Che cosa hanno in comune i Paesi considerati più avanzati, le città più vivibili, le migliori università del mondo e le imprese dove è bello lavorare? L’elemento in comune è l’orientamento al futuro.
Non si tratta solo di un approccio prospettico e anticipativo che cerca di generare futuro attraverso la ricerca e l’innovazione. E’ molto di più di un continuo investimento sulla crescita della conoscenza collettiva, sull’avanzamento tecnologico e sull’interesse per il benessere collettivo e per la salvaguardia dell’ambiente. Va oltre gli standard della qualità della vita.
Si tratta della capacità di immaginazione diffusa che crea coinvolgimento e partecipazione dei cittadini, degli studenti e dei lavoratori nella generazione di futuri possibili. Una prospettiva che cerca di coniugare e di fare coesistere diverse idee di futuro per arrivare ad una visione collettiva il più possibile armonica e inclusiva.
Se si intervistano gli studenti che decidono di andare a studiare o vivere all’estero, ci si può accorgere che tra le diverse dimensioni dell’orientamento al futuro, le nuove generazioni sono interessate più che alle loro prospettive future economiche a ciò che i sociologi definiscono “la possibilità di aspirare”.
In un mondo in profonda trasformazione, nessuno è in grado di prevedere il futuro e risulta estremamente difficile fare le scelte giuste, poiché la maggior parte dei mestieri e delle professioni del futuro non sono ancora stati immaginati, così come non sappiamo quali saranno i contorni dei mercati futuri, dei modelli di impresa e soprattutto non sappiamo che cosa caratterizzerà le attività legate al lavoro e alla creazione di valore. Non sono nemmeno chiari quali saranno i modelli vincenti della città del futuro.
I giovani alla ricerca delle migliori prospettive non sanno che cosa andranno a fare, ma sono ben consapevoli che dall’università, dalle aziende in cui andranno a lavorare, dalle città in cui andranno a vivere chiedono “opportunità” e “strumenti” per potere crescere da tutti i punti di vista, esprimere le proprie capacità, realizzarsi e contribuire nel migliore modo possibile secondo le loro capacità.
Il futuro è per sua natura incerto, ma ciò da cui le giovani generazioni rifuggono è l’immobilismo paralizzante, che uccide sul nascere ogni prospettiva futura. Più che domandarsi cosa fare, l’interrogativo che emerge con maggiore decisione è “che cosa accadrà se rimaniamo fermi e se non facciamo nulla di diverso da ciò che in questo momento si sta dimostrando disfunzionale?
Le nazioni, le città, le imprese orientate al futuro, sono immaginative e responsabili nei confronti del futuro, che considerano un prodotto culturale collettivo, che deve tenere conto dei sentimenti, delle aspettative e delle paure delle persone ma che sono in grado di alimentare la “possibilità di aspirare” e di “contribuire”. La competizione globale per i talenti accrescerà il divario cognitivo e di conoscenza. Ecco che l’orientamento al futuro, inteso come approccio diffuso all’immaginazione prospettica, costituirà il fattore critico di successo per le nazioni, le città, le università e le imprese a livello globale.
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