La Vecchia Unione Sovietica non è mai stata una grande squadra di calcio, ma in porta aveva un uomo formidabile, un gigante di 189 cm che piegava la legge di gravità al suo volere. Nato a Mosca, cresciuto nella Dinamo dove ha militato per 22 lunghi anni, oro olimpico ed europeo, Lev Yashin (“Il Ragno Nero”) è stato l’unico portiere a vincere il Pallone d’Oro nella storia (1963), il terrore di qualsiasi avversario.
L’istituto internazionale di storia e statistica sul calcio lo ha decretato il miglior portiere del XX secolo. Un vero e proprio riconoscimento istituzionale che lo colloca al di sopra di qualunque altro estremo difensore.
«Yashin era un gigante nero: lo guardai cercando di capire dove si sarebbe tuffato e solo tempo dopo mi resi conto che doveva avermi ipnotizzato. Quando presi la rincorsa vidi che si buttava a destra, potevo tirare dall’altra parte, non ci riuscii. Quel giorno il mio tiro andò dove voleva Yashin.»
Wikipedia apre così, con questa citazione, il profilo del portiere russo. A parlare è Sandro Mazzola, al termine di un Italia-URSS del novembre 1963. E’ forse la fotografia più bella per raccontare cosa voleva dire trovarsi di fronte a Lev Yashin.
Famiglia povera ed infanzia difficile per il giovane Lev, che già a 12 anni si ritrova a lavorare in fabbrica, al posto dei colleghi più anziani impegnati in Guerra. Gli aneddoti attorno a lui si sprecano in questo periodo. C’è chi dice che i colleghi gli lanciassero per gioco dei bulloni e lui, già abilissimo, non se ne facesse scappare uno. C’è chi dice che in realtà fosse il padre ad “allenarlo” in questo modo.
Fatto sta che il suo talento si è fatto presto strada all’interno della Dinamo Mosca. A chiudergli le porte della prima squadra però, c’era l’ingombrante figura di Khomic, la Tigre, titolare inamovibile di quella Dinamo. Il suo fisico e le sue mani tuttavia, non potevano essere dispersi e così venne subito arruolato come portiere della squadra di hockey, altra sua grandissima passione, ed i risultati non tardarono ad arrivare, con il titolo sovietico conquistato nel 1953.
L’anno dopo, complice un infortunio di Khomic, diventa titolare nella squadra di calcio e da quel punto in poi la Tigre viene ben presto dimenticata. Siamo nel 1954 ed è incredibile pensare che Yashin ha già 25 anni e nessuna “vera” esperienza nel calcio. Ma di talento ne possiede in quantità industriale e i fatti lo dimostreranno .
Il bianco e il blu sono i colori che Yashin non ha mai abbandonato. Dal 1949, anno in cui entrò a far parte della squadra moscovita, seppur dalla porta di servizio, al 1971, ha legato il suo nome alla Dinamo Mosca. E non è un caso che proprio in quegli anni il club russo ha costruito la parte più sostanziosa del suo attuale palmarès. Sei degli undici campionati sovietici vinti, di cui 5 con Yashin titolare fisso, e ben 3 delle sei coppe nazionali in bacheca, per un totale di nove trofei: unenormità.
Con quella maglia Yashin si è tolto anche lo sfizio di vincere per tre volte (1960, 1963 e 1966) il riconoscimento come miglior portiere del campionato sovietico. La Dinamo Mosca era anche la squadra del Ministero dellInterno russo, pertanto era lo Stato a stipendiare i giocatori. La leggenda narra che durante la sua carriera arrivò addirittura a guadagnare quanto un sergente del KGB.
Al bianco e blu della sua Dinamo vanno accostati il rosso, colore delle divise dell’URSS, ma soprattutto il Nero. La sua divisa completamente scura gli valse il mitico soprannome di “Ragno Nero”. Tuttavia non è solamente una divisa a farti diventare un idolo. Dietro quel marchio di fabbrica si celano parate indimenticabili e riflessi fuori dal comune per un atleta della sua stazza.
Diventa ben presto l’idolo di un’intera popolazione, Lev, che fa il suo esordio con la maglia della nazionale nel lontano 1954 e per tredici anni diventa il guardiano insormontabile di quella porta. Tredici anni che si snodano attraverso vittorie importanti, successi indimenticabili.
Il primo arriva subito, alle Olimpiadi di Melbourne del 1956, dove conquista l’oro. Il secondo quattro anni più tardi, all’Europeo francese, la prima edizione della competizione continentale, che Yashin vince nella finale contro la Jugoslavia. Nella sua carriera in nazionale anche la partecipazione ad un altro Europeo ed a ben quattro edizioni del Mondiale. Un’icona dell’epoca che arriva fino ai giorni nostri, una leggenda impossibile da cancellare dai libri di storia.
Al suo primo mondiale, quello svedese del 1958, prima apparizione assoluta anche per l’URSS, si ferma ai Quarti di Finale. L’Unione Sovietica passa il turno alle spalle del Brasile, futuro campione del mondo, dopo lo spareggio vinto con l’Inghilterra. Ai Quarti il percorso si interrompe di fronte alla Svezia che arriverà fino alle finali. Yashin inizia a farsi conoscere al mondo intero e colleziona 5 presenze, subendo sei reti.
Due anni più tardi è tempo di Europeo. Il primo della storia, organizzato dalla Francia. Il cammino dei sovietici passa attraverso la gara degli Ottavi vinta agevolmente contro l’Ungheria, i Quarti superati causa rinuncia della Spagna, la Semifinale vinta nettamente contro la Cecoslovacchia e la Finale conquistata ai supplementari contro unostica Jugoslavia. E’ il torneo della consacrazione per Yashin che trascina alla vittoria la sua nazionale subendo solamente due reti in tutto il torneo.
La fama del portierone russo cresce a dismisura e questo porta anche a trattamenti non del tutto delicati nei suoi confronti. L’esempio arriva dal Mondiale cileno del 1962 quando la corsa dell’URSS si interrompe ancora ai Quarti, ancora contro i padroni di casa. Qui Yashin assaggia la “cattiveria” cilena, già esibita nella gara contro l’Italia, e gioca stoicamente la sua gara con un occhio bendato a causa di qualche colpo troppo violento.
Il suo anno è, tuttavia il 1963. Un anno dopo l’annuncio, poi fortunatamente smentito, del suo ritiro, lormai 34enne Yashin conquista il Pallone d’Oro. Il portiere russo, unico estremo difensore nella storia del trofeo a ricevere il premio, conquista la prima piazza davanti a campioni del calibro di Rivera, Greaves, Law, Eusebio, Schnellinger, Seeler, Suarez, Trapattoni e Bobby Charlton che completano la top 10.
La partita daddio di Yashin si gioca il 27 maggio 1971, allo stadio Lenin di Mosca. Stadio tutto esaurito con i suoi 103.000 spettatori (si dice che siano state ben 700.000 le richieste di biglietti!!). Di fronte alla Dinamo Mosca una selezione di All Star mondiali che poteva contare su stelle del calibro di Beckenbauer, Facchetti, Bobby Charlton, Pelè ed Eusebio. La gara termina 2-2 anche se a fine primo tempo, quando Yashin abbandona il campo, la porta della Dinamo è ancora inviolata. A fine gara Lev esce tra le lacrime, il calcio saluta il suo più grande interprete di tutti i tempi tra i pali.
La vita di Yashin, anche dopo il termine della sua carriera, è una collezione di premi. Nel 1967 viene insignito dell’Ordine di Lenin, la massima onorificenza sovietica in tempo di pace. Nel 1985 gli viene diagnosticata una tromboflebite che causa l’amputazione di una gamba. Il grande Lev però reagisce ancora da campione ed accompagna la nazionale sovietica alle Olimpiadi di Seul del 1988, conquistando l’oro olimpico.
Nel 1986 riceve l’Ordine olimpico direttamente dal CIO e due anni dopo è la FIFA ad assegnargli l’Ordine al Merito, massima onorificenza dell’organismo calcistico mondiale. L’ultimo premio ricevuto è la medaglia di Eroe del lavoro socialista, nel 1989. Dopo la sua morte la FIFA, nel 1994, istituisce il Premio Yashin da assegnare al miglior portiere di una fase finale dei mondiali, mentre nel 2000 lo nomina miglior portiere del XX secolo.
La pioggia di premi non sembra finire mai. Nel 2005 l’UEFA, per festeggiare il 50° anniversario, su indicazione della Federcalcio russa, gli assegna simbolicamente il Golden Player, come miglior giocatore russo dell’ultimo mezzo secolo. Ma forse il premio più strano, più bizzarro, arriva dallesterno del mondo del calcio. Il 2 ottobre del 1978, l’astronoma ucraina Ljudmyla Zuravlova scopre e gli dedica un asteroide, chiamandolo 3442 Yashin.
Rileggendo statistiche e pagine di storia salta subito all’occhio un dato a dir poco stratosferico: in tutta la sua carriera, il portierone russo colleziona ben 400 presenze tra Dinamo Mosca ed URSS, lasciando la sua porta inviolata in ben 207 occasioni! Inoltre para 86 calci di rigore, un’enormità!
Attorno a lui girano anche alcune leggende buffe come quella che era solito portare in campo due cappelli, uno da mettere ed uno da piazzare dietro la porta; o quella che lo vede raccogliere un quadrifoglio nei pressi della porta dopo ogni rigore parato; o ancora quella del suo “segreto” che sta tutto nel fumare una sigaretta e bere qualche superalcolico prima della partita, per rilassarsi e tonificare i muscoli.
Una leggenda in carne ed ossa, una raccolta infinita di aneddoti e fatti curiosi, ma soprattutto un portiere mai visto prima di allora. Un portiere capace di interpretare il ruolo già in maniera moderna, comandando la propria difesa, uscendo spesso anche fuori area per rilanciare il contropiede. Un concentrato di riflessi ed agilità all’interno di un corpo da cestista.
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