Non esiste nulla di più nobile che l’andare per mare rispettandone le regole. Il “galateo marinaresco” è quell’insieme di regole e tradizioni di rara educazione, quasi mai scritte ma tramandate e sussurrate come un incessante passaparola tra coloro i quali amano il mare.
Così come i motociclisti si salutano con un cenno della mano sinistra quando si incrociano percorrendo sensi di marcia opposti sulla stessa strada, o togliendo un piede dalla pedalina se si superano percorrendo lo stesso senso di marcia, allo stesso modo il saluto per mare è un rito che si svolge in modi differenti a seconda della situazione o di chi si sta incrociando, infatti: fra imbarcazioni da diporto in navigazione il saluto si rende ammainando a metà una sola volta il guidone sociale, che è quell’unica bandiera che è permesso non ammainare mai.
Diverso è se in navigazione uno yacht incrocia una nave militare, o se in porto ne transita una in vicinanza del proprio ormeggio, si deve salutare con la bandiera nazionale. Il saluto viene reso ammainando la propria Bandiera Nazionale a metà altezza sino a quando si incrocia la nave che si sta salutando, o sino a quando questa risponda portando a sua volta la Bandiera ad un terzo di altezza e riportandola subito a segno. Nel caso in cui la Bandiera sia invergata ad un’asta senza drizza, il saluto viene reso togliendo l’asta dal suo supporto ed abbassandola fino al bordo di murata, per poi rialzarla e rimettendola nel proprio supporto, non appena aver incrociato o ricevuto risposta. O ancora, incrociando una nave militare che esegue la cerimonia dell’alza, o dell’ammaina, bandiera, o quando quest’ultima renda il saluto a salve, gli yachts a motore fermano, ove possibile, i motori, mentre quelli a vela mettono la prua al vento salutando contemporaneamente con la Bandiera fino alla fine della cerimonia del saluto. Per gli yachts a vela è permesso anche restare in rotta e salutare ammainando il fiocco.
Il cosiddetto “inchino”, del quale molto si è detto e scritto negli ultimi tempi in seguito all’incidente della Costa Concordia, altro non è che il saluto, il passaggio sottocosta di una nave per omaggiare con luci e segnali acustici gli abitanti della zona, non è una regola, ma una tradizione marinaresca. Una tradizione che probabilmente affonda le proprie origini ai tempi delle repubbliche marinare, una tradizione radicata nella marineria civile ma anche in quella militare, a tal punto che anche Nave Vespucci talvolta omaggia le popolazioni che si trovano sulle coste che incrocia mostrandosi in tutta la sua maestosità e bellezza.
In realtà il termine “inchino”, tra le compagnie di navigazione, oggi è stato sostituito da un molto meno poetico “rotta turistica”, cioè quell’insieme di passaggi sottocosta, tassativamente eseguiti a bassa velocità, che permettono a passeggeri ed ospiti di ammirare dal mare località nelle quali non è previsto fare scalo. Tale rotta è un insieme di manovre intraprese sulla base di valutazioni e considerazioni oggettive da parte del Comandante in base a svariati criteri che tengono conto ad esempio della pericolosità dei fondali, la conformazione delle coste, il traffico, le condizioni meteo marine e via dicendo. Giusto per la cronaca, la pratica dell’inchino non è vietata da nessuna normativa se il saluto è eseguito in conformità alle convenzioni sulla sicurezza ed il cambio rotta è registrato come variazione al piano di viaggio.
Il naufragio della Concordia fa pensare invece che le cose si facciano senza regole, senza metodo, di nascosto e che il gigante dei mari sia rimasto inchinato, in ginocchio, con tutto il peso delle responsabilità che grava su un popolo che le regole le evita, le raggira, un popolo di poeti, santi e navigatori quali Cristoforo Colombo, Amerigo Vespucci, Giovanni Da Verrazzano… e chissà cosa penserebbero oggi.
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