Organismi dinamici in grado di assumere un ruolo sempre più centrale nello scacchiere globale, le città possono diventare un attore chiave, se non leader, nell’implementazione di politiche di sviluppo sostenibile e transizione energetica. Il peso socio-economico di centri urbani, città, e megalopoli è infatti in rapida espansione, basti pensare che ad oggi 4 miliardi di persone – il 54 percento della popolazione mondiale – vive in aree urbane, e che esse contribuiscono a generare l’85 percento del PIL globale. A ciò si aggiunge il fatto che nelle città viene consumato il 75 percento delle risorse totali, prodotto oltre il 50 percento di rifiuti e generato l’80 percento delle emissioni globali di gas a effetto serra.
Secondo le proiezioni delle Nazioni Unite, agli attuali tassi di urbanizzazione, nel 2050 quasi il 70 percento della popolazione mondiale vivrà in nuclei urbani. Risulta pertanto evidente come una più ampia riflessione sull’evoluzione ed implementazione di politiche a favore dell’economia circolare e dell’uso sostenibile delle risorse non possano prescindere dal coinvolgimento attivo e dalla capacità innovativa delle città. Sia per la definizione di politiche attive di mitigazione, che per l’identificazione di misure di adattamento sempre essenziali per le comunità urbane contemporanee.
Alla luce della crescente complessità che caratterizza il funzionamento e i consumi degli agglomerati urbani contemporanei, il ruolo delle città va pertanto necessariamente ripensato, tenendo in considerazione anche i drammatici effetti dei cambiamenti in atto a livello climatico-ambientale su scala globale. Basti pensare che il 90 percento delle aree urbane sono localizzate nei pressi di zone costiere, le quali sono progressivamente soggette ai devastanti effetti del cambiamento climatico, tra cui l’innalzamento dei livelli dei mari e il susseguirsi di eventi sempre più estremi.
Città al centro
Nelle città vengono consumati (nonché dismessi ed eliminati) gran parte dei beni materiali prodotti a livello globale, circola la stragrande maggioranza dei veicoli per il trasporto di merci e passeggeri, si concentrano la domanda di energia ed in particolare i consumi di elettricità, vengono realizzate le maggiori opere infrastrutturali. Al contempo, nei nuclei urbani si registrano una crescita e una concentrazione di capitale umano, finanziario e creativo impensabile in contesti come quello rurale. Una combinazione di necessità e opportunità che ha fatto e continua a fare da motore alla ricerca di soluzioni alternative per un uso più attento ed efficiente delle risorse (spesso scarse) a disposizione.
In questo modello, la società civile e gli attori privati (siano essi grandi, medie o micro-imprese) giocano un ruolo chiave a supporto degli attori istituzionali. Si va dalla promozione di modelli di business sostenibile, ai tentativi di sperimentazione sociale; tutte iniziative avviate grazie alla capacità e alla flessibilità dei governi locali, che permettono loro di introdurre policy e schemi di governance innovativi, ben più di quanto gli stessi governi nazionali – nonostante le maggiori risorse a disposizione – siano in grado di fare.
I sistemi urbani (o quantomeno una parte di essi) diventano quindi sempre più accessibili e autorigenerativi, in grado di minimizzare – o, meglio, eliminare – gli sprechi, i rifiuti e più in generale le inefficienze, generati nei diversi settori chiave della routine cittadina. Laboratori dove creare prosperità, accrescere la vivibilità e aumentare la resilienza attraverso un percorso virtuoso in grado di rompere la tradizionale relazione tra il concetto di crescita economica e l’utilizzo progressivo di risorse per alimentarla.
Riciclare, riutilizzare, valorizzare
Il riciclo e riutilizzo delle risorse prodotte, processate, consumate e scartate nel contesto urbano sono certamente il fulcro degli sforzi di città e municipalità verso un sistema economico sempre più circolare e sostenibile. La gestione dei rifiuti è una delle maggiori sfide per le autorità locali, soprattutto nei contesti di metropoli e megalopoli: nelle città vengono generati ogni anno oltre due miliardi di tonnellate di rifiuti solidi, circa 500 chilogrammi procapite, con costi immensi per le casse pubbliche (in media tra il 20 e il 50 percento dei bilanci delle città) e implicazioni drammatiche per gli abitanti e la loro salute. Una situazione che sta diventando insostenibile, e che nel giro dei prossimi decenni potrebbe portare a una crescita del 70 percento rispetto ai livelli attuali, raggiungendo i 3,4 miliardi di tonnellate.
Oltre ai necessari interventi sul lato del consumo responsabile e della lotta agli sprechi, le città sono chiamate a sviluppare strategie e processi che permettano di ridurre in termini assoluti il livello dei rifiuti e di minimizzare i costi del loro trattamento, sfruttandone il valore intrinseco residuo attraverso procedure di riciclo e riutilizzo a livello locale. E se i modelli di raccolta, separazione e stoccaggio si stanno evolvendo in modo rapido e innovativo, rimane sempre aperta la questione dell’utilizzo di questi materiali una volta accumulati, in modo da evitarne la combustione e o lo stoccaggio in discariche. Una delle applicazioni più rilevanti è l’utilizzo di rifiuti e scarti urbani a fini energetici: grazie alla digestione anaerobica, che permette la cattura di emissioni di metano, è possibile generare biogas contenente dal 55 al 70 percento di metano, il cui utilizzo (per l’uso domestico, il riscaldamento o la generazione elettrica) è sostanzialmente meno dannoso ed inquinante per le vite umane e l’ambiente rispetto alle tradizionali pratiche di combustione domestica o attraverso impianti di incenerimento di rifiuti. Al netto degli utilizzi collaterali, la riduzione in termini assoluti dei rifiuti generati a livello urbano rimane una priorità assoluta, come dimostrato dalle campagne “ZeroWaste” abbracciate da numerose realtà urbane a livello globale ed europeo. Alla luce dei dati riportati e delle drammatiche proiezioni delle Nazioni Unite, l’obiettivo di abbattimento totale della produzione dei rifiuti in abito urbano appare da un lato quanto mai ambizioso e difficile da raggiungere, ma dall’altro assolutamente necessario e urgente. A livello europeo, Lubiana è stata la prima capitale a porsi l’obiettivo “ZeroWaste”, e ad oggi ha raggiunto livelli di separazione di materiale riciclato del 67 percento e una riduzione del 59 percento della produzione di rifiuti non-riciclabili. In Italia spicca il caso della provincia di Treviso, dove le innovazioni introdotte dall’azienda Contarina le hanno garantito il titolo di realtà più efficiente a livello europeo nella gestione e trattamento dei rifiuti.
Il modello integrato di gestione dell’azienda, nel giro di quindici anni, ha permesso a una comunità urbana di oltre 500mila persone di passare dal 27 all’85 percento di materiale riciclato e di abbattere la produzione locale di rifiuti non-riciclabili da 217 a 55 chilogrammi per abitante.
Energia e sostenibilità
Quando si parla di economia circolare e sostenibilità nel contesto urbano, quello dell’energia risulta uno dei settori più rilevanti. Nonostante le città siano in termini assoluti grandissimi consumatori energetici – le aree urbane assorbono, di fatto, all’incirca due terzi della domanda globale di energia primaria – l’analisi dei livelli di intensità energetica e dei consumi pro-capite dimostrano come nei contesti metropolitani venga fatto un uso più efficiente dell’input energetico. E se elementi di natura topografica e comportamentale contribuiscono in modo sostanziale a questa situazione, elementi di economia circolare – ad esempio misure pubbliche mirate al riutilizzo di materiali di scarto – rappresentano tentativi importanti per ridurre l’impronta energetica sulla vita delle città. L’utilizzo delle acque reflue è certamente uno di questi, come dimostrato da casi virtuosi come quello delle città di Aqaba, Bangkok, Chennai e Pechino, dove il trattamento di scarti organici contribuisce a significativi risparmi (dal 45 al 100 percento) sull’utilizzo finale di energia nell’ambito del processo di depurazione, con implicazioni anche sui livelli di emissioni di CO2 registrati in questi contesti.
A ciò si aggiunge il progressivo e sempre più sofisticato ricorso a modelli di autoproduzione/autoconsumo energetico, che vengono combinati all’introduzione di tecnologie e processi smart nella fase di gestione, dispacciamento e distribuzione. Le nuove reti intelligenti permettono di gestire i flussi di elettricità integrando al meglio (e valorizzando) i nuovi pattern di generazione e di consumo creati dalla penetrazione delle rinnovabili, garantendo un uso efficace della capacità installata a disposizione, minimizzando gli sprechi di risorse e abbattendo i livelli di emissioni di gas a effetto serra. Singapore (ancora una volta), Londra e Barcellona sono tra le megalopoli più virtuose quando si tratta di sistemi smart, mentre tra le città di piccola-media taglia, spicca il caso dell’italiana Savona, al centro di un progetto pilota in grado di combinare differenti tecnologie di generazione (fotovoltaico, solare termodinamico, microturbine a gas e geotermico) ed una rete intelligente per garantire autonomia energetica all’intero compound universitario.
Mobilità sostenibile per un’economia circolare
Anche il settore della mobilità e dei trasporti rappresenta un fattore di sviluppo dell’economia circolare in ambito urbano. Nelle città, il traffico urbano comporta una serie di esternalità negative, tra cui i livelli di inquinamento acustico e l’aumento del livello di emissioni. A livello globale, l’80 percento delle aree urbane registra tassi di inquinamento dell’aria oltre i limiti fissati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
A ciò si aggiungono altre criticità, quali lo spreco di tempo (in media oltre 100 ore all’anno spese nel traffico congestionato a Los Angeles, poco meno a New York e Mosca) e il maggior numero di incidenti, generate da un sistema di trasporto urbano molto spesso inadeguato e poco sostenibile. Secondo alcune stime, negli Stati Uniti i costi legati alla congestione del traffico si aggirano attorno ai 300 miliardi di dollari annui. In questo settore, l’introduzione di modelli di economia circolare può apportare miglioramenti alla qualità della vita dei cittadini a tre differenti livelli. Il primo è sicuramente quello sistemico-infrastrutturale: un modello multimodale di mobilità urbana accessibile ed efficiente, in grado di integrare i servizi offerti dal trasporto pubblico alle nuove soluzioni introdotte dalla sharing-economy, incluso l’utilizzo di biciclette e noleggi multi-passeggero. Il secondo livello riguarda le fonti di energia utilizzate per alimentare il sistema di mobilità urbana: anche in questo caso, innovazioni come la produzione e l’autoconsumo da rinnovabili per i veicoli elettrici e lo sfruttamento di biogas prodotto a livello locale per i motori a combustione rappresentano opzioni necessarie per ridurre il livello di inquinamento e garantire la sostenibilità in ambito urbano. Infine, il terzo livello riguarda la dimensione industriale e la realizzazione dei veicoli dedicati al trasporto urbano: processi produttivi altamente efficienti e innovativi basati sull’uso di materiali di riciclo, non soltanto contribuirebbe ad abbattere il problema dei rifiuti, ma avrebbe un impatto significativo anche sui costi e sulla competitività dell’industria automotive.
Un’alleanza tripartita
La magnitudo delle sfide dello sviluppo sostenibile, soprattutto in ambito urbano, rende il ricorso all’economia circolare un percorso praticamente obbligato. Tuttavia, in un contesto così complesso e dinamico, l’azione – per quanto lungimirante – dell’autorità pubblica, deve necessariamente incrociarsi con la spinta propulsiva delle innovazioni messe in campo dagli attori privati, nonché con la cooperazione attiva da parte della società civile e della popolazione.
Per essere non soltanto circolare, ma anche di successo, il nuovo modello economico da adottare nei contesti urbani può decollare soltanto di fronte ad uno sforzo congiunto e tripartito. La dimensione normativa, quella tecnologico-industriale e quella sociale-comportamentale devono, per forza di cose, andare a braccetto e stimolarsi reciprocamente, per far sì che i benefici dell’economia circolare possano effettivamente permeare le dinamiche del tessuto urbano e proiettarsi su scala globale.
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