro alla guerra dei dazi si cela un conflitto più profondo che riguarda la supremazia tecnologica mondiale. Gli analisti sostengono da tempo che il capo della Casa Bianca vuole realizzare il cosiddetto decoupling: separare l’economia americana da quella cinese.
Per il futuro si configura una possibile divisione delle supply-chain con due mondi semi-globali contrapposti. Dalla disputa tariffaria a quella tecnologica, passando per le rivendicazioni cinesi nel Mare Cinese Meridionale e alla questione di Taiwan, le divisioni tra le due principali economie del mondo potrebbero portare, a detta degli analisti, a una “guerra fredda tecnologica”. Washington ha deciso di colpire in modo decisivo Huawei, seconda azienda al mondo per vendita di smartphone e tra i maggiori operatori in infrastrutture di reti. Il colosso di Shenzhen è anche la società candidata a dominare il mercato più importante del futuro: quello del 5G, la mastodontica infrastruttura dell’internet super veloce.
Donald Trump si è mosso velocemente: giovedì scorso è scattata la decisione di inserire Huawei, già accusata di spionaggio, nella lista nera delle società che minacciano la sicurezza nazionale. Gli Usa sospettano che il l’azienda, ufficialmente privata, sia in realtà controllata dal Partito comunista (il fondatore, Ren Zhengfei, proviene dall’esercito), rappresentando dunque una minaccia per la sicurezza informatica nazionale. Pechino ha sempre respinto le accuse, giudicandole prive di fondamento. Trump ha cercato – inutilmente – di convincere i Paesi europei ad escludere Huawei dalle reti 5G (in Italia, per esempio, l’azienda cinese ha avviato la costruzione della rete in diverse città con Vodafone, Tim e Fastweb). Fino ad arrivare alla decisione, poi prorogata, di vietare alle compagnie a stelle e strisce rifornirla. La prima ad adeguarsi a questa misura è stata Google. A seguire gli altri big dei microchip: Qualcomm, Broadcom, Intel.
Mentre i titoli dei produttori dei microprocessori colavano a picco, il presidente cinese Xi Jinping si recava in visita nel più grande stabilimento cinese di terre rare, minerali vitali per l’industria militare, aerospaziale ed elettronica, di cui la Cina detiene il dominio. Il messaggio a Trump è chiaro: la Cina è pronta a rispondere al blocco delle forniture, con un taglio di rifornimenti di eguale portata alle aziende americane. Pechino è abituata a rispondere con prontezza a quello che definisce “unilateralismo e protezionismo commerciale”: di fronte alle nuove sanzioni americane, ha risposto con una tagliola di tariffe sulle merci americane, non prima di aver dichiarato l’intenzione di proseguire i colloqui commerciali. Allo stesso modo non sono mancate le precisazioni sul caso Huawei: dal quartier generale di Shenzhen l’azienda si dice pronta a cercare altrove i servizi di Google, mentre il governo di Pechino promette massima protezione dei suoi campioni nazionali. Ren Zhengfen giù a marzo scorso aveva annunciato l’imminente produzione di un sistema operativo proprio, autonomo: oggi di 70 miliardi di dollari di spese, 11 servono per acquistare materiale negli Stati Uniti. Presto potrebbe non essere più così. Xi Jinping, durante il viaggio nella provincia dello Jiangxi, ha rievocato la “Lunga marcia”, indicando la necessità di una nuova impresa.
I piani di Pechino e la corsa all’intelligenza artificiale
Non solo il 5G. Nel prossimo futuro gli smartphone saranno fondamentali anche nell’ambito del cosiddetto “internet delle cose” (Internet of Things, IoT): l’insieme di tecnologie che permettono di collegare a Internet qualunque tipo di dispositivo, rendendo possibile il controllo, per esempio, del funzionamento energetico della casa fino alla potenziale guida autonoma delle automobili. Alla base di tutto c’è la corsa ai Big Data.
La Cina punta a colmare il gap tecnologico con gli Stati uniti entro il 2020 e diventare un leader nel settore dell’intelligenza artificiale (AI) entro il 2030, ribaltando la situazione attuale in cui a guidare sono gli Stati Uniti. L’AI costituisce la base del progetto “Made in China 2025”, il piano con cui la Cina vuole diventare una potenza tecnologica, in grado di esportare prodotti tecnologici ad alta innovazione. Si tratta di un processo che influenza la produzione manifatturiera, il mondo del lavoro e il controllo sociale. Dopo che il governo centrale ha fatto dell’AI una priorità, diversi enti locali e città in Cina hanno investito soldi e redatto piani di sviluppo. L’innovazione è il terreno su cui si consuma uno scontro più ampio con gli Stati Uniti, che temono di perdere il predomino. Stando ai dati del China Internet Network Information Center, a giungo dello scorso anno oltre un quarto delle oltre duemila compagnie AI del mondo e un terzo degli unicorni (start-up private valutate oltre 1 miliardo di dollari), si trovano in Cina.
Alcuni esempi. Nel XIII piano quinquennale del governo cinese (2016-2020) è stata programmata la produzione di 100 mila robot industriali all’anno. La Cina ha già assunto una posizione dominante nel mercato mondiale della videosorveglianza: si contano già 176 milioni telecamere di sicurezze, con un tasso di crescita annuale del 13% dal 2012 al 2017. Il 3 percento della crescita globale impallidisce a confronto. Le forze di polizia stanno utilizzando il riconoscimento facciale in via sperimentale per tracciare ogni movimento della popolazione.
“La leadership globale dei giganti cinesi delle telecomunicazioni nel 5G è solo un esempio di come la Cina sta per diventare il centro mondiale dell’innovazione digitale”, scrive il Merics in un recente rapporto. AI, nanotecnologia, calcolo quantistico, Big Data, Cloud Computing, e città intelligenti: per Xi trasformare la Cina in leader nelle tecnologie emergenti è un obiettivo prioritario. “La Cina ha speso almeno dieci volte di più nella ricerca e nello sviluppo quantistico rispetto al Stati Uniti; le stime partono da 50 miliardi di dollari. Nel settore dell’AI, la Cina ha depositato 30mila brevetti solo nel 2018, 2,5 volte più degli Stati Uniti”. La Cina ha già scavalcato il Giappone come seconda potenza al mondo per brevetti internazionali. E per il potenziamento delle reti 5G Pechino ha annunciato investimenti per 411 miliardi di dollari tra il 2020 e il 2030”.
La nuova era hi-tech
Leader indiscusso del settore è Sense Time, la start-up specializzata nel riconoscimento facciale (finanziata anche da Alibaba) che vale oltre 4,5 miliardi di dollari. L’azienda di Hong Kong ha accesso ai dati di tutti i cittadini grazie alla collaborazione con il suo maggior cliente: il governo cinese. Le autorità stanno sviluppando un database in grado di collegare in pochissimi secondi il volto di ciascun cittadino con la foto identificativa. Tencent, la più grande società al mondo nel settore dei giochi online per gli smartphone (proprietaria della piattaforma di messaggistica Wechat) partecipa attivamente alla vita dei cittadini cinesi: quando chattano, mangiano, pagano, giocano e ascoltano la musica. Le ripercussioni sulla privacy dei cittadini è un tema che ha già sollevato diverse polemiche.
Nella corsa a immagazzinare i dati degli utenti, fondamentali per il sistema di crediti sociale: il programma di rating che assegna un voto alle attività online dei cittadini e delle imprese per una società virtuosa nella nuova era di Xi, in fase di sperimentazione nella città di Suining, e che dovrebbe essere formalizzato entro il 2020.
I milioni di dati generati dai telefoni, dalle carte di credito, dai pagamenti online, dalle tv, che contengono un’impressionante quantità di informazioni personali, possono diventare uno strumento prezioso per chi è in grado di gestirle e interpretarle. Soprattutto in Cina, dove il mantenimento della stabilità sociale, a partire da Deng Xiaoping, è il mantra del governo cinese. Le tecnologie del futuro possono incidere sulla crescita del Pil ma hanno ripercussioni non sempre positive su migliaia di posti di lavoro: l’automazione ha causato la perdita del 40% dei posti di lavoro negli ultimi tre anni. Alibaba, Tencent e Baidu – il triumvirato BAT dell’hi-tech cinese che sfida i big della Silicon Valley – da tempo trasferiscono alle forze dell’ordine le tracce elettroniche degli utenti. La legge sulla cybersicurezza, approvata nel 2016, ha introdotto l’obbligo, per gli operatori di infrastrutture informatiche, di immagazzinare “informazioni personali e dati vitali raccolti e prodotti in Cina”. Il riconoscimento facciale sta rivoluzionando i più svariati settori: dal retail banking ai pagamenti online (Fonte: ABO).
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