L’uccisione del capo del programma nucleare iraniano destabilizza tutto il Medio Oriente

Chiunque lo abbia ucciso, sapeva esattamente quali effetti avrebbe provocato la sua morte sul “processo di distensione” in corso in Medio Oriente. Partiamo dai fatti: una esplosione devasta un tratto della strada che conduce da Teheran ad Absard, località residenziale dell’élite poco distante dalla periferia orientale della capitale iraniana. Quindi inizia un fitto e preciso tiro di armi da fuoco nei confronti del suv Nissan con a bordo Mohsen Fakhrizadeh, scienziato più anziano e tra i massimi responsabili del programma nucleare della Repubblica Islamica iraniana.

Dinamica dell’agguato

In un vecchio camion era stata collocata una carica esplosiva, celata al di sotto di un carico di legna, che è stata fatta deflagrare al passaggio dell’autovettura e, mentre questa arrestava la sua corsa, almeno cinque uomini armati sono apparsi sulla scena dell’attentato e hanno fatto oggetto del fuoco delle loro armi il veicolo.

L’architetto della bomba degli ayatollah non ha avuto scampo, ferito gravemente, è deceduto poco dopo il suo trasporto in ospedale, dove medici e paramedici non sono riusciti a rianimarlo. Feriti i componenti della sua scorta.

Una eliminazione mirata in piena regola, infatti, se qualcosa di certo si può affermare sul suo conto è che Mohsen Fakhrizadeh fosse da tempo sulla lista nera dei servizi segreti israeliani.

Lunga, poiché quella di Fakhrizadeh è soltanto l’ultima di una serie di uccisioni di scienziati nucleari in Iran compiute negli ultimi anni, azioni la cui responsabilità la Repubblica Islamica ha attribuito allo Stato ebraico.

Ma in questo caso si tratta di un “omicidio eccellente”, infatti, oltre a figurare tra gli elementi apicali del programma teso alla realizzazione dell’arma nucleare, la vittima era anche un alto ufficiale del Corpo delle Guardie rivoluzionarie islamiche, i Pasdaran.

Non sarebbe dunque casuale – e non lo è mai in effetti – la complessità dell’azione posta in essere ieri, maggiore rispetto a quelle osservate in precedenza, una dinamica espressione di un gruppo di fuoco coordinato e micidiale.

Mohsen Fakhrizadeh

Per il momento Gerusalemme non ha commentato l’accaduto, tuttavia sono in molti a ritenere che dietro il commando che ha agito ieri ci siano i servizi segreti dello Stato ebraico. La stampa israeliana non ha incontrato difficoltà nel tratteggiare la figura di Fakhrizadeh, un personaggio molto noto nel Paese, in quanto – commento dell’emittente televisiva “Channel 12” – «Fakhrizadeh non era soltanto il padre del programma nucleare iraniano, ma anche l’uomo determinato a garantire che agli ayatollah la bomba venisse concretamente resa disponibile».

L’uomo era anche un esperto di missili balistici, dunque strettamente coinvolto nello sviluppo dei missili progettati per recapitare sugli obiettivi in territorio israeliano le testate di guerra armate con ordigni nucleari nel caso di un eventuale attacco.

Nell’immediatezza del fatto, fonti dell’apparato israeliano che hanno mantenuto l’anonimato hanno fatto trapelare alla stampa che senza l’apporto di Fakhrizadeh per l’Iran ora sarà molto difficile per sviluppare il programma nucleare militare, perché, sebbene Teheran abbia apparentemente congelato le proprie attività nel settore in virtù dell’adesione all’accordo del 2015, Fakhrizadeh, figura chiave del programma, avrebbe continuato segretamente a lavorare alla bomba.

Nel 2008 gli Usa avevano irrogato sanzioni dirette nei confronti dello scienziato ucciso ieri, accusandolo di «essersi impegnato in attività e transazioni che hanno contribuito allo sviluppo del programma nucleare»

Gli esperimenti del vecchio scienziato.

L’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) afferma che l’Iran «ha svolto attività di rilievo ai fini dello sviluppo di un ordigno nucleare nel quadro di un programma strutturato almeno fino alla fine del 2003». Si tratterebbe del cosiddetto programma Amad (noto anche come Hope), che includeva il lavoro sugli alti esplosivi necessari alla detonazione di una bomba nucleare.

L’Iran avrebbe anche condotto una realizzazione virtuale in laboratorio di un ordigno nucleare utilizzando i computer, che tuttavia – sempre secondo l’Aiea – avrebbe condotto a risultati «incompleti e frammentari».

Secondo l’emittente televisiva israeliana “Channel 12”, l’agenzia internazionale  ha tentato per anni di incontrare Fakhrizadeh per interrogarlo sulle sue attività, ma questo colloquio è stato sempre impedito da Teheran.

Nel 2018 il primo ministro dello Stato ebraico Benjamin Netanyahu dichiarò che Fakhrizadeh stava continuando a coordinare gli sforzi iraniani per il nucleare, nonostante l’accordo del 2015 glielo impedisse.

In quello stesso periodo la stampa riferì che in precedenza l’intelligence israeliana aveva deciso di non eliminare Fakhrizadeh poiché aveva ritenuto più utile mantenerlo in vita allo scopo di seguire le sue attività per comprenderle meglio.

Al riguardo va rilevato come Fakhrizadeh fosse una delle persone maggiormente protette in Iran, costantemente circondato da guardie del corpo.

L’ombra del Mossad dietro l’attentato?

Dunque, tutti puntano il dito contro Israele, ovviamente a cominciare dagli iraniani e dai loro alleati. Il ministro degli Esteri Mohammad Javad Zarif ha affermato che sussistono «serie indizi che fanno pensare a un ruolo israeliano nell’assassinio».

Persino il “New York Times”, citando altri tre anonimi funzionari dell’intelligence, scrive le responsabilità dell’azione di ieri andrebbero ascritte allo stato ebraico.

Il quotidiano afferma tuttavia che «non sarebbe chiaro su quanto Washington fosse realmente al corrente del previsto agguato, malgrado Washington e Gerusalemme stessero lavorando a stretto contatto sulle questioni relative all’Iran», questo mentre un funzionario dell’amministrazione Trump ha riferito alla CNN che la casa Bianca sta seguendo da vicino la vicenda e che questa si configurerebbe come «un grosso problema».

Dall’Iran si spara a zero su Israele e si parla chiaramente di una manovra tesa a sabotare la possibile futura ripresa delle trattative internazionali.

«Negli ultimi giorni della vita politica del loro alleato americano, i sionisti, giocando d’azzardo starebbero cercando di intensificare la pressione sull’Iran affinché esso intraprenda una guerra in piena regola», ha dichiarato Dehghan, riferendosi evidentemente al presidente usa Donald Trump.

Un colpo di coda di Donald Trump?

L’assassinio di Fakhrizadeh arriva meno di due mesi prima che Joe Biden assuma ufficialmente la presidenza degli Stati Uniti d’America, un presidente che a differenza del suo predecessore (ancora in carica fino a gennaio) annovera nel suo programma politico il ritorno alla diplomazia con Teheran dopo quattro anni escalation della tensione, iniziata con il ritiro unilaterale di Trump dall’accordo sul nucleare nel 2018 e la successiva imposizione di sanzioni paralizzanti per l’economia iraniana.

Una linea di condotta proseguita con l’eliminazione presso l’aeroporto internazionale di Baghdad di Qassem Soleimani, potente comandante della forza Quds e reale artefice della strategia khomeinista della mezzaluna sciita, dunque altro pilastro della proiezione (e della sopravvivenza politica ed economica) della Repubblica Islamica.

Nel frattempo ci sono stati l’Accordo di Abramocontatti diretti tra Netanyahu e i  vertici sauditi, con gli iraniani sempre più in una posizione difficile.

Sempre il New York Times all’inizio di questo mese aveva pubblicato la notizia relativa alla eliminazione del secondo in comando di al-Qaeda, segretamente ucciso a Teheran da due agenti israeliani su indicazione di Washington. Abu Muhammad al-Masri, questo il suo nome, sarebbe stato ucciso in agosto insieme a sua figlia, Miriam, la vedova del figlio di Osama bin Laden, Hamza. Un presenza, quella dei qaedisti in territorio iraniano, che le autorità di Teheran hanno sempre negato.

È possibile che l’azione di ieri si inquadri nel complesso di forti provocazioni della teocrazia al potere a Teheran? In questo senso nulla andrebbe escluso.

Ellie Geranmayeh, responsabile del Consiglio europeo per le relazioni internazionali ha ieri twittato che «l’obiettivo dell’eliminazione fisica di Fakhrizadeh non è quello di ostacolare il programma nucleare iraniano, bensì di minare la diplomazia».

Il piano «B» dopo il rifiuto del Pentagono.

Forse una lettura più attenta delle convulse dinamiche che hanno avuto luogo di recente negli Stati Uniti d’America possono aiutare a inquadrare meglio la questione, anche al rischio di semplificare eccessivamente i termini del problema.

Se è vero che il presidente Trump – prossimo all’uscita di scena e per questa ragione pericolosa anatra zoppaferita – si è disfatto di Esper per avere le mani libere sull’Iran e richiedere quindi ai generali del Pentagono un attacco ai siti nucleari iraniani, che gli è stato però negato (i militari non lo hanno mai amato e in ogni caso, per quanto se ne dica, sono tutto sommato persone responsabili), potrebbe dunque essere anche vero che, nel pervicace sforzo di mettere in difficoltà il suo successore alla Casa Bianca, abbia potuto favorire un’azione eclatante e foriera di strascichi disastrosi come l’attentato compiuto ieri sulla strada per Absard.

Forse è riuscito nel suo intento, poiché il democratico Joe Biden da questa ennesima eliminazione mirata di un elemento apicale della struttura di potere iraniana non ne ricaverà di certo giovamento.

A questo punto bisognerà attendere gli sviluppi della situazione e vedere se i persiani, che nella storia hanno dimostrato di essere pazienti, resistenti e lucidi negoziatori, non daranno seguito alle roboanti retoriche minacce di vendetta, che in casi del genere sono la prassi.

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Giornalista economico della Federazione Svizzera e Direttore di Outsider News.