Negli ultimi vent’anni il mondo del vino ha vissuto un cambiamento che lentamente e armonicamente inizia a dare i suoi frutti, figlio di un seme coltivato intorno alla metà degli anni ’80 che oggi fiorisce da nord a sud.
È cresciuta la presenza delle donne a tutti i livelli e in ogni campo: produttrici, imprenditrici vitivinicole, agronome, enologhe, sommelier, comunicatrici, venditrici, esperte di marketing, giornaliste specializzate in enogastronomia. Hanno tutte conquistato spazi non tanto concessi quanto faticosamente occupati grazie alla competenza, la creatività, la propensione all’innovazione, la capacità di guardare oltre.
Un’evoluzione che si può cogliere se ci si pone in una prospettiva di contributo non femminile ma di genere che evidenzia la pulsione creativa, costruttiva in termini sistemici, capace di dare spazio ad una revisione di modelli culturali ed organizzativi fino a pochi anni fa consolidati nel settore: un approccio alla viticoltura che privilegia temi come la sostenibilità, la produzione di vini naturali e biologici, l’attenzione alla comunicazione, al design, all’accoglienza, alla promozione intesa non solo in termini meramente commerciali ma anche emozionali.
Per capire la portata del cambiamento nel nostro paese basta dare uno sguardo al passato: negli anni 70 le donne che avevano una formazione specifica nel settore vinicolo erano il 10.6%, oggi sono il 42.8%. Guardando invece al dato globale delle imprese agricole, oggi le donne ne dirigono circa il 35% e coltivano 43mila ettari di vigna in tutto il mondo (dati Ismea).
Le nuove generazioni certo hanno potuto far leva sulle conquiste di quelle che le hanno precedute.
Lo spiega bene in uno dei suoi racconti Donatella Cinelli Colombini, creatrice della prima cantina italiana con uno staff interamente femminile, produttrice di Brunello di Montalcino, imprenditrice che ha lasciato il segno in questo percorso prima da fondatrice del Movimento Turismo del Vino e di Cantine Aperte, oggi come Presidente dell’”Associazione italiana Le donne del Vino”, la più grande al mondo con le sue oltre 900 iscritte.
Era il 1998 quando con le vigne e le annesse proprietà di Casato a Montalcino e Fattoria del Colle a Trequanda diede vita alla sua azienda: oltre ai lavori di ristrutturazione e manutenzione c’era urgenza di gestire delle botti di Brunello di Montalcino. Serviva che qualcuno se ne occupasse e contattò la scuola di enologia di Siena: le risposero che le richieste andavano avanzate con anni di anticipo ma che erano disponibili molte “enotecnico donna” dal momento che nessuna buona cantina le assumeva.
Questo episodio fu l’opportunità per dar vita al progetto “Prime Donne”, che ancora vive, finalizzato a superare i preconcetti alla base della discriminazione, dimostrando che alla produzione di grandi vini contribuiscono fattori come la passione, il talento, la competenza, che non dipendono certo dal sesso.
Se oggi il settore beneficia della presenza di questo esercito di professioniste in grado di portare avanti un nuovo modo di fare viticoltura e comunicare il vino, va detto che anche dal lato dei consumi qualcosa è cambiato, e significativamente.
Le donne acquistano vino più degli uomini, seppure spendono meno per via dell’inferiore potere d’acquisto, ed anche in termini di frequenza di consumo fanno la differenza, una dinamica di crescita ormai costante e a ritmi serrati in tutto il mondo: in Italia hanno percentuali molto più basse fra chi beve tutti i giorni (30% uomini, 10% donne), ma hanno quasi la stessa frequenza di consumo saltuario (47% uomini, 45% donne).
Hanno le idee chiare nell’acquisto e sono più sensibili ai molteplici aspetti della wine experience, da quelli visivi come possono essere, per esempio, le caratteristiche di un’etichetta a quelli multi sensoriali che emergono nella degustazione, sono più attente al messaggio, alle sue sfumature, e sui prodotti tendono a ricercare molte più informazioni.
Gli effetti dell’ondata pandemica hanno contribuito a mantenere questo trend e non a caso l’identikit del consumatore protagonista della tanto agognata ripresa nel nostro paese è “appassionata, giovane e donna, pronta a stappare anche fuori dai pasti”, protagonista come in vigna e in cantina anche a tavola.
Non c’è quindi una dimensione dell’universo vino che non sia stata esplorata e scalata, ma di strada ce n’è ancora da fare. Se la presenza di donne in posizioni dirigenziali nelle aziende vitivinicole è cresciuta divenendo significativa, non si può trascurare il fatto che in termini di rappresentanza politica nell’ambito degli organismi associativi questo peso specifico si affievolisca sensibilmente e se si parla di retribuzione le note si fanno dolenti. Il tempo ha dimostrato che rimboccarsi le maniche è un esercizio assai diffuso e continuerà ad essere quello preferito delle donne del vino; quindi c’è da aspettarsi che anche su questo fronte le conquiste arriveranno.