L’unico poeta che chiamiamo per nome. Perchè Dante piace a tutti a 700 anni dalla morte

1321-2021: i centenari sono formulette un po’ stantie e forzate di celebrazione, inventate quasi sempre a tavolino per finanziare una marea di eventi discutibili e rievocazioni acchiappaturisti. Quando il festeggiato è però un grande nome come Dante Alighieri il fiorire di spettacoli, convegni, festival, reading, panel, convention e chi più ne ha più ne metta è una slavina, e quest’anno ovunque, da Roma a Vattelappesca di Sotto, c’è almeno un evento dantesco e un qualche intellettuale più o meno Vip assoldato per dare la sua imprescindibile lettura del sommo poeta, cosa per altro abbastanza facile perché, diciamocelo, su Dante tutti sono in grado di ripescare un suntarello del bignamino studiato al liceo.

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La cosa incredibile rispetto ad altri personaggi letterari è però che il pubblico a Dante è sinceramente affezionato, e nonostante la retorica trasudante e la noia spesso mortale degli omaggi, legge gli articoli e va agli eventi. E non solo perché dopo un anno di COVID persino un pranzo dalla suocera con le prozie ottantenni ha un che di esoticamente interessante.

È che Dante piace. Ma perché?

Dante è pop

Da sempre. Come nessun altro mai. Ė l’unico autore che chiamiamo di solito con il nome di battesimo, e non con il cognome: non è l’Alighieri, è Dante e basta. Dante è uno di noi, lo sentiamo di casa. Ma soprattutto, è autore di un capolavoro, e non ci piove, letterariamente sofisticatissimo ma che può essere letto anche come una grande opera fantasy, goduto come un film in cinemascope o come una serie tv.

I letterati italiani, diciamocelo, tendono spesso a concentrarsi sul loro ombelico e a raccontarci, magari magistralmente eh, i loro personalissimi turbamenti, che però sono alla lunga un po’ limitati. Dante parte da lì, quando era giovane, ma poi s’innalza e s’invola. Gli altri, Petrarca compreso, sono avvoltolati su se stessi, lui squaderna l’universo, scende nell’arena e affronta il Bene, il Male, il Diavolo, gli angeli, Dio. Signori, qui non si parla di minuzie, si parla di dannazione e salvezza eterne, di grandi scelte dell’umanità, di tradimenti feroci, di viaggi oltre i confini del mondo conosciuto, di eroi che si stagliano titanici su sfondi eterei o burrascosi.

Dante è traversale, pesca personaggi e storie da dove gli pare, mischia la cronaca nera con l’epica classica, la Bibbia con Novella2000, se gli serve stravolge trame e personaggi, archetipi e protagonisti. È lui l’ispiratore e il padre di tutti i reboot della Marvel, di tutti i crossover della DC Comics. Gli altri fanno letteratura, lui kolossal che attirano le folle e sbancano il botteghino. Ci vuole un ego immenso per pensare a una operazione del genere anche una volta sola, e lui ne fa a decine, ma del resto si confronta con Dio perché in fondo si sente suo pari: e ha ragione, con una parola entrambi creano e ricreano universi.

Dante ha un pessimo carattere

Era toscano. Peggio, era un toscano tignoso. Peggio, era un toscano tignoso e incazzoso perché lo avevano mandato in esilio dalla sua città. E viveva nel Medioevo, che non è proprio un’epoca di understatement. Non è il grande maestro distaccato e inavvicinabile nella sua torre. Ė presuntuoso, testardo, uno che quando gli pigliano i cinque minuti sbotta e ha una lingua tagliente come una scimitarra. Ma sa anche adattarsi perfettamente all’ambiente in cui si muove, secondo il detto in chiesa coi santi e in taverna con i bricconi. Dante è trasversale, può conversare con Tommaso d’Aquino e Bernardo di Chiaravalle dei massimi sistemi e poi mandare a quel paese il compaesano noioso con lessico da scaricatore di porto. È quello che scrive sia “l’amor che move il sole e l’altre stelle” ma anche “ed elli avea del cul fatto trombetta”. In qualsiasi momento della vita, Dante può esserti vicino. Gli altri no.

Dante è anche un po’ paraculo (quando gli serve)

Di formazione era un politico, e un po’ di sano opportunismo lo sapeva esercitare, alla bisogna. Essere amico di Dante non era una passeggiata, perché il vizietto di scaricarti quando non gli facevi più comodo ce l’aveva. Lo fa con Brunetto Latini, suo maestro e punto di riferimento in gioventù, perché il suo circolo era il più chic di Firenze, l’avanguardia che bisognava frequentare. Che a ser Brunetto piacessero i bei figlioli era noto, ma tutti fingevano di non accorgersene. Anche Dante. Che poi si mostra stupitissimo di ritrovarlo all’inferno, nel girone dei sodomiti. Modo poco elegante per sfilarsi da possibili malignità sulla pregressa frequentazione, soprattutto perché a metterlo lì è lui.

Oltre a ser Brunetto, scarica male anche i Cavalcanti, gran signori della Firenze dell’epoca, che Dante lo avevano adottato perché amico di Guido, fascinosa giovane promessa della politica e della letteratura. Guido, se fosse nato in un altro momento, sarebbe diventato il poeta più noto della sua epoca, perché aveva tutto per ammaliare: intelligenza, cultura, vena trasgressiva, un gusto raffinato per la costruzione dei versi e una sensibilità per la metrica molto più moderna di quella dei suoi contemporanei. Ma gli capitò di essere contemporaneo di Dante, che alla fine lo oscurò. Perché può essere poco simpatico, ma quanto a talento, Dante oscura tutti. Guido dall’amicizia con Dante ricavò alla fine poco, perché quando Dante fu fra i priori di Firenze mandò in esilio l’amico, con l’accusa di essere una testa calda. E lì, almeno, si può scusarlo perché il provvedimento potrebbe essere stato preso davvero per interesse pubblico. Ma quella di mettere all’inferno il padre di Guido, Cavalcante, accusandolo di essere un eresiarca epicureo assieme al consuocero Farinata degli Uberti è una pugnalata gratuita alle spalle.

Dante è un po’ voltagabbana (per rabbia)

Italiano fino alle midolla, quando viene cacciato da Firenze, prima litiga con quelli dei suo partito e poi, per dispetto, si sposta sulle posizioni del partito avverso, diventando quasi ghibellino per ripicca. Come certi nati comunisti che poi baruffano con il mondo e finiscono a scrivere articoli reazionari sul Foglio e ad essere osannati sul Giornale. Che poi, diciamocelo, Dante da giovane lo avrebbero definito radical chic: frequentava i salotti bene dell’aristocrazia, s’era imparentato con i Donati, e ci teneva a far sapere che un antenato, Cacciaguida, era stato cavaliere e legato agli Elisei, famiglia nobilissima. S’era “buttato a sinistra” con i Guelfi Bianchi forse più per calcolo che per convinzione vera, e quando poi deve trovare nuovi protettori in esilio frequenta allegramente ghibellini senza un plissé. Che poi sia molto bravo a raccontare tutto questo facendosi comunque passare per un esempio di coerenza, un intellettuale tutto d’un pezzo che combatte i poteri forti, non accetta compromessi e non si piega fa parte del personaggio, del carattere e, forse, anche del fatto che appunto è italiano. Fino alle midolla, come s’è detto sopra.

Dante ama meticciare tutto

Dante era modernissimo e curioso delle lingue straniere. Quando i soliti tromboni tromboneggiano in difesa della purezza della lingua di Dante, si dimenticano sempre che il suddetto, invece, amava le ibridazioni di ogni tipo. Copia e ruba a man bassa dal latino, dal provenzale, dal francese, dai dialetti. Per Dante la lingua è un Luna Park e lui ama le montagne russe e i rischi. Inventa, pasticcia, fonde, ripesca. Dante meticcia tutto, senza paura. Ė un grande sperimentatore che non accetta limiti e quei pochi che c’erano già li forza. Per questo è un genio, perché il genio è chi non ha paura di affrontare il caos.

Dante è anche un po’ cialtrone

Dante non è un erudito o un maniaco del filologicamente corretto. Al contrario di Petrarca e di Boccaccio che avranno a disposizione grandi e ben fornite biblioteche personali, Dante lavora con i pochi libri che ha, o che trova. E quando non li trova, va a memoria. Parla di mitologia greca e non sa il greco, cita opere di cui ha letto sì è no un bignamino. Ciuccia fino all’osso quello che gli capita, e qualche volta quando non sa o non può controllare ricostruisce ad intuito. Non è preciso e filologico, neppure secondo i laschi criteri del tempo. Ma è come la nonna che tira fuori manicheretti prelibati dalle quattro verdure dell’orto o con gli avanzi. Si prende anche i suoi rischi, come quando sceglie come punto di riferimento teologico Tommaso d’Aquino, che mette in paradiso prima di tutti, visto che la Chiesa lo riconosce santo molto dopo. Insomma, qualche volta Dante dà delle direttive persino a Dio. Lo fa da Dio, per altro.

Dante è simpatico (nonostante tutto)

È umano. Nonostante tutta la retorica che in settecento anni e passa gli hanno cucito addosso. Perché quando prendi e mano le sue opere e le leggi è tutto lì, e alle volte non sai se baciarlo o prenderlo a sberle, o tutte e due le cose assieme. Perché può essere insopportabile, cialtrone, presuntuoso, esasperante ma bastano due righe, due versi, per capire che sta una spanna sopra a tutti. Gioca nel campionato di Omero, di Shakespeare e di pochi altri, la Champion’s league della letteratura, l’empireo oltre al quale non si può andare più su. Per questo piace, a tutti, anche a quelli che la letteratura boh, la letteratura yawn, la letteratura non fa per me. Durerà altri settecento anni, perché tutto passa ma lui resta.

E da bravo toscano insopportabile, mi sa che ghigna pure alle nostre spalle, sto impunito (Fonte: La Valigia Blu).

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