Company storytelling o narrazione d’impresa, come preferisce chiamarla Andrea Bettini (curatore del festival Dialoghi d’Impresa, autore di vari libri tra cui “Non siamo mica la Coca Cola, ma abbiamo una bella storia da raccontare”, edito da Franco Angeli), è una forma di comunicazione in costante crescita. Lo abbiamo intervistato per capire tutte le potenzialità di questa tecnica narrativa.
In cosa consiste? quali ne sono le regole?
“Non esiste una formula magica per la narrazione d’impresa”, ci risponde Bettini, “ma ci sono degli aspetti da tenere in forte considerazione. E’ un approccio che va utilizzato con cura, perché va in profondità dell’anima dell’impresa. L’azienda e soprattutto l’imprenditore devono essere pronti a mettersi a nudo. Se vogliamo parlare di regole, sono: la coerenza, perché i valori che l’azienda comunica devono essere coerenti con la sua storia ed il suo operato, l’autenticità, raccontare cioè storie vere, anche la conflittualità, ad esempio, non aver paura di raccontare anche quell’aspetto che spesso è motivo di crescita. L’altra regola è la capacità di generare emozioni, per creare quel legame che consente alle persone di immedesimarsi nel racconto. Tutto questo consente di andare oltre brand ed oltre il prodotto o il servizio. Faccio questo lavoro perché non mi piace un certo stereotipo negativo dell’imprenditore come colui che si arricchisce a spese dei suoi dipendenti e dei suoi clienti. Chi è più epico di un imprenditore? di una persona che si mette in gioco rischiando in prima persona per creare un valore economico e sociale?”.
In quale momento della sua storia un’azienda dovrebbe iniziare a raccontarsi?
“Spesso racconto l’impresa in occasione di un anniversario importante o al raggiungimento di un successo ma il momento migliore sarebbe il momento “zero”, quando ancora non esiste il prodotto o il servizio. La narrazione dovrebbe partire quando la persona e o il gruppo di persone intenzionate ad intraprendere l’impresa hanno l’idea. La narrazione ha infatti un valore aggiunto perché consente all’impresa di mettere a fuoco la sua proposta di valore. Poi, ovviamente, il racconto si costruirà nel tempo”.
Perché un’azienda dovrebbe raccontare la propria storia?
“Per mettere a fuoco la sua posizione sul mercato dal punto di vista strategico e perché il prodotto/servizio possa arrivare sul mercato svelando cosa c’è dietro. E’ fondamentale riuscire a mettere su carta il motivo per cui l’imprenditore ha deciso di fare impresa. Nella mia esperienza non ho mai incontrato un imprenditore che lo abbia fatto per fare soldi. Alla base c’è sempre un’idea, un sogno. La narrazione inoltre ha un beneficio anche rispetto alla comunicazione interna all’azienda, funge da collante tra i membri del team, perché ogni persona, capisce di poter scrivere una pagina di quella storia. Non a caso, per me una delle regole della buona narrazione è anche condividere il racconto”.
Ma se la storia da raccontare non è interessante?
“Per quanto mi riguarda, non esiste una storia che non sia interessante. Anche una storia personale è sempre unica, così lo è la storia dell’azienda. Per quanto possa sembrare simile a quella di altre, questo fattore non farà che accrescere il senso di immedesimazione. Molto importante è la struttura narrativa, che deve riuscire a trasferire la straordinarietà di una storia anche apparentemente ordinaria. E’ fondamentale, comunque, essere onesti, non inventare. La fase principale per scrivere un buon racconto d’impresa è dunque quella dell’ascolto. Bisogna entrare in empatia con l’imprenditore, con le persone, cogliere gli elementi caratterizzanti, spesso togliendo elementi per bilanciare le emozioni, non enfatizzare troppo col rischio di cadere nella mera esaltazione dell’imprenditore”.
La narrazione d’impresa si trasforma poi in quale forma di comunicazione? un libro? una pubblicazione?
“Può diventare un libro, ma le parole della narrazione diventano anche lo story board di un filmato o di un racconto fotografico oppure, venendo ai social network, può diventare un contenuto da “somministrare” attraverso questi nuovi linguaggi di comunicazione. Alla base di tutto c’è sempre la parola”.
La storia che Le è piaciuto raccontare di più?
“La prossima! Faccio fatica a scegliere, ogni storia è per me come un figlio, un bel bagaglio di emozioni. Le storie che mi stanno più a cuore sono quelle in cui ho trovato un perfetto allineamento tra la storia umana e quella imprenditoriale e in alcuni casi sono nati dei bei legami di stima e di amicizia. Mi piacciono le storie che hanno un taglio olivettiano”.
Considerata l’importanza della narrazione per dare un’immagine di sé positiva, non ne avrebbe bisogno anche la nostra pubblica amministrazione?
“Assolutamente sì. Purtroppo la pubblica amministrazione ha una sua narrazione fatta di stereotipi spesso negativi e pericolosi, come “non fanno nulla, immaginiamo ora con lo smart-working”… Una narrativa che spesso non coincide con la realtà, quindi lo story telling servirebbe proprio a sfatare alcuni miti negativi, far emergere altri elementi di forza, a far capire ai cittadini perché vengono prese determinate decisioni. Alcune istituzioni si stanno interrogando su come utilizzare questa forma di comunicazione”.