La recente visita del Presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker e dell’Alto Rappresentante Federica Mogherini nell’abito del Western Balkans Tour ha (ri)acceso i riflettori sull’ultimo angolo di continente ancora esterno al processo di integrazione europea.
Quei Balcani occidentali, usciti vent’anni fa dal doloroso e sanguinoso processo di disintegrazione della Jugoslavia, sono tuttora focolaio di tensioni politiche mai sopite – si pensi al Kosovo e alla Repubblica di Macedonia – ma anche mercato energetico in evoluzione e crocevia strategico per il flussi verso il vecchio continente.
La (lunga) strada verso l’integrazione
L’Ue – questo è il messaggio chiave emerso dal recente tour dei leader europei – è la destinazione naturale per Albania, Bosnia Erzegovina, Kosovo, Montenegro, Repubblica di Macedonia e Serbia, i paesi dei Balcani occidentali ancora fuori dall’Unione. E la loro strada verso l’integrazione europea – più o meno rapida in base ai diversi casi – sarà definita e delimitata da una serie di riforme di natura politica, economica, sociale ed istituzionale, messe nero su bianco dalla Commissione nell’ambito della Strategia “UE-Balcani occidentali” pubblicata a inizio febbraio.
Le priorità di Juncker e soci riguardano in particolare il rafforzamento dello stato di diritto e delle istituzioni democratiche, la lotta alla corruzione, la tutela dei diritti umani, il consolidamento di un’economia competitiva e di mercato e, più in generale, la risoluzione di una serie di dispute bilaterali tra i paesi della regione. Abbastanza deboli, per non dire assenti, i messaggi dei leader europei in materia di energia, nonostante la strategia ponga una certa enfasi soprattutto sull’estensione dell’Energy Union alla regione, e l’integrazione del mercato elettrico dapprima sul piano regionale, e in seguito a livello europeo.
Mercato in trasformazione?
Nonostante la partecipazione dei sei paesi all’Energy Community, gli sviluppi energetici nell’area balcanica passano spesso sottotraccia, mentre i dati e le statistiche a disposizione rendono difficili valutazioni approfondite delle traiettorie energetiche in atto nella regione. Un’analisi dei dati macro ci dice che i Balcani occidentali rappresentano un mercato energetico di dimensioni ancora limitate, ma con grandi margini di trasformazione in ottica low carbon.
I consumi primari di energia a livello aggregato si attestano infatti, dati 2015, attorno alle 30mila tonnellate di petrolio equivalente – circa un quinto dei consumi annuali di un paese come l’Italia o un decimo di quelli della Germania – e sono rimasti sostanzialmente stabili nel quinquennio 2010-15. Particolarmente rilevante è la composizione del mix energetico regionale: i Balcani occidentali sono infatti una regione che, sostanzialmente, va ancora a carbone e lignite – in gran parte di produzione autoctona – che coprono oltre il 50% dei consumi totali. Ad essi si aggiunge, oltre ai tradizionali consumi petroliferi, l’importante contributo di biomasse e rifiuti, che si attestano attorno all’11% della domanda primaria.
Grande assente dalla scena energetica balcanica è il gas naturale, che si attesta al 6% dei consumi totali, praticamente concentrati tutti in Serbia, grazie al ruolo di Oil Industry of Serbia (NIS), la cui maggioranza è controllata dal gigante russo del gas Gazprom. Per il resto, il livello di gasificazione della regione risulta sostanzialmente nullo, al pari del livello di penetrazione delle rinnovabili non-idriche, settore nel quale i tentativi di attrarre investimenti, incoraggiati anche dalle istituzioni europee, rimangono in larga parte inattesi.
La trasformazione del mercato energetico regionale è certamente un elemento chiave per il futuro europeo dei Balcani occidentali, che nell’ambito nell’Energy Community hanno sottoscritto impegni in materia di decarbonizzazione, e che una volta entrati nell’Unione dovranno necessariamente allinearsi con le politiche elaborate da Bruxelles, aprendo importanti prospettive di mercato per fonti low-carbon come rinnovabili e gas.
Snodo strategico
La disponibilità di questi approvvigionamenti, soprattutto per quanto riguarda il gas naturale, è però tutto fuorché certo. Se infatti la regione necessita, da un lato, di una infrastruttura interna di trasporto – possibilmente integrata – che richiede pianificazione strategica e importanti investimenti finanziari, dall’altro risulta fondamentale per i sei paesi – tutti importatori netti di energia – l’accesso sicuro, stabile e competitivo alle fonti di approvvigionamento provenienti da paesi terzi.
Fino ad ora, tuttavia, i Balcani hanno principalmente giocato un ruolo nelle strategie di diversificazione degli approvvigionamenti energetici e delle rotte per l’UE; considerata nel suo insieme, l’area balcanica è stata – e tuttora rimane – infatti al centro delle principali iniziative energetiche internazionali dell’Unione europea. L’ormai defunto progetto Nabucco sarebbe dovuto passare per Bulgaria e Romania, mentre il gasdotto TAP – pietra angolare del Corridoio meridionale del gas promosso da Bruxelles – trasporta gas azero in Italia passando da Grecia e Albania.
In ottica di accesso regionale alle risorse, a TAP si potrebbe connettere la Ionian Adriatic Pipeline (IAP), con la quale il consorzio transadriatico ha già siglato un Memorandum of Understanding nel 2016. Il progetto IAP – a supporto del quale l’UE (attraverso il Western Balkan Investment Framework, WBIF) ha stanziato una cifra di 2,5 milioni di euro – ha l’obiettivo di estendere le forniture di gas del Corridoio sud – qualora disponibili – a Montenegro e Bosnia Erzogovina (con destinazione finale Croazia), e favorire la gasificazione dei due paesi riducendo l’impatto del carbone nei rispettivi settori energetici.
Ma anche la realizzazione di TurkStream, lanciato da Gazprom per sostituire South Stream e bypassare completamente il transito ucraino, potrebbe aprire nuove opzioni per soddisfare i consumi balcanici. Per ora è previsto che il progetto approvvigioni inizialmente il mercato turco con 15,5 bcm annui, ma Mosca non ha certo fatto mistero delle sue intenzioni di raggiungere l’Europa. E se da un lato l’Italia rappresenta una destinazione appetibile – attraverso il progetto IGI Poseidon – dall’altra il Cremlino potrebbe provare l’ingresso nei Balcani occidentali, sfruttando anche la sua posizione nella roccaforte serba e le difficoltà di reperire ulteriori risorse attraverso il Corridoio sud.
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