Dopo decenni di stallo e negoziati fallimentari, il 12 agosto ad Aktau, in Kazakistan, i cinque stati rivieraschi del Mar Caspio – Azerbaijan, Iran, Kazakistan, Russia e Turkmenistan – hanno raggiunto uno storico accordo (seppur ancora parziale) sulla giurisdizione del bacino internazionale.
Si tratta di un accordo che, nonostante la sua rilevanza strategica e l’interesse generato nell’opinione pubblica occidentale, ha tuttavia ancora una valenza non univoca e lascia aperte molte questioni – incluse quelle energetiche – legate agli interessi europei.
Un’intesa storica ma non completa
L’accordo ha certamente una portata storica perché, dopo oltre due decenni, ha portato a convergere attorno ad un unico tavolo i cinque stati rivieraschi del Mar Caspio che hanno finalmente definito un quadro legale per il bacino basato sui principi della sovranità nazionale, dell’integrità territoriale, del principio di eguaglianza fra gli stati e del rifiuto dell’uso della forza.
Un quadro ibrido – il Caspio non viene riconosciuto dall’accordo né come un mare interno, né come un lago internazionale – che stabilisce per la prima volta i criteri per la definizione dei limiti delle acque territoriali dei cinque firmatari, localizzate entro le 15 miglia dalla costa (al posto delle 12 vigenti), e delle zone di sfruttamento esclusivo (ulteriori 10 miglia). La definizione dei confini delle singole aree è stato tuttavia rimandato ad una fase successiva, grazie ad accordi siglati di volta in volta dai governi su base bilaterale. Rimane inoltre inalterata – e quindi disciplinata secondo le ormai obsolete convenzioni del 1935 e del 1940 tra Unione Sovietica e Iran – la gestione dei fondali e delle acque oltre queste 25 miglia: esse continuano ad essere considerate aree comuni sulle quale i cinque stati coinvolti esercitano un controllo congiunto. Il rischio, come in passato, è che questa condizione contribuisca a bloccare iniziative non condivise da tutti e cinque i paesi.
La dimensione energetica
Soprattutto, rischiano di rimanere in sospeso una serie di attività strategiche in ambito energetico. Com’è noto, infatti, il bacino non soltanto ospita nei suoi fondali ingenti risorse di petrolio e gas naturale, ma rappresenta anche un ostacolo fisico – fino ad oggi insormontabile – al transito di idrocarburi prodotti nei giacimenti onshore dell’Asia Centrale e diretti verso i mercati occidentali, Turchia e UE in primis.
Senza un regime legale che permetta di risolvere in modo definitivo le dispute territoriali in essere, e di stabilire chiaramente i confini dei fondali degli stati rivieraschi (l’accordo, come detto, rimanda tutto a successivi negoziazioni bilaterali) lo sviluppo dei giacimenti di petrolio e gas nel Mar Caspio – si parla, rispettivamente, di riserve per 48 miliardi di barili e 9 trilioni di metri cubi – rischia di non decollare. Le dispute, in particolare, riguardano aree contese da Azerbaijan e Iran attorno al giacimento Araz-Alov-Sharg – riserve stimate attorno a un miliardo e mezzo di barili di greggio e 400 Bcm di gas, e tra Azerbaijan e Turkmenistan, presso il giacimento Serdar/Kapaz, con riserve attorno ai 360mila barili. In questo contesto rimane incerta anche la realizzazione dell’ormai fantomatica Trans-Caspian Pipeline (TCP).
La condotta sottomarina di circa 300 chilometri, dovrebbe collegare la costa occidentale del Caspio, in Turkmenistan, con quella orientale in Azerbaijan, permettendo al gas turkmeno di essere finalmente commercializzato in Europa (inclusa la Turchia) attraverso il Corridoio meridionale del gas e le condotte TANAP e TAP. Per un paio di decenni il gasdotto è infatti stato bloccato a causa dell’indefinito status legale del bacino – in virtù del quale Mosca ha costantemente esercitato il proprio veto sul progetto) – nonché della già menzionata disputa tra Baku e Ashgabat sulla sovranità sul giacimento Serdar/Kapaz. L’accordo di Aktau, lasciando entrambe le questioni ancora aperte (in particolare, la gestione delle acque condivise al di là delle 25 miglia), non fornisce chiare indicazioni sul futuro della TCP, con buona pace dei consumatori europei.
Una iniziativa a carattere regionale
L’accordo, seppur accolto con grande interesse dall’opinione pubblica occidentale (soprattutto alla luce dei suoi possibili risvolti energetici) sembra avere piuttosto una forte connotazione regionale. Esso, infatti, sancisce il tentativo di chiusura da parte dei paesi caspici – guidati dall’asse tra Mosca e Teheran – nei confronti delle potenze internazionali interessate alla regione, Stati Uniti, UE e Cina in primis. Siglato in concomitanza con le prese di posizione della presidenza Trump nei confronti di Russia e Iran, l’accordo suona come un monito alla non ingerenza americana – diretta o attraverso la NATO – nell’area, considerata di influenza esclusiva da parte dei due leader regionali. Non è un caso che, tra gli elementi salienti contenuti nell’accordo, figurino l’accesso esclusivo al bacino alle forze armate dei paesi rivieraschi – garantito proprio dalla Caspian Flotilla russa, la riaffermazione della sovranità esclusiva sulla stazione aerea, e la formale esclusione di qualsiasi altro attore non-regionale con buona pace di Washington, che sin dalla frantumazione dell’Unione Sovietica ha provato a estendere la propria proiezione strategica nell’area. Qualcosa, dunque, si sta muovendo nel Caspio. Ma non è detto che sia necessariamente a favore, degli interessi europei.
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