Per comprendere il valore strategico del Mediterraneo bisogna analizzare il suo peso specifico nel trasporto merci.
L’evoluzione dell’economia mondiale ha determinato negli ultimi anni un notevole incremento degli scambi internazionali via mare. Il trasporto di merci su scala globale è oggi assorbito per l’80% dalla modalità marittima, che si muove su tre principali rotte: translatantica (Europa-Nordamerica orientale); transidiana (Asia-Europa, via Mar Rosso-Mediterraneo-Mare del Nord); transpacifica (Asia-Nordamerica).
Negli ultimi dieci anni, con la forte delocalizzazione dei centri produttivi verso l’area dell’Estremo Oriente-Pacifico, il Mediterraneo ha assunto un ruolo di crescente centralità nelle strategie delle compagnie di trasporto marittime (liner shipping companies), che lo considerano un corridoio fondamentale per raggiungere velocemente i mercati di destinazione delle merci imbarcate.
Lo sviluppo del traffico marittimo tra aree geografiche sempre più vaste ha dato un forte impulso alla standardizzazione delle unità di carico (container) e delle relative tecniche, dei processi e delle procedure operative che mirano alla complementarità tra modi di trasporto su distanze molto diverse. Si tratta di organizzare la catena di trasporto facendo leva sull’uso specializzato di differenti vettori, allo scopo di ottimizzare le prestazioni, riducendo i costi, il tempo e i rischi del passaggio da una modalità all’altra. Questo sistema a stella, definito hub and spoke (perno e raggio) presuppone due categorie di navi e due differenti tipologie di porti. La nave madre naviga lungo le principali rotte mondiali, carica e scarica container toccando pochi porti hubs, strategicamente posizionati e ben organizzati. I container depositati negli hubs vengono caricati e scaricati da navi più piccole (feeders), che toccano gli scali minori, fuori dalle rotte principali. Si ottiene così la più efficace toccano gli scambi minori, fuori dalle rotte principali. Si ottiene così la più efficace prestazione complessiva dal punto di origine a quello di arrivo: condizione vincolante per rimanere “nel giro”.
Il settore del trasporto container nel Mediterraneo, considerato dalle compagnie di trasporto un mero sistema di hubs of transshipment (“perni di trasbordo”), ha dunque dovuto affrontare una fase di profonda quanto rapida trasformazione per adattarsi alle nuove esigenze del traffico globalizzato. La preesistente morfologia di postazioni e rotte di traffico di merci è diventata automaticamente secondaria. Emerge una direttrice di flusso lineare dominante, tra Suez e Gibilterra, nettamente orientata da est a ovest (con una componente limitata di movimento di merci in senso inverso). Questo flusso scorre parallelamente alla costa Sud e tende ad avanzare sempre più rapidamente verso i mercati del Mare del Nord e dell’Atlantico settentrionale, appoggiandosi a una catena di hubs dove depone parte del suo carico alle navi feeders.
L’uso globalizzato del trasporto container e del sistema hub and spoke ha progressivamente aumentato le dimensioni delle navi: i dati più recenti forniti dai cantieri navali (marzo 2009) fanno capire che per reggere la competizione globale di stivaggio, salendo a 13/14 mila teu, con quel che ne consegue per i complessi portuali mediterranei.
Se il traffico containerizzato ha spinto la società di linea a modificare rotte e criteri di scelta dei porti basandosi sulle performance del commercio asiatico, sono poi i terminalisti a investire in postazioni su cui si assicurano concessioni pluridecennali, funzionali allo scalo di grandi navi, sul modello dei porti iperspecializzati di Singapore, Shangai, Shenzhen e Hong Kong, impostosi dopo il 2002. Anche nel Mediterraneo la raccolta dei container è sempre più affidata a società logistiche internazionali di provata professionalità per garantire un adeguato fattore di carico delle navi. Queste a loro volta convergono verso i porti che garantiscono le interconnessioni porto-territorio e mettono a disposizione distriparks portuali o centri inermodali collocati strategicamente nel retroterra, anello indispensabili per la fluidità dei trasporti dal mare alla terra e viceversa.
In definitiva, compagnie di trasporto e operatori di terminali tendono a condizionare i piani nazionali di sviluppo territoriale, in modo che tengano conto delle loro esigenze commerciali. Ma ora il quadro si complica per l’impatto seccamente negativo della crisi economica e del credito sul traffico marittimo mondiale.
Fino agli anni Novanta il sistema portuale mediterraneo era centrato sul traffico regionale, di breve raggio, e sui servizi secondari. L’affermarsi del sistema hub and spoke, con l’incremento degli scambi tra Europa ed Estremo Oriente e tra Europa e America, ne ha modificato il ruolo. Per collocazione strategica e proprietà peculiari dei mercati che lo circondano, è divenuto un bacino cruciale per il trasporto intermodale di lungo raggio. Sottraendo così quote a quelli che fino ad allora erano stati gli unici destinatari delle merci che arrivavano in Europa via Suez: i grandi porti del Northern Range, scaglionati sul Mare del Nord tra Le Havre e Amburgo.
Il recupero di competitività del Mediterraneo nei confronti del Northern Range si è costruito su tre fattori. Anzitutto, l’aumento del traffico, anche a seguito dell’allargamento del Canale di Suez , nonché la possibilità di ridurre i tempi di rifornimento ai mercati delle aree gravitanti sul Mediterraneo e interessate dal commercio proveniente dall’Estremo Oriente. Poi, si è messo a frutto le opportunità insite nello sviluppo degli scambi commerciali lungo la sponda Sud del Mediterraneo, tra paesi del Maghreb e Vicino Oriente. Infine, con una buona dose di ottimismo, si è puntato su uno scenario di crescita economica dell’area del Mar Nero, Turchia compresa, dove per determinate tipologie di merci la via marittima resterà ancora a lungo più vantaggiosa rispetto ai percorsi terrestri, per i collegamenti con i paesi dell’Europa occidentale e mediterranea.
Anche se alcuni parti si sono imposti come fondamenti hubs di trasbordo sulla direttrice del flusso di container est-ovest assorbendone quote importanti, negli ultimi anni la crescita del movimento sud-mediterraneo ha perso di slancio nei confronti del Northern Range, che ha finito per recuperare il primo assoluto e relativo.
Nell’area mediterranea vengono movimentati annualmente 35 milioni di container, con un trend in crescita fino al 2008. Ma oggi, con la crisi economica mondiale che ha provocato un crollo del commercio internazionale, si avvertono forti riflessi negativi anche sui flussi di merci nel Mediterraneo.
Il commercio mondiale su nave è controllato quasi esclusivamente dai primi venti gruppo specializzati nella movimentazione di container. Il Mediterraneo è il loro “ponte intercontinentale”.
I gruppi europei più attivi nel Mediterraneo sono nordici, italiani registrati all’estero o filiali di gruppi nordici e francesi. Sono presenti nel Mediterraneo tutti i grandi gruppi del Nord Europa che hanno un’esperienza di lungo tragitto nello shipping. Nati per l’esigenza di commerciare nei grandi porti del Nord, non si sono lasciati sfuggire la possibilità di recuperare fette di mercato mediterraneo.
Sono soprattutto le compagnie cinesi a battere aggressivamente il Mediterraneo in cerca di posizioni da acquisire. Così il gruppo armatoriale cinese pubblico Cosco ha vertiginosamente ingrandito le sue attività con flotte di portacontainer, attività logistiche e terminalistiche, di noleggio e costruzione container. Cosco si è alleata con la Msc per la gestione del terminale di Levante di Napoli e ha trattato, sulla base di un accordo intergovernativo, lo sviluppo di due nuovi terminal e una concessione per 35 anni nel porto del Pireo, apertosi alla privatizzazione.
Seguendo la rotta est-ovest che sbocca a Suez e trova le prime postazioni hub d’obbligo sul Mediterraneo egiziano – lo storico Port Said e la più recente Damietta – il flusso in cerca di trasbordi vantaggiosi punta deciso su Malta.
Complementare al ruolo di Malta quello di Gioia Tauro, in Calabria, che ha visto uno straordinario sviluppo negli ultimi anni contenendo il primato di movimentazione container nel Mediterraneo allo storico hub di Algeciras, grazie alla varietà di rotte feeder che afferiscono al suo scalo e lo collegano con 60 porti del Mediterraneo e del Mar Nero.
Da Malta o da Gioia Tauro, un unico balzo porta all’hub di Algeciras, in Spagna, il più importante scalo dell’Europa meridionale per la movimentazione dei container, gestito dalla terminalista Apm del gruppo Moller-Maersk. Poi il flusso si dirama per le rotte atlantiche.
Ma questo era il viaggio di ieri. Nel 2007 è nata una nuova stella in terra d’Africa: Tangeri. E’ stato proprio il grande sviluppo di Algerciras a spingere l’Apm, difronte alla crescente inedaguatezza ricettiva di quello scalo, a espandere le sue attività con un hub completamente a Tangeri, in Marocco. Ottima la posizione geografica: affacciato sull’Atlantico ma connesso in linea diretta con Suez, lo hub marocchino potrebbe convogliare anche le merci che provengono dal Sudamerica e intercettare le nuove rotte commerciali che, favorite dal diminuite costo del greggio, evitano i costi di Suez e le insidie dei pirati del Golfo di Aden circumnavigando l’Africa intorno al Capo di Buona Speranza.
Nel Mediterraneo del Nord i porti che hanno un mercato di riferimento importante alle spalle (i cosidetti “scali a spalle coperte”) si difendono meglio dalla lottizzazione delle compagnie di trasporto e delle società terminaliste. I porti emergenti nel Mediterraneo stanno cercando di ridurre le proprie lacune guardando all’organizzazione e alla progettazione del Northern Range per creare sistemi di collegamento intermodale che permettano di raggiungere nel modo più veloce ed efficiente possibile i mercati europei.
Barcellona e Marsiglia cercano di collocarsi in questa tipologia. Purtroppo il progetto comunitario di fattibilità della rete di corridoi infrastrutturali Ten è un’esercitazione sulla carta, molto carente nell’ipotizzare i reali flussi di traffico e i tempi di realizzazione.
Marsiglia e Barcellona danno l’esempio ai porti italiani dell’Alto Tirreno, che con Genova come capofila cercano di seguirli nella tipologia di sviluppo e di organizzarsi per non perdere quote di mercato a vantaggio dei concorrenti francesi e spagnoli. La loro situazione di partenza però è molto meno favorevole. Mentre il corridoio ferroviario Genova-Rotterdam, su cui lo scalo ligure punta per profilarsi come una sorta di sotto-hub del megaporto olandese, resta fuori dal libro verde dell’Ue, i presidenti delle autorità portuali di Genova. La Spezia e Savona evidenziano l’urgenza di intervenire prima che sia troppo tardi.
Per parte loro, i presidenti delle autorità portuali di Venezia, Trieste e Ravenna, in alleanza con Capodistria, hanno stretto un accordo per creare un unico gateway con cui i quattro scali si presentano insieme sul mercato internazionale, puntando sul recupero di sviluppo dell’Europa centrorientale e dei Balcani.
Quanto all’autorità portuale del Levante (Bari, Barletta, Monopoli), segue altri obiettivi di ristrutturazione e sviluppo, galvanizzata dal record storico di passeggeri registrato nel 2008.
Abbiamo già accennato al monopolio Contship (Eurokai-Eurogate) su Gioia Tauro, porto che oggi svolge quasi esclusivamente operazioni di Transshipment e non riesce a esprimere le sue grandi potenzialità perché manca di un sistema logistico adeguato alle spalle. La Contship, o chi per essa, oggi è presente con varie quote partecipative in concessioni per la movimentazione merci anche nei porti di strategie della Contship. Cagliari poi è in una posizione strategica nel centro del Mediterraneo occidentale, lungo la rotta che collega Gioia Tauro con Barcellona, Genova e Marsiglia. Quanto a Taranto, che invece ha le caratteristiche idonee a svolgere un ruolo importante anche per i traffici tra il basso e l’Alto Adriatico, vi opera il gruppo taiwanese Evergreen. Ma anziché che svolgere una funzione complementare, rischia di trovarsi in competizione con Gioia Tauro.
A Napoli troviamo infine due protagonisti del traffico internazionale portacontainer nella partenership paritetica al 46% tra la Msc e la cinese Cosco (China Ocean Shipping Company), costituita con la Conateco per trasformare Napoli in hub di smistamento, in concorrenza con scali mediterranei non italiani. Come per il contiguo porto di Salerno, le possibilità di successo sono scarse se non inesistenti, perché lo spazio a disposizione per la costruzione di nuove banchine è limitato per le caratteristiche della città e i vincoli posti dall’importanza paesaggistica delle zone limitrofe.
Tutto il sistema portuale del Mediterraneo, specialmente nella facciata Sud, è un grande cantiere. Almeno una decina sono i progetti in cui si intrecciano investimenti statali e di grandi gruppi privati. Naturalmente questi progetti hanno delle gerarchie: si sviluppano alcune aeree e determinate attività, mentre se ne trascurano altre. Grazie ai soldi del petrolio provenienti da Dubai e dai paesi del Golfo, ma anche ai finanziamenti europei e indiani, la costa meridionale del Mediterraneo è seconda solo alla Cina quanto a investimenti esteri.
TangerMed è il progetto modello di come una grande società terminalista, la Apm del gruppo Moller-Maersk, si inserisce nella progettazione di uno Stato. Il piano originario prevedeva che nel giro di sette anni il porto di Tangeri avrebbe raggiunto la capacità di 8,5 milioni di container all’anno, conquistando così il primato nel Mediterraneo e quasi raggiungendo Rotterdam. Nel dicembre 2008 è stata lanciata la zona franca logistica TangerMed, con l’ambizione di costruire una piattaforma logistica leader in Europa, Mediterraneo e Africa occidentale. Un progetto ispirato dall’araba Dp World di Dubai. La gestione della relativa free zone è affidata alla società Medhub, controllata al 100% dalla Tmsa, agenzia marocchina per lo sviluppo del porto. Attualmente TangerMed ha una capacità di 3,5 milioni di teu a fronte dell’obiettivo previsto per il 2012 di 5 milioni di teu.
Così la Dp World (Dpw) dà le ali agli ambiziosi progetti algerini per lo sviluppo della portualità. Il 17 marzo è stata creata una società di diritto algerino compartecipata al 50% tra Epal (ente algerino per la gestione dei porti) e Dpw, che ha assunto la gestione del porto di Algeri.
Facendo leva sul suo impegno ad Algeri, la società di Dubai ha rinnovato il contratto di gestione di quello che sarà il nuovo porto di Djendjen, concepito come uno hub, da portare alla capacità di 1,5 milioni d teu l’anno.
La strategia di Dpw continua in Tunisia, saltando la Libia, il cui principale progetto è la creazione di una città hub per il business energetico, un centro servizi a livello mondiale. La Tunisia è una piattaforma ideale per i mercati del mondo arabo e del Magreb grazie all’accordo di libero scambio con Marocco, Egitto, Giordania, Libia e Turchia. E’ prevista la realizzazione di un porto “acque profonde” a Enfidha, che potrà accogliere navi container di grandi dimensioni.
L’Egitto ha stanziato 4 miliardi di euro per rinnovare il terminal che sorgerà a Port Said, dove già opera la Moller-Maersk, e intercetterà il traffico che passa attraverso il Canale di Suez. Il progetto East Port Said prevede la costruzione di terminal per rinfuse liquide e di una zone industriale accanto al terminal, Lo scalo raggiungerà nel 2015 la capacità complessiva di 15 milioni di teu.
Damietta è il porto egiziano più dinamico.
La portualità del bacino Est del mediterraneo si sta sviluppando in funzione di tre opzioni di traffico, su cui gravano ancora molte incertezze. La prima è il mercato dell’Est Europa e della Russia. La seconda è il mercato che dal Caucaso via Mar nero e Turchia, cerca uno sbocco al Mediterraneo. La terza è la direttrice del Sud-est, ossia dei futuri grandi movimenti di merci che potrebbero essere attivati dall’eventuale reintegrazione di Iraq, Siria e Iran nei mercati mondiali.
Nel 2009 il volume del commercio mondiale potrà diminuire almeno del 9% su base annua a causa della recessione economica mondiale.
La crisi potrebbe mettere a seria prova la riacquista centralità del Mediterraneo. Il traffico in questa regione è stato finora indissolubilmente legato ai mercati e alle produzioni orientali e americana: se diminuisce la merce spostata, calano anche i passaggi nei porti del Mediterraneo. Nella minor movimentazione giocano anche il crollo del prezzo del greggio, il fattore Suez e la pirateria nel Golfo di Aden, che spinge molte compagnie a optare per la rotta che aggira il Capo di Buona Speranza.
La crisi del credito, è ovvio, non fa sconti a nessuno: che le compagnie privare siano in difficoltà a mantenere progetti impegnativi con prospettive incerte per il futuro è anche comprensibile. Ma è anche vero che far scontare ai sistemi portuali e ai lavoratori che a essi afferiscono il rischio di una politica anelastica di mera movimentazione merci avulsa da logiche di sviluppo territoriale, è una scelta perdente per tutti. I porti non sono solo un elemento chiave della catena logistica, fanno parte di un sistema integrato di responsabilità istituzionali che deve ricominciare a funzionare. In particolare, il meccanismo delle concessioni alle compagnie non può risolversi in un assegno in bianco, soprattutto se a lungo termine. Deve essere uno strumento di governance attraverso il quale equilibrare gli interessi dei privati e le necessità di sviluppo e di tutela proprie del settore pubblico.
Recuperare il terreno di gestione manageriale perduto dalle autorità portuali, grandi e piccole, non sarà facile. Gli accordi di integrazione verticale tra shipping companies e terminal operators danno infatti alle prime un controllo totale sui terminali. E quindi aprono la possibilità di accendere tra i porti competizioni insostenibili. Anche in questo senso, la sponda Sud del Mediterraneo potrà rivelarsi più mobile rispetto a noi europei nel reagire alla Crisi (Autore: Marco Caruso per Limes).
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