Chissà cosa penserebbero Bell e Meucci su com’è diventata oggi quella loro contesa invenzione: il telefono. La sua prima prerogativa era quella di essere un strumento di connessione vocale “full duplex”, che significava appunto uno strumento in grado di permettere a due persone in postazioni remote di poter comunicare a voce, via filo, parlandosi ed ascoltandosi contemporaneamente.
Il full Duplex, che tramite l’occupazione dell’intera linea fisica di circuito dal chiamante al chiamato, opportunamente commutata con la “composizione di un numero” (unica cosa ancora rimasta ad oggi concettualmente invariata) permetteva la comunicazione contemporanea parla/ascolta; ciò non era scontato poiché la radio, ad esempio, permetteva una sola comunicazione per volta, in ricezione o in trasmissione a ciascun operatore alla volta che doveva, infatti, terminare la propria frase con un “passo” per dare modo di informare all’altro che lasciava “la portante” e che poteva quindi iniziare a trasmettere il suo discorso di frasi che si succedevano con un flusso ordinato in sequenza alternata di prima uno e poi l’altro, ma mai contemporaneamente (anche la logica e il “filo del discorso” nel dialogo quindi aveva un carattere sequenziale) e l’ultima parola era appunto annunciata con un “passo e chiudo” (di cui è rimasta traccia nell’immaginario collettivo e viene ancora usata per chiudere forzatamente un discorso).
Da quando fu inventato il telefono presto la sua linea, costruita con grandi cavi posti nei mari e negli oceani e distribuita dappertutto con il famoso “doppino telefonico” terminale, è diventata l’opera più grande mai costruita dall’uomo per capillarità ed estensione sulla terra.
Ma negli ultimi tempi quella macchina per parlare ha subito una trasformazione esponenziale, da quando è diventato “mobile”, grazie alla disseminazione di cellule di ripetizione (da cui il nome cellulare) fino alla sua versione “Smart ” ancora attuale, sta perdendo sempre di più la sua funzione di base sul traffico vocale specialmente in full duplex. Già, ma cosa sta guadagnando? In cosa si sta trasformando ?
Le nuove tecnologie che proclamano un telefono che ci permette di stare “always connected” in realtà ci connettono costantemente solo agli archivi di “big data”, sempre avidi di informazioni su di noi, sui nostri spostamenti, sulle tendenze e sui nostri stili di vita … che noi gli forniamo con facilità ed anche con orgoglio (soprattutto quando dobbiamo sfoggiare sui social una visita ad un bel posto in cui ci siamo recati per le vacanze) e che il marketing analizza ed usa con sempre maggiore profondità ed interscambio, proponendoci prodotti e servizi ancor prima che ci nasca l’esigenza di questi o indirizzandoci verso gusti e preferenze in veri e propri esperimenti di “Social Mindset Modelling”, ancor prima che possano essere definite come pratiche di condizionamento illecite o comunque di indebita manipolazione.
Se ne parlava, tra le varie cose, a Bologna presso la Fondazione Golinelli, in un’interessante iniziativa dal titolo “Percezione, Arte e Tempo” con il prof. Lamberto Maffei (Direttore dell’Istituto di Neuroscienze del CNR e del Laboratorio di Neurologa della Normale di Pisa autore, oltre che di innumerevoli pubblicazioni scientifiche, anche del libro “L’elogio della Lentezza”), evidenziando la pericolosa tendenza ad una “delega della nostra memoria” a questo strumento, che finisce per sostituirsi ai nostri ricordi e spiega anche il perché abbiamo l’esigenza di scattare foto o girare video per immortalarci, pubblicare selfie che ci vengono poi riproposti dai social negli anniversari o nelle ricorrenze.
Il telefono oggi ha perso la suoneria, che teniamo bassa per evitare di farci distrarre dalle sue continue sollecitazioni, dai ping di messaggi istantanei, e-mail ed sms, ma che per questo motivo non sentiamo più quando ci chiamano e perdiamo anche le telefonate importanti di famigliari o dell’amico che stavamo aspettando e che invece bisognerà richiamare ma che, anche lui per il medesimo motivo non ti risponderà alla chiamata; ed ecco quindi che lasciamo un messaggio in segreteria o su WathsApp, al quale si risponderà con un altro messaggio vocale che verrà ascoltato probabilmente in differita quando si ritorna “on line” (e compare il simbolo del doppio baffetto blu nella sequenza delle comunicazioni o negli innumerevoli gruppi creati per ogni occasione o evento). Quindi il telefone è senza più la prerogativa del Full duplex che tanto lo rese diverso ai suoi inizi.
Il telefono non si ascolta più, il telefono ora si guarda periodicamente, freneticamente e compulsivamente e non è più la stessa cosa di Bell e Meucci.
Il telefono ora è non è più la tua voce ma la tua Memoria connessa alla rete Globale, una estensione del nostro cervello a cui affidiamo e deleghiamo (forse troppo) importanti funzioni celebrali di cui forse dovremmo riappropriarci, una finestra su un mondo di informazioni che rischia di essere solo invadente e dispersiva se non usata con estrema cura ed attenzione.
Forse oggi potremmo iniziare a chiamarlo diversamente, dal momento che lo teniamo ancora nelle mani e lo guardiamo converrebbe chiamarlo DMVCMR “ Dispositivo Manuale Visuale di Connessione alla Memoria di Rete” (handling and visual memory network connector device); ma, non appena la tecnologia ci permetterà di trasmettere immagini alla retina o direttamente ai nervi oculari, montato sugli occhiali, attaccato al braccio o alla testa, potremmo (tra non molto) tranquillamente iniziare a chiamarlo semplicemente “Connettore Celebrale” (BC-BrainConnector).
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