Basta cambiare prospettiva e il “Me” diventa “We”. L’economia del Noi rimanda all’idea di una economia “diversa” costruita dal basso, incentrata sull’importanza delle relazioni fra le persone, sulla sostituzione della logica dello scambio con la logica del dono e sulla valorizzazione dei beni comuni.
Roberta Carlini, nella sua introduzione al libro “L’economia del Noi” edito da Laterza, afferma: “Adesso, l’economia del noi gode di due fattori congiunturali favorevoli. Il primo è in negativo, ed è nel declino delle fortune teoriche dell’individualismo economico, nella consapevolezza diffusa dell’esaurimento di un modello che ha provocato guasti sociali e sta portando al collasso ambientale, nell’urgenza di un’innovazione di sistema. Il secondo è in positivo, ed è nell’economia della conoscenza: il cambiamento del paradigma tecnologico seguìto alla rivoluzione della rete, che non solo dà ai gruppi (oltre che ai singoli) un formidabile strumento di comunicazione, organizzazione e azione, facilitando la messa in pratica di molti progetti di innovazione sociale; ma che è essa stessa, strutturalmente, un’economia di comunità, fondata sulle relazioni, dove la cooperazione vince perché è più efficace e non solo perché è più buona, e nel quale sono la collaborazione e il dono a produrre valore.
Dai gruppi d’acquisto di quartiere alle nuove comunità del free software, dai gruppi di abitazione o di autocostruzione al coworking, dalle banche del tempo all’economia di comunione, dalle cooperative sociali alla finanza etica: le pratiche dell’economia del noi sono molte, assai diverse tra loro, e diverse sono le motivazioni di chi vi partecipa. Le stesse realtà organizzative possono assumere connotazioni diverse a seconda del contesto in cui agiscono, o del momento storico. Ad esempio, i gruppi d’acquisto solidali, nati sull’esigenza di coniugare consumo ed etica, sono cresciuti esponenzialmente sull’onda delle crisi alimentari e relativi effetti di panico; sono diventati uno strumento molto potente nella riconversione ecologica dell’economia; e hanno modellato i propri caratteri sulle priorità del territorio nel quale operano in organizzazioni che si stanno sempre più strutturando.
Anche nelle imprese qualcosa è cambiato.
La definizione “da manuale” che Logotel ha dato è la seguente: “l’impresa del futuro è un’impresa che democratizza i processi gestionali, si basa sulla co-progettazione, coinvolge Clienti, dipendenti, fornitori, concorrenti. Questa, per noi, è la Weconomy.
In inglese WE è la prima persona plurale: è quando il ME – la prima persona singolare, il singolo individuo – dialoga, condivide, collabora, in una parola si apre ad altri ME. WE è condividere il proprio spazio di lavoro con altri professionisti (co-working).
WE è l’assunzione di buona fede (“good faith collaboration”) che fa sì che ogni utente che aggiunga una riga a una voce di Wikipedia lo faccia con la certezza che altri utenti, a loro volta, contribuiranno a migliorarla.”
Questa filosofia del WE si integra bene con il concetto di collaborazione,” in cui collaborazione non significa appiattire tutte le idee sullo stesso livello, ma creare spazi di scambio e condivisione per rafforzare e far emergere dal confronto quelle migliori”e in cui la missione dell’impresa è anche quella di cooperare e di miscelare le diverse competenze delle persone presenti in azienda per favorire innovazione nei processi.
Il compito dell’impresa è quella di costruire una visione collettiva del “dove andare” lasciando ai singoli l’iniziativa del “come”.
In sintesi soltanto cooperando, strutturandosi in rete, collaborando è possibile far emergere l’impresa del terzo millennio. La domanda è: siamo pronti?
Per ulteriori approfondimenti: http://www.weconomy.it/libro/makingweconomy_01.pdf
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